Di che cosa parliamo
- Che cosa c’è dentro la cannabis
- Come la cannabis ispira lo scultore Michael Marras
- Che cosa succede nel corpo umano quando si assumono derivati dalla cannabis
- Come la cannabis favorisce le creazioni del musicista Mark Karan
- Qual è la storia della cannabis
Che cosa c’è dentro la cannabis
Le proprietà psicoattive dell’erba
La cannabis contiene centinaia di composti chimici, ognuno con i propri effetti e funzioni. Alcuni di questi composti, come la clorofilla, gli acidi grassi omega e i lipidi, sono comuni a molte specie di piante. Altri composti sono specifici della cannabis.
Quando si parla delle proprietà psicoattive dell’erba, ci si riferisce principalmente ai cannabinoidi e ai terpeni.
Cannabinoidi
I cannabinoidi interagiscono con il sistema endocannabinoide del nostro organismo per sintetizzare gli effetti psicoattivi e terapeutici che conosciamo e amiamo. Il cannabinoide di cui si parla più frequentemente è il THC, ma è solo uno dei tanti cannabinoidi presenti nell’erba.
Ecco alcuni dei principali cannabinoidi che probabilmente incontreremo nella nostra vita di appassionati di cannabis.
Tetraidrocannabinolo (THC)
Ampiamente considerato come il componente più importante per sballarsi o sentirsi euforici, il THC viene rilasciato in modo più efficace quando viene riscaldato, quindi fumandolo, vaporizzandolo o cucinandolo con burro o ghee. Il più delle volte, quando si legge o si sente parlare di THC, è in riferimento al delta-9-tetraidrocannabinolo. C’è un composto molto simile chiamato delta-8-tetraidrocannabinolo che si trova nella cannabis e nella canapa. Nella maggior parte dei casi, il delta-8 provoca effetti psicoattivi più lievi.
Cannabidiolo (CBD)
Il CBD è sempre più sotto i riflettori per i suoi effetti positivi di rilassamento, mitigazione del dolore, riduzione dell’ansia e delle infiammazioni e il trattamento degli attacchi epilettici.
Il CBD non causa euforia, ma induce un forte senso di rilassatezza. Inoltre, può aiutare a ridurre alcuni degli effetti psicoattivi potenzialmente negativi del THC, come il panico e l’ansia.
Cannabinolo (CBN)
Dotato di lievi effetti psicoattivi, il CBN è un cannabinoide sempre più usato a scopo terapeutico nel trattamento dell’epilessia, dei tumori, della nausea e del glaucoma. Il CBN è un sottoprodotto naturale che può insorgere a seguito della degradazione del THC dovuta al tempo o all’esposizione alle intemperie, ma si trova anche nelle piante coltivate all’aperto.
Cannabigerolo (CBG)
Altro ingrediente non psicoattivo, il CBG agisce su pressione sanguigna, carenza di sonno e infiammazioni. Non è onnipresente come altri cannabinoidi in molte varietà commerciali, ma sta guadagnando popolarità.
Terpeni
Quando si parla di cannabis con un vero appassionato, spesso si parla di terpeni. I terpeni sono gli oli naturali della cannabis in gran parte responsabili dell’aroma e del sapore, quindi se ti imbatti in una varietà dal cattivo odore, o agrumata o che emana odore di formaggio, devi ringraziare i terpeni. Molte persone associano i terpeni specificamente alla cannabis, ma i terpeni si trovano in tantissime piante e fragranze comuni. Ogni varietà di cannabis può contenere più terpeni, che contribuiscono alla ricchezza dell’aroma e all’insieme degli effetti. Ecco alcuni dei terpeni che incontrerai comunemente se entri in un dispensario.
Limonene
L’odore del limonene fa fede al suo nome: agrumato e delizioso. Si pensa che elevi l’umore e allevi lo stress e si trova anche nella scorza degli agrumi. Le varietà più popolari contenenti limonene sono, tra le altre, Wedding Cake, MAC, Purple Hindu Kush e Berry White.
Linalolo
Immaginate di camminare in un campo di lavanda. Quella sensazione rilassante e calmante che potresti provare è dovuta al linalolo. Le varietà caratterizzate dalla presenza di linalolo hanno spesso un profumo floreale. Fumando varietà ricche di linalolo, come Do-Si-Dos o Kosher Kush, potresti sentire meno ansia.
Pinene
Il pinene è forse il terpene più frequente in natura. Anche in questo caso l’odore fa fede al suo nome: rinfrescante e che ricorda il pino. Il pinene esiste naturalmente nelle conifere, nel basilico e nel rosmarino, ed è apprezzato per i suoi effetti energizzanti. Le varietà più popolari contenenti pinene sono, tra le altre, Blue Dream, Cannatonic, Grape Ape e Cotton Candy Kush.
Humulene
È il momento delle varietà terrose come Sour Diesel, White Widow e Girl Scout Cookies. La cannabis ad alto contenuto di umulene è spesso definita dank. L’umulene si trova anche nei chiodi di garofano e nel luppolo. Si pensa che abbia proprietà antinfiammatorie.
Cariofillene
Il cariofillene è un terpene molto speziato che si trova in varietà come OG Kush, Chem Dog, Sour Diesel e Bubba Kush. Si trova naturalmente anche nel pepe nero, nella cannella e nei chiodi di garofano.
