Se la pubblicità è l’anima del commercio, c’è chi dice che la politica è il commercio dell’anima. Gira infatti (assolutamente, infondatamente) l’opinione populista che certi politici facciano promesse elettorali a esclusivi fini di marketing. Che le opinioni professate in un momento possano poi cambiare, essendo state veicolate solo sulla base di più o meno rozze strategie di autopromozione. Che le bandiere e le ideologie si possano cambiare indipendentemente dal mandato che si sarebbe ricevuto dagli elettori (figuriamoci). Qualche qualunquista arriva addirittura a sostenere che ci siano politici il cui cartellino sia stato messo in vendita, manco fossero dei calciatori o dei soldati di ventura. Opinioni da cui, in quest’Italia moderna e sempre più unita – in occasione del suo bel compleanno – ogni persona ben pensante ovviamente si dissocia. Ma opinioni che esistono e che vanno tenute in conto.
Trust, but verify
Chiaramente il problema è sempre stato tener traccia di quanto detto rispetto a quanto fatto, di quanto detto in un certo momento e quanto sostenuto in un momento successivo. Difficile tenere traccia ed averne memoria, a meno di mettersi a fare ricerche d’archivio o a andare in verticale con i motori di ricerca. La cosa è complicata, anche perché la funzione di aggregatore imparziale che dovrebbero svolgere i mass media non sempre è svolta al di sopra di ogni sospetto, separando fatti ed opinioni. Per di più possiamo temere una sostanziale riduzione della disponibilità libera e gratuita di content giornalistici, viste le prospettive che il lancio di modelli di remunerazione editoriale da parte di Google e di Apple potrebbero portare; per capirci, modelli di pay per content sempre più diffusi – al punto di far diventare economicamente poco sostenibile l’acceso a molte fonti blasonate per confrontare e farsi un’opinione. Certo ci sono le nuove forme di giornalismo, interessanti, ma che vedo al momento fare fatica sul fronte della noiosissima cronaca parlamentare e delle notizie non sui grandi scandali, ma sull’operato di politici più o meno oscuri, ma che comunque qualcuno ha votato e potrebbe essere interessato a monitorarne il comportamento nei fatti.
La sfida di Openpolis
A fronte di queste problematiche segnalo openpolis, un progetto che si propone di permettere visibilità ai fatti in una prospettiva storica, in modo che si possa «praticare direttamente e concretamente l’accesso alle informazioni pubbliche, la trasparenza dei dati, la partecipazione democratica». Un sito che tiene traccia di tutti i 130.000 politici eletti, dal parlamento europeo fino al più piccolo comune d’Italia. Che monitora gli incarichi, le carriere nei partiti e nelle aziende, i voti espressi e le presenze nelle istituzioni. Che permette di raccogliere e condividere le dichiarazioni e gli impegni assunti su ogni argomento per avere memorie e confronti. In un ottica crowdsourced, partecipativa. Sullo specifico del servizio non mi pronuncio, non sono in grado di valutare. Ma valuto l’idea. E mi piace. Mi sembra molto in linea con il desiderio di trasparenza, di autenticità che tanto caratterizza questa nostra rete con i suffissi numerici e/o social.
Non è il festival di Sanremo
Certo bisogna avere voglia e tempo, impegno, non essere superficiali. Essere davvero interessati a seguire la vita politica e a fare scelte consapevoli ed informate. Partecipare alla vita politica non come soggetti passivi, distanti, adagiati in un generico “sono tutti uguali, non vale la pena”. Ma questo è il limite di qualsiasi strumento di pensiero e di informazione, di approfondimento e riflessione che sia un filo più complesso del festival di Sanremo. E si ricade, ancora una volta nelle riflessioni fatte a suo tempo sul fatto che gli utenti della Rete non si contano ma si pesano. E che, purtroppo, il livello sembra essere un po’ basso. Che quelli che hanno certi strumenti culturali sono un po’ pochini; il che pone un grande problema in un assetto democratico dove contano i numeri, non la capacità di pensiero – con tutti i relativi discorsi sui meccanismi di formazione dell’opinione pubblica. Ma di questo, magari, parleremo un’altra volta.