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Carcere e nuove tecnologie: le misure sperimentali adottate da alcune amministrazioni penitenziarie in Brasile e in America

19 Marzo 2001

Carcere e nuove tecnologie: le misure sperimentali adottate da alcune amministrazioni penitenziarie in Brasile e in America

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I giudici e gli operatori del settore si trovano a dover gestire nuovi scenari che derivano dall'ingresso, negli istituti di pena, dei sistemi informatici e telematici. Le soluzioni adottate sono molto diverse, in base alla potenziale pericolosità, dal punto di vista della sicurezza, del mezzo utilizzato.

Come è ormai noto, la spettacolare rivolta che ha infiammato, qualche settimana fa, le prigioni dello Stato di San Paolo, in Brasile, è stata organizzata utilizzando telefoni cellulari con carte prepagate. Alcuni membri del PCC, l’organizzazione mafiosa che controlla le prigioni di quello stato, hanno fissato giorno e ora esatta per l’avvio della rivolta e hanno dato vita a una vera e propria catena telefonica che ha coinvolto altre 28 prigioni, ottenendo il risultato di cogliere di sorpresa l’amministrazione penitenziaria e di riuscire a tenere in ostaggio 5000 adulti e 2000 bambini venuti a far visita ai detenuti, oltre a un centinaio di guardie.
La rivolta è costata la vita a 19 persone e ha causato migliaia di feriti, prima di venire sedata.

Non appena l’ordine è stato ristabilito, l’amministrazione penitenziaria ha intrapreso alcune iniziative, a breve e a lungo termine, per evitare che un fatto di questo genere si ripeta.
Con l’obiettivo di impedire l’utilizzo dei telefonini in prigione, sono stati ordinati nuovi metal detector, mentre già in precedenza era stato presentato un disegno di legge per la revoca di benefici ai detenuti sorpresi a utilizzare il cellulare.

Il segretario dell’amministrazione penitenziaria dello Stato di San Paolo ha anche riunito gli operatori della telefonia mobile per esaminare le possibili misure preventive da adottare.
Tuttavia, ha potuto constatare che, se è vero che sarebbe relativamente facile e poco costoso introdurre un sistema di interferenza nelle zone rurali (dove, però, si trova meno di un terzo degli istituti di pena), non sarebbe altrettanto semplice introdurlo nelle zone urbane, perchè causerebbe dei disagi anche a coloro che dovessero trovarsi in prossimità delle prigioni.

Davvero problematico, poi, è il fatto che le carte prepagate consentono di acquistare e ricaricare un cellulare, senza che il proprietario sia tenuto a fornire i propri dati d’identità.

Analoghe ragioni di sicurezza, connesse alla gestione degli istituiti penitenziari, hanno indotto la Corte d’Appello della California, con una sentenza del 5 febbraio 2001, a riconoscere la legittimità di un provvedimento, adottato dal direttore del carcere di massima sicurezza Pelican Bay State Prison, con il quale si vietava ai detenuti di ricevere messaggi di posta elettronica, anche se stampati e inviati attraverso le Poste americane.

La vicenda era stata originata dal ricorso presentato da un detenuto, al quale era stato vietato l’accesso al servizio fornito da una Web agency, che aveva creato delle pagine in cui venivano inserite le storie dei detenuti, fornendo un indirizzo di posta elettronica per chi volesse comunicare con loro; ogni settimana stampava le e-mail ricevute e le spediva in carcere ai propri clienti.

I giudici della Corte d’Appello hanno ritenuto che la possibilità di inviare e-mail anonime fa aumentare il rischio che possano arrivare ai detenuti comunicazioni a carattere criminale.

Non sono mancati, comunque, atteggiamenti tutt’altro che ostili – da parte delle amministrazioni penitenziarie e dell’autorità giudiziaria -nei confronti delle tecnologie e dei sistemi di comunicazione. Naturalmente, in casi nei quali il loro utilizzo non comportava alcun rischio per la sicurezza.

Nel penitenziario di Elmira, nello Stato di New York, per esempio, il detenuto Michael Mathie, ex tossicomane, condannato per omicidio colposo, utilizzando il telefono pubblico della prigione e con l’aiuto del padre, gioca in Borsa, comprando e vendendo azioni. In questo modo è riuscito a costruire un patrimonio che ammonta a oltre 16 miliardi di lire.

Un giovane hacker, arrestato dalla polizia di Los Angeles dopo che, a soli 17 anni, si era già introdotto in ben quattro basi militari, è stato condannato, il 9 marzo scorso, a una pena pecuniaria di 5000 dollari, come risarcimento per le vittime, e a nove mesi di prigione, durante i quali avrà l’obbligo di programmare i computer del carcere che lo ospiterà.

L'autore

  • Annarita Gili
    Annarita Gili è avvocato civilista. Dal 1995 si dedica allo studio e all’attività professionale relativamente a tutti i settori del Diritto Civile, tra cui il Diritto dell’Informatica, di Internet e delle Nuove tecnologie.

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