Si ritiene che il cariofillene interagisca con i recettori CB2, quindi è comunemente usato negli antinfiammatori a uso topico. Ha anche proprietà antidepressive.
Mircene
Deliziosamente terroso, il mircene è noto per le sue proprietà calmanti. Si trova nella citronella, nel luppolo e nel mango, ma nel mondo della cannabis si trova spesso nelle varietà Blue Dream e White Widow.
Come la cannabis ispira lo scultore Michael Marras
Tanto nel suo percorso creativo quanto nelle sue esperienze con la cannabis, Michael Marras ha imparato presto che i costrutti convenzionali dell’istruzione scolastica e della vita non erano adatti al percorso a cui era destinato. Ricorda una breve scintilla di appagamento precoce nella scuola elementare, quando il suo insegnante lasciò che la classe trasformasse la loro aula sterile in una foresta pluviale. Fu una sensazione magica: la classe si era trasformata in un posto dove voleva passare il tempo e dove gli piaceva imparare. Altri insegnanti si lamentarono, tirando in ballo il codice antincendio, e la foresta pluviale della classe venne rapidamente smantellata. Dopodiché, per Marras la classe era diventata un luogo ancora più triste, perché aveva visto ciò che avrebbe potuto essere.
Come molti bambini che crescendo diventano artisti, Marras si sentiva bene solo quando poteva usare la sua immaginazione e le sue capacità creative, ma dopo la scuola elementare le opportunità artistiche divennero sempre più rare. Per lui, la scuola era un luogo poco invitante che spegneva la sua creatività. Aggiungiamo che gli fu diagnosticato un disturbo da deficit di attenzione e gli venne prescritto un pesante dosaggio di Adderall per aiutarlo a concentrarsi, e capiremo perché si sentiva distante, senza stimoli e disinteressato a ciò che la scuola aveva da offrirgli.
Per ironia della sorte, Marras scoprì per la prima volta l’erba attraverso il programma D.A.R.E. della sua scuola. Lui e i suoi amici avevano sempre creduto agli stereotipi che dipingevano gli spacciatori come inavvicinabili, minacciosi o pericolosi. Nel corso del programma D.A.R.E., Marras venne avvertito che gli spacciatori avrebbero cercato di essere suoi amici per vendergli la droga, il che glieli fece subito apparire meno spaventosi e molto più avvicinabili. Lui e i suoi amici allora si recarono nella casa nota nel quartiere per il traffico di droga, comprarono dell’erba e cominciarono a sperimentarla.
Alle superiori, fumare erba consentiva a Marras di concentrarsi e affrontare la giornata senza i fastidiosi effetti collaterali dei farmaci per il suo disturbo. E così si convinse.
Ho capito che per me era meglio delle pillole. Non mi piaceva come mi facevano sentire. Se avevo fumato la cannabis giusta, potevo restare concentrato per tutto il tempo che volevo, ma potevo lo stesso mangiare e anche dormire la notte.
Oggi, Marras è un artista di successo, che porta le sue fantasie creative nella realtà. Vive e lavora a Los Angeles, dove inventa e fabbrica sculture di metallo di grandi dimensioni molto dettagliate. Definisce la sua opera mitorobotica, perché attinge da influenze della mitologia greca (è di origine greca) e da un’estetica futuristica e robotica.
Nella carriera professionale di Marras, la cannabis ha continuato a fornire un utile mezzo di concentrazione. Quando si stanca o si sente esausto, qualche tiro di chilum lo rimette in sesto e può tranquillamente andare avanti a lavorare per qualche ora.
Di sicuro mi aiuta sia fisicamente sia mentalmente ad andare avanti e a raggiungere un altro stato, un altro livello. Le prime otto ore di lavoro sono molto meditative; poi passo a un livello in cui non penso nemmeno al lavoro. Quasi non vedo più niente e passo semplicemente da una fase all’altra.
In base alla sua esperienza, la cannabis è indicata per certe applicazioni più che per altre.
Quando scrive storie per i personaggi che crea, l’erba gli rende più difficile concentrarsi. Gli sembra di dimenticare tutto quello che ha imparato sulle tecniche di scrittura, e gli capita di rado di essere soddisfatto di quello che ha scritto sotto l’influenza della cannabis.
Ma quando si tratta di immaginare trame, personaggi e mondi, il fumo lo aiuta a mettersi in contatto con la sua musa creativa. L’erba non crea le sue idee, ma lo aiuta a trovare il modo di sostenerle e svilupparle ulteriormente.
A volte passa anche un mese senza fumare, e queste pause gli offrono l’occasione per riflettere e fare chiarezza. Attribuisce il suo livello di introspezione e di responsabilità personale al fatto di essersi preso del tempo per pensare alla sua vita e al suo lavoro da una posizione di chiarezza. Non vuole arrivare al punto in cui l’erba costituisce il suo stato mentale quotidiano. È uno strumento con uno scopo specifico. Spiega:
Personalmente raccomando alle persone di fare lunghe pause, soprattutto se fumano da sempre. Ho scoperto che smettere di fumare mi fa ripensare a tutto ciò che non ho mai elaborato quando ero sotto l’effetto della cannabis. Cose su cui non ho mai riflettuto. Dopo averle elaborate e superate, allora posso tornare alla cannabis. La uso in modo da non bloccare le emozioni. Credo che ogni pausa aumenti il potenziale di ciò che può fare l’erba nell’ambito del mio processo creativo.
