Il parto delle prime Next Generation Network italiane è una strana vicenda: i progetti sul tavolo sono diventati di colpo numerosi, ce ne sono almeno quattro, dopo mesi di attese e sfibranti discussioni sul chi deve mettere i soldi e come. Il caos può partorire una stella? È proprio questo l’enigma, ma gli esperti su un punto concordano: piani sovrapposti e non coordinati faranno sprecare tempo e denaro e alla fine ridurranno le possibilità di avere una Ngn capillare in Italia.
Telecom avanti
Riassumendo: c’è l’ormai noto piano da 2,5 miliardi di Fastweb-Vodafone-Wind, ma anche quello di Telecom Italia. Da notare un aspetto poco messo in evidenza finora: il primo piano porterà a una sperimentazione a luglio a Roma, mentre il secondo è più avanti. Telecom sperimenta da anni, a marzo copriva 240.000 unità immobiliari tra Roma e Milano e ci si aspetta quindi un lancio commerciale entro l’anno. C’è poi il piano della Regione Lombardia e quello, di cui si parla poco, della Provincia Autonoma di Trento. Non c’è granché in comune tra i progetti.
Tutti, eccetto quello Telecom, sono basati su fibra ottica nelle case, che quindi è ormai considerato il modo principe per fare una rete di nuova generazione. Telecom sembra voler usare invece soprattutto fiber to the building, quindi fermandosi ai piedi del palazzo. Tutti i piani inoltre si avvalgono della collaborazione tra soggetti diversi, eccetto ancora una volta quello di Telecom. È questo uno dei nodi più gravi: non si sa se e fino a che punto l’ex monopolista voglia fare sistema con gli altri attori.
Spazio di mercato
Il problema è che questa è considerata da molti una condizione fondamentale per dare all’Italia una Ngn capillare (cioè su almeno il 50% della popolazione). «In Italia non c’è spazio di mercato per più di una Ngn», dice Maurizio Decina, ordinario di reti e comunicazioni al Politecnico di Milano. Significa certo che nelle stesse zone non si possono avere due Ngn concorrenti. Il che lascerebbe aperta la porta a una Ngn fatta con reti federate, ognuna con una propria zona di riferimento ma non sovrapposte. Sarebbe però preferibile un passo ulteriore: avere una rete unica su scala nazionale, gestita da una società ad hoc (come quella che Fastweb, Vodafone e Wind stanno creando).
Il rischio infatti è che non ci sia un coordinamento sufficiente tra i vari progetti di Ngn, «il che porterebbe a uno spreco di risorse, di tempo e a mancate efficienze», dice Cristoforo Morandini, di Between-Osservatorio Banda Larga. Ogni rete farebbe caso a sé, per gli aspetti tecnici (test, gestione, manutenzione) ed economici (rapporto con i fornitori, tra operatori e proprietari delle infrastrutture). I desiderata non finiscono qui: «Perché l’Ngn sia sostenibile, è necessario anche lo switch off della vecchia rete in rame», spiega Stefano Quintarelli. Costruire una Ngn è così costoso che anche la concorrenza di una rete banda larga di vecchio tipo fa paura e toglie preziosi spazi di mercato.
Il problema è che ad oggi c’è un abisso tra questo quadro di condizioni congeniali all’Ngn e lo stato dei fatti. Telecom ha detto che continuerà a camminare da sola con il progetto. No a una società in comune, ma si limiterà a condividere le infrastrutture passive. Come del resto già fa da anni con Fastweb. Eppure sono in tanti a ribadire che bisogna unire gli sforzi su una sola Ngn: l’hanno detto, tra gli altri, anche Corrado Calabrò (presidente di Agcom) e Franco Bassanini della Cassa Depositi e Prestiti. Lo switch off? Lo sperimenterà a Milano nel 2015. «All’apparenza questo sembra un messaggio di grande apertura, ma in realtà taglia le gambe ai concorrenti», commenta Quintarelli.
Incertezza
Dato il contesto di disaccordo, non sorprende che ciascuno dei progetti abbia elementi di incertezza. «Quello dei tre operatori è apparso più una dichiarazione d’intenti che un piano operativo certo», dice Luca Berardi, analista di Idc. Riassume un pensiero condiviso tra gli esperti: i tre dicono che vorrebbero cablare 15 città in cinque anni, ma aggiungono che la condizione è la compartecipazione da parte di Telecom. Ancora più debole il fondamento di un secondo obiettivo espresso dai tre: coprire 500 città in 5-10 anni, pari al 50% della popolazione italiana. Più un desiderio per l’Italia che un piano programmatico, appunto. Telecom ancora invece non ha detto quanto intenda investire in Ngn, per raggiungere le 13 città del proprio piano. Ha dichiarato 7 miliardi di investimento dal 2010 al 2012 in generale per la rete d’accesso, senza distinguere tra rame e fibra. Il piano della Regione deve essere ancora presentato alla nuova giunta (forse entro maggio). Quello di Trento deve ricevere ancora il via con una delibera di giunta e comunque nei prossimi mesi sarà solo «una micro sperimentazione in cinque-sei zone sparse nel Trentino e qualche decina di utenti», dice Sergio Bettotti, dirigente dei sistemi informativi della Provincia di Trento.
In questo caos, sarebbe auspicabile un ruolo forte di coordinamento e di indirizzo, da parte di Agcom e del governo. Da Agcom si aspettano regole chiare sull’Ngn, promesse da tempo e che potrebbero arrivare a luglio. Il governo al momento ha solo tavoli aperti con le Regioni per la banda larga contro il digital divide e non ha mai lavorato sull’Ngn. Date queste premesse, è improbabile che ci sia presto una svolta verso un progetto condiviso su scala nazionale.