L’email di Google sulle modifiche alla propria gestione della privacy, in vigore dal primo marzo, si è depositata nelle caselle di centinaia di milioni di persone non necessariamente interessate a riceverla.
È l’ennesima conferma della regola aurea non scritta della privacy su Internet. Più strumenti di controllo individuale compaiono, più si fa complicata una gestione serena dei propri dati sensibili.
Andrà peggio. Per aziende come Facebook, Google, Amazon, la stessa Microsoft che accetta da anni di perdere miliardi su Bing pur di guadagnare posizioni, conoscere abitudini e inclinazioni dei clienti è parte integrante del business.
In compenso sta prendendo piede tra gli addetti ai lavori un motore di ricerca alternativo, DuckDuckGo. Una goccia nell’oceano del mercato della ricerca (si avvicina lentamente al milione di richieste giornaliere su quasi 600 milioni nei soli Stati Uniti), con l’accento su una ricerca rispettosa della privacy di chi lo visita, come afferma il fondatore Gabriel Weinberg:
Over time, we got questions about our privacy policy. That wasn’t something I had thought about as much, but as I started researching it, it dawned on me that the privacy mentality we’ve taken is the right approach for users. Fundamentally, it just seems very creepy to know so much about users based on their search queries, which are very personal.
Potremmo ritrovarcelo da qui a qualche anno come motore di ricerca (più) fidato. O almeno disporre di un’alternativa in più.