Nel suo lavoro, Michael Marras paragona l’erba alla piuma di Dumbo. Può volare anche senza, ma è bello averla per ricordarsi che esiste anche questa possibilità creativa. Ho questa, mi dice, tenendo in mano la sua piuma immaginaria. Mi ha portato in tanti posti, ma non è assolutamente necessaria. So esattamente come funziona, quindi posso scegliere se usarla o meno, ma ora ho un maggiore controllo sul processo, sapendo che vantaggi mi darà.
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Che cosa succede nel corpo umano quando si assumono derivati dalla cannabis
Cosa succede esattamente nel cervello quando fumiamo uno spinello o mangiamo una caramella gommosa alla marijuana? Beh, è complesso. La cannabis contiene oltre cento composti chimici chiamati cannabinoidi. Tali sostanze chimiche sono presenti in quantità e in proporzioni diverse a seconda della varietà. Questa è una delle ragioni per cui è difficile stabilire in assoluto che cosa la cannabis fa o non fa al nostro corpo e alla nostra mente. Ogni varietà è a sé.
La sostanza che ci interessa soprattutto è il tetraidrocannabinolo (o THC, noto anche come delta-9-tetraidrocannabinolo) perché è l’ingrediente psicoattivo principale della cannabis. Il THC e altri cannabinoidi interagiscono con un sistema biologico del corpo chiamato sistema endocannabinoide.
Quando fumiamo, è il sistema endocannabinoide che permette al nostro corpo di sentire gli effetti dell’erba. È responsabile delle sensazioni di euforia, attenuazione del dolore, fame e altre condizioni generalmente associate all’assunzione di marijuana.
Il sistema endocannabinoide
Il corpo umano e tutte le sue parti funzionano come un meccanismo ben lubrificato. Proprio come le reti del cervello lavorano insieme per alimentare il pensiero creativo, gli apparati del corpo ricevono e trasmettono costantemente segnali e reazioni.
Tra gli apparati che ci permettono di sopravvivere c’è il sistema endocannabinoide. Quando ero più giovane, e non avevo ancora svolto tutte queste ricerche, nella mia ingenuità credevo che la presenza di questo sistema indicasse che la natura avesse sviluppato questa parte del corpo esclusivamente per consentirmi di riconoscere la marijuana e di subirne gli effetti. È un malinteso comune, e ha una sua logica. Se avessi un recettore denominato dagli scienziati sistema di accettazione del pacciame di corteccia, sarei portata a credere che una qualche parte del mio corpo si è sviluppata per permettermi di metabolizzare il pacciame di corteccia.
In realtà, il sistema endocannabinoide ha questo nome perché i ricercatori l’hanno scoperto per la prima volta mentre studiavano gli effetti della cannabis sui soggetti dello studio. Invece di chiamare i recettori in base alle loro originarie funzioni biologiche (che ancora non avevano determinato), hanno dato loro un nome che riflettesse la sostanza psicoattiva che li utilizza. È un po’ come procedere al contrario, ma tant’è.
Il sistema endocannabinoide comprende tre componenti principali: i recettori degli endocannabinoidi, gli endocannabinoidi e gli enzimi metabolici.
I recettori degli endocannabinoidi sono presenti in tutto il nostro organismo, sia nel cervello sia nel corpo. Ci sono due tipi specifici di recettori, CB1 e CB2, chiamati così in base all’ordine in cui sono stati scoperti. I recettori CB1 si trovano nel cervello e in altre parti del corpo e sono ricettivi alle proprietà psicoattive e di miglioramento dell’umore della cannabis. Svolgono inoltre un ruolo di attenuazione del dolore. I recettori CB2, presenti in tutto il corpo, non rispondono agli elementi psicoattivi della cannabis, ma sono collegati alla risposta infiammatoria, al trattamento del dolore e al sistema immunitario, alcuni degli altri benefici comunemente segnalati da chi fa uso di cannabis. Gli endocannabinoidi sono sostanze chimiche di origine endogena, cioè prodotte naturalmente dal corpo per interagire con i recettori degli endocannabinoidi. I due endocannabinoidi che conosciamo attualmente sono l’anandamide e il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG).
L’anandamide, che prende il nome dalla parola in sanscrito ananda, che significa beatitudine, ha una varietà di funzioni nel corpo umano. È legato alla riduzione della sensazione di paura o di ansia, all’aumento dell’appetito e al rallentamento dell’attività. Si crede anche che sia legato alla memoria, alle funzioni motorie e alla percezione del dolore. Posto che l’organismo produce naturalmente un endocannabinoide con questi effetti, potresti chiederti perché non ci sentiamo sempre sotto l’effetto della cannabis.
Il corpo produce sostanze chimiche come l’anandamide solo quando servono; inoltre, queste non permangono nel nostro organismo così a lungo come come i cannabinoidi esterni. Vengono rilasciate secondo necessità per mantenere l’omeostasi e si degradano piuttosto rapidamente una volta esaurita la loro funzione.
Il 2-AG, l’altro endocannabinoide, interagisce con i recettori CB1 e CB2, ed è associato alla soppressione della nausea, a effetti analgesici e all’inibizione della crescita tumorale, il che spiega perché la cannabis è così comune tra i pazienti oncologici.
