Nella mia somma naiveté, all’entrare negli anni ruggenti dell’internet economy (e prima di batterci il naso, nel famoso sboom), avevo anch’io dato retta ai profeti del nuovo business, che vaticinavano la fine di conglomerati e monopolisti, che professavano l’accesso perfetto al mercato perfetto eccetera eccetera. Un po’ di anni dopo, siamo nel pieno di una battaglia senza esclusioni di colpi tra oligopolisti, tra quei pochi nomi che si fanno guerra. Il premio? Il monopolio su quello che facciamo in rete. Quindi, alla fin fine, su quello che siamo digitalmente. E realmente. Curiosamente, tra questi nomi, manca il monopolista per eccellenza, almeno nelle invettive del “popolo” di qualche anno fa. Manca Microsoft – di cui se notate da qualche tempo non si sente più parlare tanto male e con tanta acrimonia. Sarà anche per i prodotti, sarà perché il fronte degli scontri e quindi dell’attenzione si è spostato altrove.
Al nostro tavolo
I tre principali nemici sono oggi notoriamente Apple, Google e, sulla rampa di lancio, Facebook (poi qualcuno non sarà d’accordo, parliamone). Google coi social network finora secondo me non ne ha acchiappata mezza. Amo molti loro prodotti, non ho altra posta all’infuori di Gmail, vivo in mobilità sfruttando le mappe, Documents, la ricerca.. ma il social networking made in Google, quello proprio no, grazie. Piuttosto Foursquare (dove sono il sindaco della bat-caverna dietro a casa mia), ma il resto proprio non è riuscito a piacermi. In questa lotta per allargare sempre di più la propria quota di tempo e servizio alla persona, non c’è dubbio che la grande G ci sta per riprovare, ma allo stesso tempo Facebook non sta con le mani in mano e passa alla cassa, acquistandosi Nextstop – un oggetto anche lui molto social, con un database di oltre 100.000 raccomandazioni di viaggio, che ha tutte le carte in regola (grazie a qualche iniezione di capitali) per diventare un punto di riferimento per chi è in mobilità.
Si aprono i business delle guide di viaggio, collaborative e collettive, le raccomandazioni di posti e luoghi (Foursquare e affini dovrebbero iniziare a tremare, forse), insomma, incorporare nell’usatissimo Facebook una componente sempre meno “ciarliera” e sempre più utile, concreta per chi è in movimento. E di questi tempi, chi non lo è? Se poi diamo un’occhiata a quello che Facebook sembra stia macchinando con il suo “places”, la costruzione di un database, di una serie di pagine geolocalizzate che le aziende potranno sfruttare, vediamo che c’è una logica, un chiaro disegno di diventarci sempre più indispensabili.
Tante teste, tante idee
Comunque, per quello che riguarda Nextstop, una volta acquisito il sito e il patrimonio, si chiude tutto, per passare l’operatività sotto il cappello di Facebook. Quanto ai dati, ai report, al tesoretto di raccomandazioni, questi verranno generosamente resi disponibili al mondo sotto una licenza Creative Commons. Generoso. Ma forse anche un segnale che interessavano relativamente poco, quei dati, e che altro era il valore dell’acquisizione. Certo, la community… ma è facile immaginare che con la potenza di Facebook molti degli utenti di Nextstop fossero già nel patrimonio aziendale. E allora? Secondo quanto si dice in giro, la ciliegina sulla torta di questa acquisizione sono i fondatori di Nextstop, due ex di Google, e un po’ di altra gente in gamba attiva nella società acquisita. A volte l’unica è comprare le aziende per avere le teste corrispondenti. Teniamo presente che i co-fondatori di Nextstop hanno messo la firma su prodotti molto interessanti per Google (Calendar, Maps, Picasa, Groups).
Insomma, a differenza di tante aziende di casa nostra, che sembrano comprare le persone un tanto al chilo (o a usarle in modalità freelance, precario, eventuale e comunque in un qualsiasi modo che non comporti nessun legame), Facebook sembra aver chiarissima l’importanza strategica, in questo nuovo millennio, di portare a casa i talenti, le intelligenze, le competenze. Che sono l’unico strumento che permette di competere e vincere in questo nuovo, tecnologico, duro ma effervescente periodo sempre più binario e digitale. Da noi, si sa, è tutta un’altra storia. Sarà anche per quello che sul digitale, nel mondo, in fondo contiamo proprio pochino pochino?