Osama Bin Laden e Internet. Da quando è iniziata la crociata contro “l’impero del Male”, rappresentato dal miliardario più bombardato del mondo (e ancora vivo, sembra), a questo vengono imputate anche le crisi e gli attentati sulla rete.
Nel tranello è caduto anche un giornalista di Computerworld, che ha additato il gruppo terroristico di Al Qaeda come responsabile dell’ultimo, devastante attacco informatico a base di worm Slammer o Sapphire.
Una bufala che, scoperta, è stata subito ritirata solo dopo poche ore dal sito della rivista.
Come dare colpe a Dan Verton, giornalista di Computerworld che, in buona fede, pensava di aver realizzato uno “scoop”, avendo scoperto “un’ugola d’oro” dentro un gruppo terroristico pakistano.
Secondo quanto gli ha riferito Abu Mujahid, membro del gruppo Harkat-ul-Mujaidin legato alla rete di Bin Laden, è stato il gruppo pakistano a lanciare l’attacco distruttivo che ha bloccato la rete e alcuni servizi bancari il famoso 25 gennaio di quest’anno.
In realtà, dietro le mentite spoglie del terrorista pakistano si nascondeva Brian McWilliams, giornalista di Salon.com e Wired News. Lui è riuscito a fregare il più esperto Verton, ex analista del servizio informazioni della Marina americana.
In tutta questa storia, esiste una morale che si può riassumere con quanto detto dallo stesso autore dello scherzo, Brian McWilliams: “bisogna essere più scettici verso persone che dicono di essere implicati nel cyberterrorismo”.
Sulla rete valgono le stesse raccomandazioni che si danno per le chat: non sai mai chi c’è dall’altra parte della tastiera e non è detto che sia proprio chi ti dice di essere. Le prove, come dice anche Giovanni Paolo II, a volte sono “provette”.