I recettori CB1 si trovano in tutte le parti del cervello coinvolte nella rete deputata al controllo esecutivo, nella rete della salienza e nella rete della modalità di default. Quando fumiamo, introduciamo un cannabinoide esogeno (o di origine esterna) direttamente nelle aree profondamente legate al processo creativo.
Come la cannabis favorisce le creazioni del musicista Mark Karan
Mark Karan ha alle spalle una lunga carriera come chitarrista e cantante. Meglio conosciuto come il primo chitarrista della band RatDog, insieme a Bob Weir, ex Grateful Dead, Karan si è esibito anche con una serie di importanti band di blues, rock, reggae, funk e di genere Americana.
Jordana Wright: Puoi darmi qualche informazione sul tuo percorso artistico?
Mark Karan: Beh, sono musicista, cantante, autore, chitarrista, produttore, ed ero il primo chitarrista dei RatDog. Ho sempre fatto musica sia per lavoro che per passione. Ho potuto vivere la fantastica esperienza del movimento controculturale di San Francisco e compagnia bella. Quindi ho imparato a conoscere l’erba molto presto. L’ho scoperta per la prima volta quando avevo circa 11 anni, e l’LSD quando avevo circa 13 anni.
Ho avuto anche qualche problema di dipendenza. Non bevo alcool e non faccio uso di cocaina da circa 36 anni, ma dopo circa 16 anni ho deciso che l’erba non mi aveva mai dato problemi. Erano 16 che non bevevo alcool e non usavo cocaina, e non mi sentivo davvero a rischio o altro, così ho iniziato a seguire quello che molte persone chiamano affettuosamente e scherzosamente il programma di mantenimento della marijuana. Era la mia versione dell’astensione. Non avrei ripreso a usare droghe pesanti, alcool, eccetera, ma per me l’erba e le sostanze psichedeliche non rientrano in quelle categorie, e penso che offrano un sacco di benefici che quegli altri tipi di droghe non hanno. E questo mi è andato molto bene per circa 20 anni.
Che effetto ha il fumo sulla tua creatività?
Nella mia esperienza, fumare mette a tacere il mio critico interiore. Posso cadere nella trappola di sentirmi giudicato dai miei colleghi musicisti o dal pubblico o sentirmi come se facessi schifo. E anche se sai che non è vero, quelle piccole voci che senti in testa possono avere molto potere. Con l’erba, riesco a seguire il sentiero della musica. Sono così profondamente coinvolto nella musica che, anche se probabilmente non sono un granché per quanto riguarda sorridere al pubblico e coinvolgerlo e tutto il resto, penso di essere piuttosto gratificante come musicista per chi davvero vuole vedere la creatività in azione, perché è questo quello che succede.
Quindi ti sembra che migliori anziché attenuare l’esperienza creativa?
Oh, assolutamente, sì. Per come me lo immagino nella mia testa, le mie orecchie diventano molto grandi e posso sentire tutto quello che fanno tutti. E a questo si accompagna tutta una serie di idee e risposte di grande ispirazione. Per me, questa è la grande differenza rispetto a una droga come la cocaina, l’alcool, lo speed, quel tipo di droghe lì. A mio avviso quelle sono concepite per far chiudere le persone in se stesse. È come se dicessi: Sto soffrendo. Non voglio sentire più niente. Adesso prendo questa droga. Per come la vedo io, queste droghe sono nate per per farti uscire da te stesso. L’erba e le sostanze psichedeliche, invece, aprono la mente e il cuore.
L’erba influisce in qualche modo sulla tua destrezza fisica quando suoni?
Penso che si richiami alla faccenda di mettere a tacere il mio critico interiore. Se mi sento a disagio, il mio cervello mi porta a fare cose che so fare già, il che è noioso. Quando divento così, il disagio non fa che aumentare, è come se entrassi in un circolo vizioso. Poi, certo, magari i miei movimenti diventano più impacciati, goffi. E questo succede se non ho fumato. Se invece ho fumato, entro in connessione diretta con la mia fisicità, ma il mio è un processo mentale, spirituale ed emotivo. Sono così addentro nel flusso creativo che il mio corpo sembra seguire naturalmente. I movimenti diventano più automatici e facili. Sono i processi mentali che possono ostacolare la nostra fisicità o il flusso dei nostri movimenti. L’erba attenua molto questo aspetto, in modo che tutto possa svolgersi come si svolgerebbe naturalmente.
Fumi quando vuoi essere creativo, oppure quando fumi diventi di conseguenza più creativo?
Beh, in questo momento mi trovo a un punto di svolta: sto effettivamente riflettendo se continuare a fumare oppure no. Sono diventato assuefatto in modi che non trovo costruttivi. Non voglio sentirmi come se stessi abbandonando il campo o come se l’erba fosse diventata, odio usare la temuta parola, una sorta di dipendenza o di automedicazione poco salutare. È davvero dura, però, perché faccio ancora musica, e quando suono voglio ancora fumare per avere un’esperienza migliore. Quindi non mi piace molto l’idea di smettere di fumare, e tuttavia sento un gran bisogno di mettere fine a certi comportamenti che ho iniziato a seguire solo per poter entrare più in contatto con me stesso.
Quando sei sotto gli effetti della cannabis, c’è un livello ideale da raggiungere per aumentare la creatività?
