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Dentro la sala che registra i terremoti

15 Aprile 2009

Dentro la sala che registra i terremoti

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Un ricercatore dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia racconta come funziona la rete di rilevamento e il lavoro del personale in momenti di emergenza come quello che ha seguito il sisma in Abruzzo. Presto una rete più robusta ed efficiente

Con Marco Olivieri ci conosciamo da più di vent’anni, abbiamo studiato fisica insieme, ci scriviamo spesso goliardicamente. A metà febbraio tra i molti discorsi faceti durante la cena del ventennale di noi fisici, il discorso si è fatto serio è Marco ci ha raccontato del suo lavoro, il monitoraggio dei terremoti e di come l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sia popolato di ricercatori pronti a passare le notti di emergenza incollati alle scrivanie. In questi due mesi abbiamo ricominciato a scriverci quotidianamente, scherzando come al solito, fino al silenzio di lunedi 5 aprile e alla sua mail di martedi. Abbiamo strappato a Marco qualche minuto delle sue notti in sala sismica post-terremoto in Abruzzo per fargli qualche domanda.

Marco, ci racconti che cos’è successo domenica notte? Che cos’hai fatto sentendo la scossa a Roma, se l’hai sentita?

In realtà ero in Romagna, avevo previsto di non lavorare lunedi mattina. Ma vista la gravità della situazione abbiamo deciso di scendere a Roma per venire a lavorare ugualmente. In situazioni come queste c’e’ tantissimo da fare, soprattutto in Sala Sismica. Le tre persone di turno (due sismologi e un tecnico, più un funzionario in reperibilità) non sono in grado di reggere l’urto. Succede che i terremoti da localizzare e comunicare alla Protezione Civile si susseguono con rapidità, e in più c’è da informare i media. E organizzare le squadre che partono subito per la zona epicentrale per intensificare la rete sismica di monitoraggio. Dopo l’evento delle 3:30 diversi colleghi, svegliati dal terremoto sentito a Roma, si sono presentati in ufficio. Tra questi anche molti precari. Il lavoro in sala di monitoraggio è semplice: si aspetta. Se c’è un terremoto lo si rileva, localizza e comunica alla Protezione Civile. In caso di forte terremoto il ritmo passa da qualche decina al giorno a qualche decina al minuto. E non si può perdere di vista il resto d’Italia, dove comunque terremoti possono continuare a succedere.

In che cosa consiste il vostro lavoro esattamente? Che cosa fa un geofisico rispetto a un geologo?

La differenza tra un fisico e un geologo che lavorano all’Ingv sta nel background, anche se poi col tempo e l’esperienza si finisce per fare lo stesso mestiere. Va da sé che ciascuno conserva il suo approccio al problema nel momento in cui si fa ricerca.

Ci parli dei rilevatori? Quello a 5 chilometri dall’epicentro ha retto. Come sono costruiti?

La rete sismica è composta da quasi 300 stazioni sparse sul territorio. Ciascuna è composta da un sismometro che rileva il movimento del terreno e lo converte in un segnale elettrico. Questo è connesso ad un digitalizzatore che trasforma il segnale analogico in segnale digitale. La trasmissione utilizza diversi sistemi, per due motivi: uno logistico (non sempre nei luoghi remoti è presente una connessione internet o una linea telefonica) e uno di sicurezza. Circa mezza rete viaggia via internet e l’altra mezza viaggia su due satelliti. Questo ci garantisce che in caso di problemi (crollo della rete internet e telefonica o rottura di un satellite) possiamo continuare a monitorare la sismicità con efficienza. Quindi il “reggere” di una stazione è riferito sia al fatto che alimentazione e connessione Internet hanno continuato a funzionare sia al fatto che il sito (in questo caso il castello de L’Aquila) non sia crollato.

E il sistema di rilevatori che state costruendo?

