Sempre frastagliato lo scenario USA sulle al crocevia tra digitale, copyright e diritti dei consumatori. A favore i questi ultimi, va subito segnalato un passo avanti sul fronte legale. La scorsa settimana una corte federale di Los Angeles ha dato via libera alla Electronic Frontier Foundation nel rappresentare gli utenti apparecchi ReplayTV che hanno querelato 28 aziende cinematografiche e televisive. La denuncia — firmata da Craig Newmark, fondatore della nota lista-comunità della Bay Area craigslist.org, ed altre quattro persone — mira ad affermare il diritto di costoro a registrare programmi TV saltando automaticamente gli spot pubblicitari, funzione consentita da analoghi video-recorder digitali e ritenuta invece un “furto” dall’industria dell’entertainment. Nello specifico, i legali di quest’ultima avevano cercato di impedire agli avvocati della EFF la consultazione di una un’estesa mole di documenti, parte integrante dell’iter giudiziario in corso. A sostegno di questa tesi, gli studios Hollywood definivano la EFF un “diretto rivale” per via delle proprie posizioni sulle leggi in tema di copyright nonché in quanto sponsor di proposte legislative di segno opposto, incluso il recente Consumer Broadband Digital Television Promotion Act.
Posizione respinta dal giudice distrettuale Judge Eick, per il quale tale tesi “non dimostra con sufficiente chiarezza la presenza di rischi o pericoli” derivanti dall’accesso a informazioni confidenziali ai legali della EFF. Aggiungendo, nel dispositivo della sentenza, come l’eventuale restrizione all’accesso dei documenti “avrebbe danneggiato in maniera significativa l’accertamento della querela di Newmark, impedendo agli avvocati della EFF di operare nelle vesti di consiglieri legali.” Un importante successo che, nelle parole di Cindy Cohn, Legal Director della EFF, testimonia il diritto dell’associazione “sia a rappresentare pienamente i nostri clienti sia ad attivare azioni di sostegno pubblico nel Congresso e nella pubblica arena.”
Prosegue nel frattempo la campagna a tutto campo lanciata sempre da Hollywood contro la cosiddetta “pirateria digitale.” Dopo le pressioni contro rettori e campus universitari, arrivano ora le missive dirette ai responsabili di un migliaio tra le maggiori aziende statunitensi. Obiettivo? Richiedere con forza il controllo delle attività dei singoli, in questo caso i dipendenti aziendali. Ai quali andrebbe limitato e/o impedito l’utilizzo delle reti interne ad alta velocità per il download di materiale sotto copyright tramite noti servizi peer-to-peer quali Kazaa e Gnutella, soprattutto nel caso di file musicali e filmati vari. Nel testo della lettera — firmata da Recording Industry Association of America, Motion Picture Association of America, National Music Publishers’ Association, Songwriters Guild of America — si legge tra l’altro: “Vi esortiamo a prendere le misure necessarie per esser certi che il vostro network non venga utilizzato in maniera inappropriata per infrazioni alle opere sotto copyright. Ricorrere alla tecnologia per rubare musica e film non è affatto diverso dall’entrare in un negozio e rubare un CD o un DVD.” Immancabile conclusione, le minacce tutt’altro che velate: in simili situazioni, le stesse aziende potrebbe essere ritenute responsabili (e quindi passibili di denuncia) per reati contro le leggi a tutela del copyright commessi dai propri dipendenti.
A completamento del quadro attuale, ecco le agenzie pubblicitarie sperimentare con strategie atte specificamente a superare certi “impasse” garantiti dal digitale. Come quella proposta da un nuovo network del via cavo, Fine Living, con l’immissione di discreti messaggi per gli acquisti direttamente all’interno dei varie trasmissioni TV. Così da circumnavigare le opzioni automatiche anti-spot presenti in modelli quali TiVo o ReplayTV oltre che l’affannato zapping manuale degli spettatori. Trovata tutt’altro che nuova, comunque, vista la stretta somiglianza con le tecniche stile anni ’50, quando ogni programma aveva un proprio sponsor ed spettava agli stessi conduttori segnalare di tanto in tanto tale sponsor, preferibilmente con battute sagaci e divertenti. Qualcosa che accade di frequente ai nostri giorni, ad esempio, sulle emittenti di PBS, la rete pubblica radio-TV. Per l’occasione Fine Living propone tuttavia un discreto ma importante ritocco: l’avvio di una serie di piccoli episodi da un minuto ciascuno inseriti nel programma e con voce narrante in sottofondo, mentre sul video scorre il logo dello sponsor.
Iniziativa tutt’altro che trascinante, almeno per ora, considerato che i maggiori inserzionisti del network via cavo (BMW, Prudential Financial, Viking Range) continuano a preferire i tradizionali spot da 30 secondi a cavallo tra i vari programmi. Tanto è vero che la stessa Fine Living considera le nuove proposte come un “valore aggiunto” agli acquisti di spazi tradizionali da parte degli stessi inserzionisti. È presto, per dire se simili esperimenti possano trovare seguito o meno, anche se rivelano un certo fondamento soprattutto nel caso di TV di nicchia come Fine Living, il cui target è quello di persone agiate e acculturate, attratte da trasmissioni sofisticate sulla qualità della vita e su attività varie, di “persone reali interessate a cose reali”, come recita uno slogan ad hoc. Un percorso analogo a quello seguito da giovani soggetti del via cavo quali Food Network, Home & Garden Television, Do-It-Yourself Network — non a caso, filiazioni dell’unica azienda-madre Scripps Networks, come lo stesso Fine Living. Quest’ultimo è stato lanciato la scorsa primavera e vanta un’audience superiore ai 13 milioni di famiglie, operando all’interno dei servizi offerti da Time Warner Cable.