A me bastano due tiri per fare ciò di cui sto parlando. Non ho bisogno di essere strafatto, mi basta essere solo un po’ alterato. Se l’erba è buona, con due, forse tre tiri sono pronto a suonare, e questo di solito mi basta per tutta una sessione.
Suonare con gli altri è la cosa più appagante dal punto di vista creativo per te?
Spesso, quando suono in gruppo, succede una cosa un po’ strana: tendo a sperimentare quello che definirei una specie di telepatia. È qualcosa che ho sperimentato ancora più intensamente quando io e i miei amici più stretti ci facevamo grandi quantità di acido insieme. Potevamo capirci senza parlare. Questo succede con l’erba quando suono. Se sono fatto, e sono davvero intento a suonare, non penso a niente in particolare e non vedo niente. Non penso al fatto che sto suonando. Non penso a cosa suonerò dopo né esamino quello che ho appena suonato o non indugio sul fatto che ho appena fatto un errore, niente di tutto questo. Mi lascio semplicemente andare. Sto zitto e vedo cosa succede. E quando mi affido totalmente alla musa della creatività sento le idee degli altri, le quali accendono altre idee nel mio cervello mi aprono dei percorsi, delle destinazioni. Quindi è questo che cerco quando fumo. Posso aprire queste linee di comunicazione?
Suonando la chitarra da solo posso diventare molto creativo, ma la vera felicità la provo con la creatività che sento quando il tutto è più grande della somma delle parti. Il fatto di fare tutto questo in gruppo è una vera gioia. Una vera liberazione per me.
Qual è la storia della cannabis
È quasi impossibile separare l’elemento umano dalla storia della cannabis. Gli esseri umani hanno accettato il valore di questa pianta per migliaia di anni: è bastata una manciata di semi intascati lungo una rotta commerciale per introdurla in quasi tutti i continenti e garantirle l’accesso ad alcune delle epoche più significative della storia umana.
Uso pratico, medico e religioso
Le prime culture dell’umanità si sono formate e sviluppate attraverso l’integrazione di impieghi pratici e religiosi delle piante. Che fosse a scopo di nutrimento, terapeutico o di comunicazione con gli dei, le piante rappresentavano una risorsa vitale per tutte le culture antiche, dai Maya alle tribù nomadi dell’Asia centrale.
Tra le prime prove dell’uso della cannabis vi sono quelle rinvenute in Cina nel sito del villaggio Pan-p’o. Risalente al 4.000 a.C., il sito conteneva depositi di polline di cannabis e ha confermato le convinzioni degli storici secondo cui la cannabis era una risorsa preziosa per le antiche culture cinesi. Non solo era riportata come una potente medicina nella farmacopea più antica del mondo, ma i cinesi impiegavano la cannabis come fonte di olio, grano, fibre, corda e per una serie di usi psicoattivi. Intorno al 1.000 a.C., la presenza della cannabis è stata documentata in India, dove veniva utilizzata in medicina, nella religione indù e nella ricerca dell’euforia indotta da sostanze psicoattive. Per le culture antiche, la cannabis era una pianta molto generosa.
Nei secoli successivi, commercianti ed esploratori trasportarono la cannabis attraverso le catene montuose e gli oceani. Apparve in Medio Oriente dal 430 a.C., dove gli Sciiti la usavano nelle cerimonie funebri. Come nella moderna pratica dell’hotboxing, bruciavano grandi quantità di cannabis su una pira e si sedevano in un ambiente chiuso aspirando il fumo per i suoi effetti inebrianti.
La canapa, una varietà non psicoattiva di cannabis, proliferò in tutto il Mediterraneo, l’Europa centrale e settentrionale e raggiunse persino l’Islanda, poiché i vichinghi ne apprezzavano la forza e la robustezza per la produzione di corde. La diffusione della cannabis arrivava fino alle montagne del Tibet; la pianta venne introdotta nelle pratiche di parto a Gerusalemme, e attraverso l’Egitto fu importata in Etiopia e altrove.
Attraverso gli esploratori europei, il colonialismo e la tratta degli schiavi, la cannabis è giunta anche nel Nord, Sud e Centro America, dove è stata rapidamente inserita nelle pratiche culturali, medicinali e agricole.
In una forma o nell’altra, la cannabis ha viaggiato in ogni angolo della terra e ha meritato un posto in innumerevoli culture e civiltà. Si potrebbero riempire intere biblioteche con le testimonianze storiche dell’uso della cannabis per scopi medicinali, religiosi e spirituali, e ancora non si arriverebbe a fondo della questione.
Emergono le applicazioni artistiche della cannabis
Mentre la storia antica ha documentato principalmente gli usi medici e religiosi della cannabis, la storia moderna è piena di esempi di comunità artistiche che ne hanno esplorato le capacità creative. Artisti separati da oceani, secoli e dalla immensa variabilità dell’esperienza umana sono uniti nella convinzione che l’erba risvegli l’ispirazione e alimenti la creazione.
