Davanti ai social network siamo però tutti uguali (o quasi): e così l’ultima vittima delle politiche di Facebook finisce per diventare nientemeno che il famoso scrittore Ahmed Rushdie. Non lo avete mai sentito nominare? Molto probabile. Quasi sicuramente lo conoscete con il suo secondo nome, Salman. Nelle ultime 24 ore però anche lui ha avuto una spiacevole esperienza con la gestione della sua identità su Facebook, proprio a causa del suo nome.
Ahmed
Certo, nella vita Rushdie ha a che fare con ben altre persecuzioni: dal 1988, anno in cui ha scritto I versi satanici, la sua vita è cambiata definitivamente con la fatwa, la condanna morte dell’ayatollah Khomeini, che lo ha costretto a vivere in Inghilterra sotto protezione. Questo non gli ha però impedito di continuare la sua vita da scrittore e intellettuale. E di impegnarsi con foga quando pensa che una cosa sia sbagliata. Sì, anche quando si tratta del suo nome su Facebook. Nel tardo pomeriggio di ieri Rushdie racconta sul suo account Twitter che due giorni prima Facebook ha cancellato il suo account personale perché non credeva si trattasse di lui. Rushdie aveva inviato una foto con passaporto come prova. Per tutta risposta, Facebook riattiva l’account ma col nome “Ahmed Rushdie”, il primo nome dello scrittore, da lui mai usato.
A quel punto Rushdie fa una cosa che molti geek farebbero: va su Twitter. E dal suo account (verificato!) prima racconta, poi cerca di indirizzare la protesta direttamente a Mark Zuckerberg, inoltrando la domanda a quello che crede essere il profilo del fondatore di Facebook. Purtroppo, nessuno degli account segnalati appartiene effettivamente a Zuckerberg e Rushdie, frustrato, inizia a prendersi gioco della politica sui nomi iniziando a chiedere a Facebook (ma in realtà ai suoi follower) che cosa succederebbe se altre personalità che usano il loro secondo nome venissero costretti a usare il primo: riconoscereste James McCartney come uno dei Beatles? E gli attori Thomas Connery e William Pitt non sono conosciuti con il loro secondo nome, rispettivamente Sean e Brad?
Chi decide
A quel punto il passo verso il meme – con hashtag #MiddleNameUsers – è breve e gli esempi si moltiplicano. Un’ora dopo circa, Rushdie annuncia che il problema è risolto con tante scuse – ufficiali – di Facebook. Mashable, che pubblica la sequenza dei tweet, sottolinea come questo episodio renda esplicita una delle oscure politiche di Facebook sulla gestione dell’identità: se mostri il tuo documento d’identità sarai comunque obbligato a usare il tuo nome, anche se non lo usi. Nel suo profilo Facebook di Rushdie: chiude la vicenda annunciando «Victory!» e pubblicando un link a un articolo del New York Times, dedicato ovviamente all’episodio, dall’eloquente titolo «Chi decide chi sei online?».
Nell’articolo si confrontano le politiche di Google con quelle di Twitter e Facebook: nonostante una posizione molto ferma in merito, Google+ darà la possibilità di usare nomi diversi da quello proprio in alcuni casi. Twitter, invece, non ha regole così restrittive, consentendo persino l’uso esplicito di account falsi. Facebook, infine, resta uno dei contesti più problematici data l’assenza di regole chiare ed esplicite. Forse, contrariamente a una frase latina, il nostro destino non è nel nome. Ma saranno i social network a deciderlo?