Si scalda il fronte dei brevetti sul software. Soprattutto per le preoccupanti notizie in arrivo dalla scena europea, legate al recepimento della ormai famigerata direttiva nome come EUCD (European Union Copyright Directive, 2001/29/CE). In Italia, l’iter legislativo nelle commissioni sta per portare quelle norme alla Camera, dove se ne prevede l’approvazione. In nome della presunta tutela del copyright, sono a rischio ancora una volta le libertà digitali degli utenti, nonché il futuro dello sviluppo e della ricerca in campo informatico. Monta ovviamente l’opposizione, con petizioni online e accurate campagne d’informazione. Mentre si amplia anche in Europa l’eco suscitata da qualificati interventi dall’ambito statunitense.
È nuovamente il caso di Lawrence Lessig, professore di legge a Stanford ed esperto internazionale sui temi legati alla proprietà intellettuale. In un articolo apparso la scorsa settimana sul londinese Financial Times, Lessig s’indirizza specificamente ai governi europei: “Il sistema americano [dei brevetti sul software] è fallace, con grande detrimento dell’intero settore, e non esiste alcun motivo per ritenere che l’Europa possa far meglio.” Un’opinione ribadita tra l’altro dagli stessi programmatori USA, i quali anziché essere tutelati da tale sistema sui brevetti, sono i primi a subirne le restrizioni: oggi è pressoché impossibile scrivere un programma senza dover imbattersi in qualche funzione già brevettata da altri, spesso impossibile da aggirare. Con il risultato che molti abbandonano e l’innovazione ristagna. A meno che, ovviamente, non si tratti di mega-corporation tipo IBM — la quale può “imporre” a chiunque altro proficui scambi sulle relative licenze, grazie alle migliaia di brevetti posseduti praticamente in ogni campo.
Aggiunge Richard Stallman, ideatore del movimento del software libero, “oggi lo sviluppo del software è come attraversare un campo minato: ad ogni decisione progettuale si rischia di mettere il piede su un brevetto capace di far saltare in aria l’intero progetto.” Rincara la dose lo stesso Lessig: “Non è certo una novità che il sistema dei brevetti USA sia in chiara crisi… fin dall’inizio l’esistenza di un simile monopolio di stampo governativo è stata accolta con scetticismo… e se dalla fondazione della repubblica americana il Congresso ha avuto il potere di assegnare ‘diritti esclusivi’ agli ‘inventori’ sulle proprie ‘scoperte’, tali diritti avevano comunque uno scopo limitato”. Pessimismo espresso anche dall’ex-deputato repubblicano James Rogan in una recente intervista sul Los Angeles Times: “Questa agenzia è in crisi, e andrà sempre peggio; non fa bene a nessuno far finta che non il problema non esista”. Scenario pi-u che chiaro, dal quale il quotidiano londinese non può non trarre un’ovvia conclusione: “Questo il fatto più sorprendente riguardo i brevetti sul software: quelli che vi si oppongono più duramente in genere sono proprio coloro che dovrebbero invece beneficiarne”.
Nonostante il quadro a tinte fosche dipinto in queste ed altre circostanze da esperti statunitensi, anche l’Italia sembra far orecchie da mercante. E pare volare verso l’introduzione di un analogo sistema, formalmente mirato alla “armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”. Pur se il recepimento della EUCD aveva come scadenza lo scorso Natale, finora soltanto Grecia e Danimarca l’hanno approvata, oltre alla bocciatura della Finlandia. Ma dopo il sì della Commissione parlamentare sulle politiche EU e della Commissione Cultura, Scienze e Istruzione, si fa più vicino il semaforo verde della Camera. Eppure si tratta di una direttiva contestatissima, che oltre tutto riflette parecchie delle norme liberticide del più deleterio Digital Millennium Copyright Act (DMCA) statunitense. Le maggiori critiche al provvedimento europeo in particolare riguardano il fatto che, ampliando la tutela del diritto d’autore a vantaggio di editori e major varie, si soffoca lo sviluppo e la ricerca, finendo altresì per imporre conseguenze disastrose per l’intera società: dal blocco dell’innovazione tecnologica alla diminuzione della libertà nell’uso dei dispostivi digitali da parte degli utenti.
Ma non è ancora detta l’ultima parola. Da qualche giorno va intensificandosi l’informazione e l’attivismo, puntando ovviamente sulle risorse online. Da seguire un articolo alquanto dettagliato uscito su Quinto Stato, come pure l’aggressivo comunicato stampa firmato da soggetti diversi e indirizzato ai deputati, in cui si legge tra l’altro: “l’approvazione di questo testo è un grave errore, che porterà notevoli erosioni dei diritti dei cittadini e degli utenti, come fruitori di opere coperte da diritto d’autore e come titolari di libertà civili.” È inoltre attiva una campagna di sensibilizzazione sui pericoli della EUCD, curata dall’Associazione Software Libero e mirata a informare il grande pubblico sulle “norme che colpiscono i diritti di utenti, ricercatori, sviluppatori di software libero”. È chiaro che queste e analoghe iniziative dovranno trovare rapidamente sbocchi più ampi, onde stimolare l’interesse e il dibattito pubblico su questioni che nel futuro prossimo si riveleranno vitali per tutti i cittadini, non solo quelli online. Insomma, non è affatto il caso, come ribadisce ancora il documento dell’Associazione Software Libero, di lasciare “mano completamente libera alle grandi case di distribuzione (case discografiche, major cinematografiche, case editrici), senza nessun elemento di tutela legislativa a favore del fruitore.”