Quando si esplora la storia della cannabis e della creatività, alcune comunità si trovano inevitabilmente al centro della scena. Gli scrittori, con la loro padronanza del linguaggio descrittivo, la grande capacità di introspezione e l’abilità di riassumere concetti complessi in idee riconoscibili, assumono il ruolo di preziosi interpreti dell’esperienza di assunzione della cannabis. I musicisti, capaci di suscitare emozioni nel pubblico attraverso testi e melodie, e forti del loro status di celebrità, aggiungono glamour e stile all’ambiente dei consumatori di marijuana. Comici e attori danno voce ai nostri monologhi interiori e sono capaci di riflettere tutta la gioia, l’ilarità e, a volte, l’intensità connesse all’uso della cannabis. Gli artisti visivi creano cibo per gli occhi, riempiendo le tele con sinfonie colorate che catturano la nostra attenzione ed elevano la nostra comprensione della bellezza e della sua rappresentazione.
Gli artisti, si sa, tendono a mescolare la loro vita e le loro opere con quelle di altri artisti, perciò è difficile elaborare un breve resoconto lineare della presenza della cannabis nell’arte, ma riporterò alcuni dei principali movimenti e protagonisti che hanno contribuito a definire questa nozione di cannabis e creatività. La loro convinzione e la loro disponibilità a discutere ed esaminare alla luce del sole gli usi positivi della cannabis ha contribuito ad aumentare la comprensione e l’accettazione della marijuana da parte della società attraverso le generazioni. Gli artisti sono ambasciatori capaci di ridurre il disagio ed estendere l’approvazione della cannabis da parte della collettività.
Il Club dei mangiatori di hashish
Negli anni Quaranta del XIX secolo, un medico francese di nome Jacques Joseph Moreau, dopo aver sperimentato gli effetti dell’hashish durante un viaggio in Medio Oriente, volle assolutamente fare delle ricerche in merito. Con l’aiuto dello scrittore Pierre Jules Theophile Gautier, Moreau reclutò un gruppo di importanti autori e artisti francesi, tra cui Honoré de Balzac, Victor Hugo, Gustave Flaubert, Eugène Delacroix, Gérard de Nerval e Alexandre Dumas, con i quali fondò lo Hashish Club. Moreau è stato il primo ricercatore di cui si abbia notizia a somministrare la cannabis a un gruppo di creativi per studiarne l’effetto in termini di intuizioni ed esperienze. In un certo senso, lo si può considerare il precursore di questo libro. L’approccio di Moreau era leggermente più pratico, ma il suo entusiasmo era ammirevole.
Ai loro incontri parigini, alcuni membri del club ingerivano una miscela di hashish, zucchero e spezie, mentre altri osservavano gli effetti. Le esperienze psicoattive erano al centro della sperimentazione, e gli scrittori erano ansiosi di scoprire come l’hashish potesse favorire l’impulso creativo o ampliare le loro esperienze. Molti membri del club hanno poi raccontato per iscritto le esplorazioni che hanno condotto sotto l’effetto della cannabis, oppure hanno inserito l’hashish in famose opere di narrativa. Nel Conte di Montecristo, Dumas, ispirato dal consumo dell’hashish, scrive:
Siete un uomo d’immaginazione, siete poeta? Assaggiate ancora, e le barriere del possibile spariranno, si apriranno i campi dell’infinito, vagherete libero di cuore, libero di spirito nel regno senza confini della fantasticheria.
Nascita del jazz e fine della cannabis legale negli Stati Uniti
Circa cent’anni dopo, è nata una delle comunità di consumatori di cannabis più note d’America. I pionieri del jazz di New Orleans si affidavano massicciamente alla cannabis, che chiamavano reefer, tea o gage, per trarre ispirazione per la loro musica. Data l’importanza che aveva per loro l’improvvisazione, i musicisti jazz erano attratti dalla cannabis perché sembrava dilatare il tempo e rendere più fluida l’esecuzione. Nel periodo del proibizionismo, inoltre, per molti musicisti fumare la cannabis voleva dire estraniarsi almeno temporaneamente dalle preoccupazioni causate dalle ingiustizie razziali di cui erano vittima negli Stati Uniti.
Louis Armstrong è forse il più noto e dichiarato musicista jazz amante dell’erba, ma è risaputo che altri grandi protagonisti come Cab Calloway, Billie Holiday, Duke Ellington, Mezz Mezzrow e Count Basie fumassero cannabis prima delle esibizioni e delle sessioni di registrazione. La cannabis divenne una caratteristica propria del movimento jazz, che stabiliva affinità e apportava gioia e sollievo, oltre a permettere agli artisti di perdersi nella musica che amavano. Purtroppo, non è possibile parlare dell’impiego diffuso della cannabis tra i musicisti jazz neri e dei relativi vantaggi senza citare anche l’uso razzista che è stato fatto di questa pratica per descrivere i pericoli dell’erba. I politici e i funzionari governativi bianchi demonizzavano il jazz e l’uso dell’erba in egual misura, insistendo sul fatto che entrambi avrebbero portato la fine del proibizionismo, il governo degli Stati Uniti, influenzato soprattutto da Harry J. Anslinger, commissario del Federal Bureau of Narcotics, aveva bisogno di un altro obiettivo su cui dirigere il suo furore puritano. Così, lanciò una guerra propagandistica su larga scala contro la cannabis.
Preferendo il termine marijuana per la sua origine spagnola, il suono esotico e la paura che avrebbe ispirato nei colleghi xenofobi, Anslinger fece di tutto per convincere gli americani bianchi che la cannabis rappresentava una minaccia per la loro sicurezza e per il tessuto sociale. A seguito della sua crociata razzista, nel 1937 fu approvato il Marihuana Tax Act ed ebbe inizio una lunga tradizione, di stampo razzista, di persecuzione e incarcerazione per l’uso, il possesso e la distribuzione della cannabis.