Noi stiamo costruendo, anzi sviluppando, un nuovo sistema di monitoraggio, più robusto ed efficente in funzione del fatto che siamo passati dalle 50 stazioni di qualche anno fa a quasi 300. Il sistema è basato su una serie di programmi in cascata che acquisiscono, processano e archiviano i dati. Un tempo, 12-13 anni fa, avevamo poche stazioni e minore urgenza di localizzare i terremoti perché il sistema della Protezione Civile era più lento. Oggi abbiamo una rete molto più densa e molta più fretta, perché i sistemi di soccorso e i media reagiscono con molta più rapidità. La fretta spesso ha un nemico che è l’accuratezza: essere rapidi richiede di mettere in atto tutte le precauzioni per non sbagliare. Per questo ci è stato chiesto di sviluppare un sistema che sia in grado di fornire stime del terremoto (localizzazione e magnitudo) in tempi rapidi e con una accuratezza più elevata. Per fornire alla comunità un servizio migliore.

Com’è fatta la sala sismica?

È una classica control room: un wall-screen dove vedere le informazioni, computer in cui si ricevono le localizzazioni e le si rivaluta per controllare la bontà del sistema automatico. In più conserviamo 16 rulli analogici soprattutto per motivi di sicurezza (sono connessi direttamente con linea telefonica dedicata al sismometro) e per consentire ai media di fare le riprese delle tracce sismiche.

Ci parli del terremoto de L’Aquila? Si è saputo che era stato prececeduto da uno sciame di scosse cominciato l’inverno scorso.

Una sequenza sismica, cioè una serie di eventi sismici anche risentiti dalla popolazione era in corso da diversi mesi. A posteriori si può vedere una correlazione tra lo sciame sismico e l’evento di magnitudo 5.8. A priori era impossibile dirlo, visto che nella maggior parte dei casi sequenze sismiche anche prolungate non portano a un evento distruttivo.

Per quanto tempo dovrete ancora fare le notti in sala sismica? Non si potrebbero elaborare gli stessi dati di giorno?

In Sala ci siamo 365 notti all’anno. Per fornire un informazione rapida e puntuale alla Protezione Civile. Oggi non esistono sistemi automatici in italia e visto che i soccorsi partono comunque dopo un lasso di tempo di qualche decina di minuti, e non di secondi, si preferisce comunicare a voce alla Protezione Civile un’informazione sicura e rivista. Il protocollo prevede un’informazione generica entro 2 minuti, una preliminare entro 5 minuti e una definitiva non oltre 30 minuti. Questa è l’elaborazione in tempo reale, il monitoraggio. Poi la ricerca, le analisi approfondite e gli studi vengono fatti con i ritmi normali della ricerca scientifica.

Che cosa ci sta dicendo la “storia clinica” sismica dell’Italia?

Siamo uno dei paesi con il più esteso catalogo sismico. Grazie alla civilizzazione del Paese abbiamo tracce di terremoto che vanno indietro fino a 200 anni prima di Cristo. Dice che tutta l’Italia è fortemente sismica, a parte il sud della Puglia e la Sardegna.

Usate molte simulazioni numeriche? Da vent’anni a questa parte il costo del calcolo è diminuito e la potenza si può distribuire a esempio su cluster Linux.

Dipende. Il diverso approccio al problema richiede un diverso utilizzo delle risorse informatiche. Un’onda sismica può essere vista come un raggio che si propaga in modo unidimensionale o un onda 3D che richiede complesse modellazioni in considerazione dell’eterogeneità della terra. In quel caso si usano cluster e macchine superveloci.

Vent’anni fa la maggiora parte di noi, me compreso, sembrava più atttratta dalla fisica delle alte energie, o dello stato solido. Che cosa ti ha portato verso la geofisica?

La fisica teorica non mi appassionava, le alte energie e la piccolezza e impercettibilità di quei fenomeni nemmeno. Un vulcano che erutta o la terra che trema sono fenomeni più facilmente percepibili. Più materiali. E più affascinanti per me giovane studente di fisica. Non nego che l’ambizione di poter capire qualcosa di “socialmente utile” ha completato la mia scelta geofisica.

Grazie per la chiacchierata, Marco, e buon lavoro in sala sismica.

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