Quello che inizialmente era stato un mezzo attraverso il quale gli artisti cercavano di estraniarsi e trovare nuovi percorsi creativi per esprimere gioia con la loro musica, ha indirettamente portato alla proibizione della cannabis a livello federale tuttora in vigore.
La marijuana e il grande schermo
Al jazz e alla scena musicale degli anni Venti, Trenta e Quaranta del XIX secolo si sovrappone la diffusione della cannabis tra gli attori del cinema di Hollywood. Nei decenni successivi, molti interpreti popolari e icone culturali hanno fatto uso di cannabis sia sul lavoro sia nella vita privata.
Nella sua celebre lettera del 1943 alle truppe americane di stanza in Suriname, Groucho Marx scrisse: La scorsa primavera sono stato abbastanza intelligente da avviare un giardino della vittoria. Per il momento ho tirato su una famiglia di talpe, abbastanza lumache da tenere aperto un ristorante pre-francese per un secolo e una pianta dall’aspetto curioso che ho mangiato tutta l’estate pensando che fosse insalata. Tuttavia, nelle ultime settimane, ho avuto difficoltà a rimanere sveglio e questa mattina ho scoperto che ho mangiato marijuana per tutto luglio. In un’intervista televisiva, Chico Marx spiegò che il nome Groucho derivava dalla cosiddetta grouch bag, una sorta di borsello che portava appeso al collo e contenente varie cose, tra cui un po’ di marijuana.
Mentre per l’attore Robert Mitchum la passione per la cannabis venne fuori dopo l’arresto e la condanna per detenzione nel 1948, altre icone di Hollywood riuscirono a mantenere più riservato il loro uso della cannabis. Montgomery Clift, James Dean, Elizabeth Taylor, Tony Curtis, Steve McQueen e Marilyn Monroe erano solo alcune tra le tante star di Hollywood che si diceva facessero uso di cannabis, anche se le leggi del tempo impedivano a molti di loro di farlo apertamente.
Pare che durante le riprese del film Easy Rider del 1969, Dennis Hopper, Jack Nicholson e Peter Fonda fumassero cannabis per davvero. In un’intervista del 2018, Peter Fonda ha raccontato quanto la cannabis sia stata fondamentale nella scrittura della sceneggiatura, dicendo:
Mentre scrivevo la storia di Easy Rider, mettevo insieme il tutto e prendevo appunti, ero strafatto. Mi ero fatto un paio di canne e credo anche un paio di bottiglie di Heineken, perciò stavo proprio bene, e la storia scorreva via con facilità.
Movimenti di controcultura degli anni Sessanta e Settanta
Easy Rider e la sua posizione anti-propaganda sulle droghe fu resa possibile sotto molti aspetti dai movimenti culturali del decennio che precedette il film. Gli anni Sessanta costituirono l’inizio di un enorme cambiamento culturale i cui effetti sono ancora evidenti sulla società odierna. Il femminismo, il movimento per i diritti civili, la rivoluzione sessuale, la liberazione omosessuale, l’opposizione alla guerra del Vietnam, gli hippy e i beatnik sfidarono l’autorità del governo, l’establishment gestito dai maschi bianchi e la diffamazione generalizzata della droga e degli stili di vita alternativi. Sebbene questi movimenti si concentrassero per lo più su una serie di singoli obiettivi, l’uso della cannabis era per molti un filo conduttore: la si trovava nelle manifestazioni di protesta e nei meeting, e contribuiva a dare coraggio e creare un senso di appartenenza tra chi sfidava lo status quo.
Nel 1966 il poeta Allen Ginsberg, una delle voci più importanti della sua generazione, scrisse un saggio per la rivista The Atlantic intitolato The Great Marijuana Hoax: First Manifesto to End the Bringdown. Nel saggio Ginsberg chiamava in causa Anslinger per le sue rappresentazioni moralistiche, razziste e profondamente imprecise della cannabis e di chi ne faceva uso. Per istruire le masse e sfidare il sentimento anti-cannabis si rivolgeva direttamente a chi non aveva mai sperimentato personalmente l’erba, argomentando sulla capacità della cannabis di espandere la mente e i sensi per fornire intuizioni. Per il suo attivismo, Ginsberg si guadagnò un corposo dossier dell’FBI e rimase sotto stretto controllo federale per tutta la vita.
Allen Ginsberg non era l’unico membro della comunità nota come Beat Generation ad apprezzare le sostanze psicoattive. Infastiditi dalle bugie dei burocrati, scrittori come William S. Burroughs, Jack Kerouac e Neal Cassady tennero raduni pro-marijuana, scrissero voluminose opere incentrate sulle sostanze psicotrope (e da queste alimentate) e lottarono per modificare la narrazione culturale sulla cannabis. Com’è noto, nel descrivere il suo processo creativo, Burroughs affermò:
Indubbiamente, questa droga è molto utile agli artisti: mette in moto associazioni altrimenti inaccessibili, e molte delle scene del Pasto Nudo sono ispirate proprio dall’uso della cannabis.
I visionari che avevano grandi speranze per il futuro della società, molti dei quali erano essi stessi artisti, trovavano conforto e lucidità nella cannabis, anche nel periodo in cui Richard Nixon lanciava la sua campagna di guerra alla droga.
Determinato a screditare e a perseguire l’uso di sostanze psicotrope e stupefacenti, Nixon consolidò e ampliò le agenzie federali che si occupavano del controllo delle droghe e ignorò una commissione federale che raccomandava la depenalizzazione del possesso di cannabis. Anni dopo, John Ehrlichman, un assistente di Nixon, ammise che la guerra alla droga era stata creata per penalizzare le comunità degli hippy e degli afroamericani, contrarie alla guerra, ma questo aveva creato un precedente sia nel governo sia nell’opinione pubblica conservatrice. Il divario tra le comunità conservatrici e puritane e i cosiddetti baby boomer che facevano uso di cannabis crebbe sempre più. Anche artisti come Cheech & Chong, considerati esilaranti da chi ama la cannabis, sembravano invece inasprire i sentimenti anti-cannabis tra i suoi oppositori.
L’hip-hop e il ritorno al mainstream
Negli anni Ottanta, Ronald Reagan ampliò molte delle leggi sulla droga varate da Nixon, mentre Nancy Reagan lanciò la campagna Just Say No. Quello che è stato presentato dal presidente e dalla first lady degli Stati Uniti come un tentativo di proteggere i cittadini dai pericoli connessi all’uso delle droghe ha ulteriormente alimentato la disparità razziale, inasprito le pene per possesso di cannabis e istituito pene minime severe.
Da anni, artisti come Peter Tosh, Bob Marley, Rick James, George Clinton, e altre icone del reggae, del funk e dell’R&B, parlavano apertamente della cannabis nelle loro canzoni, aprendo così la strada ai primi dj e artisti hip-hop impegnati a rispondere direttamente alle campagne e alle leggi antidroga degli Stati Uniti. Facendo leva su un pubblico sempre più ampio e sulla loro crescente notorietà, i rapper hanno avviato un dibattito sulla cannabis con l’obiettivo di normalizzarne l’uso. Da brevi riferimenti en passant si era passati a trattarlo come un importante argomento di conversazione musicale. Tupac Shakur, Biggie Smalls, Dr. Dre, Cypress Hill, Snoop Dogg, OutKast, e Wu-Tang Clan sono stati solo alcuni dei responsabili di questo cambiamento culturale finalizzato a promuovere la trasparenza e l’approvazione dell’uso della cannabis. Hanno presentato il consumo di erba come uno stile di vita totalmente normale, innocuo e piacevole, in grado di alleviare lo stress e generare un senso di appartenenza. Sotto molti aspetti, l’ascesa dell’hip-hop ha riunito in sé il valore musicale e l’evasione sociale di musicisti jazz, e l’anticonformismo culturale caratteristico della controcultura degli anni Sessanta. Gli artisti hip-hop sono diventati i portavoce di una nuova generazione di appassionati di cannabis, parlando apertamente non solo delle qualità positive dell’erba ma dell’ipocrisia e della sproporzionata persecuzione della droga nelle comunità nere.
Insieme alla popolarità dell’hip-hop cresceva anche la moderna cultura della cannabis. I testi tracciavano una linea netta tra l’erba e le altre droghe, e le leggi dello stato della California cercavano di fare lo stesso. Le icone di questo genere musicale sfruttavano la loro popolarità e la loro voce per influenzare l’opinione pubblica e rendere mainstream l’uso della cannabis. C’è voluto del tempo, ma alla fine ce l’hanno fatta. Non saremmo mai arrivati a questo punto se non fosse stato per loro.
Un patrimonio creativo condiviso
Prendendo le mosse dalle intuizioni e dalle esplorazioni delle generazioni di artisti che ci hanno preceduto, gli artisti contemporanei considerano tuttora la cannabis come un mezzo per espandere la mente e accedere ai flussi creativi interiori. Movimenti come la nascita del jazz spiccano come rappresentativi e determinanti nella storia della cannabis negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo e in altre epoche creative sono molti gli artisti che hanno fatto uso della marijuana per i loro processi artistici. Diego Rivera, i Beatles, Jimi Hendrix, Salvador Dalí, Ernest Hemingway, George Carlin, Dave Chappelle, Seth Rogen, Carl Sagan, Bob Dylan, Willie Nelson e Hunter S. Thompson sono solo alcune delle tante e autorevoli figure che hanno trovato conforto e ispirazione nell’erba.
Per questi e molti altri artisti, la cannabis rappresenta un mezzo per contrastare le pressioni esterne ed interne, per passare attraverso giudizi, dubbi, perfezionismo e paura e superarli. Le idee emergono, diventano più chiare e prendono forma concreta. Fumare erba può essere un mezzo di fuga dai limiti della mente, un modo per generare un senso di comunità e una fonte di gioia.
Per gli oppositori conclamati come Anslinger, Richard Nixon e Ronald Reagan, il pensiero di chi ha assunto marijuana è dannoso, ma fondamentalmente rappresenta un metodo per risolvere i problemi e costituire la propria filosofia senza le inibizioni e i limiti del pensiero tradizionale, siano essi di origine personale o culturale.
Questo articolo richiama contenuti da Cannabis.
Immagine di apertura di Matthew Brodeur su Unsplash.