Il 20 giugno scorso è scaduto in tutto il mondo il brevetto della Unisys che tutelava l’algoritmo di compressione LZW, che sta alla base del popolarissimo formato GIF e di altri formati molto diffusi, come il TIFF-LZW, il PDF di Acrobat e il Postscript-2, e della compressione V.42 usata nei modem. Di conseguenza, ora chiunque può utilizzare liberamente questo algoritmo senza dover pagare royalty alla Unisys.
La vicenda di questo brevetto, risalente a oltre vent’anni fa, è molto educativa, soprattutto in questi mesi in cui si discute tanto di brevetti sul software. Dimostra quanto danno può arrecare la brevettazione a un settore ormai vitale come quello informatico, ma suggerisce anche una soluzione insolita al problema.
Tutto inizia a giugno del 1983, quando Terry Welch, della Sperry, deposita negli USA il brevetto in questione, numero 4558302, che descrive una derivazione di un algoritmo precedente, il Lempel-Ziv o LZ, datato 1978. Welch lo battezza LZW aggiungendo l’iniziale del proprio cognome a quelle degli inventori dai quali ha tratto ispirazione.
Un anno dopo, a giugno del 1984, Welch pubblica un articolo (“A Technique for High-Performance Data Compression”) nella rivista Computer, descrivendo l’algoritmo in dettaglio, senza però segnalare che è in corso di brevettazione (il deposito è solo una fase preliminare).
Un mese dopo, Spencer Thomas, uno dei tanti lettori della rivista, implementa l’algoritmo LZW nel famosissimo programma UNIX compress, antenato di gzip, senza sapere che sull’algoritmo pende un brevetto non ancora concesso. La concessione arriva a dicembre del 1985.
Nel 1987, alcuni sviluppatori della rete informatica commerciale Compuserve, avendo letto l’articolo di Welch, lo usano per creare il formato grafico GIF, innovativo perlomeno per gli standard dell’epoca (ben 256 colori!), e lo pubblicano come se fosse liberamente utilizzabile, inconsapevoli che la compressione usata dal formato GIF è coperta dal brevetto Sperry.
Il formato diventa in breve tempo popolarissimo per la circolazione delle immagini nell’allora nascente Internet e nelle BBS, ed è tuttora uno dei più diffusi: i banner pubblicitari che vedete ovunque in Rete sono appunto quasi tutti GIF.
Sperry si fonde con Burroughs, diventando Unisys; e negli anni successivi, la ribattezzata società si limita a riscuotere diritti sul brevetto LZW dai produttori di modem che vogliono includere il protocollo V42.bis (che utilizza appunto l’algoritmo LZW) e da altre società del settore hardware, ignorando le decine di programmi amatoriali che utilizzano il medesimo brevetto e addirittura professandosi ignorante della loro esistenza fino al 1990.
Regalo di Natale
È soltanto quattro anni dopo, il 24 dicembre del 1994, che Unisys e Compuserve annunciano che chiunque sviluppi software non gratuito che scrive o legge il formato GIF dovrà da quel momento in poi avere una licenza per l’uso del brevetto LZW, e che le immagini dovranno essere generate soltanto tramite programmi dotati di questa licenza. Dopo anni di uso libero, in cui si è accumulato un patrimonio di immagini e di software che ora improvvisamente risulta vincolato, è una brutta sorpresa da trovare sotto l’albero.
Nasce insomma quella che viene chiamata la “tassa sui GIF”, che strangola i piccoli siti Web e i programmatori che vivacchiano di shareware, in quel periodo linfa vitale degli informatici. I programmatori devono acquisire una licenza commerciale da Unisys, oppure distribuire gratuitamente il frutto delle proprie fatiche, realizzato fra l’altro in buona fede.
Lo stesso vale per i siti Web: se contengono immagini GIF e hanno carattere anche indirettamente commerciale, devono dotarsi di una licenza Unisys. Anche la pagina Web del salumiere o della paninoteca sotto casa deve pagare la tassa sui GIF, oppure smettere di usare questo formato.
Unisys, fra l’altro, non concede affatto il permesso di usare l’algoritmo LZW nei programmi gratuiti di compressione (e da qui nasce l’esigenza di sostituire compress con gzip nel software libero). Il giro di vite, insomma, è pesante. Molti preferiscono abbandonare lo sviluppo del software e dei siti Web amatoriali, impoverendo la Rete.
Questa situazione mette in luce uno dei più gravi problemi dell’attuale meccanismo di brevettazione, valido non soltanto per il software: si può violare un brevetto ancor prima che venga concesso e quindi reso pubblico, e in tal caso tutto la propria fatica è da buttare. Meno male che il brevetto dovrebbe servire a incentivare l’innovazione.
La reazione di parte della comunità informatica è vivacissima e si tenta il boicottaggio del formato brevettato da Unisys. Ma il formato GIF non muore e anzi il boicottaggio si diluisce nel disinteresse generale: viene realizzata un’alternativa esente da brevetti, il PNG, ma gli utenti continuano a usare disinvoltamente le immagini in formato GIF, non solo perché Unisys non fa causa a nessuno, ma anche perché il browser che sta diventando dominante, Internet Explorer, non gestisce correttamente l’alternativa PNG ed è in regola con la licenza GIF. I grandi siti commerciali, come quello di Microsoft e America Online, preferiscono pararsi le spalle pagando le royalty per continuare a usare immagini GIF.
A settembre del 1999, Unisys cambia di nuovo le carte in tavola e annuncia una nuova politica di licenze: se i siti Web senza scopo di lucro contengono immagini GIF generate da programmi dotati di licenza Unisys, nulla è dovuto. Problema risolto? Non proprio. È praticamente impossibile determinare se un’immagine GIF è stata generata da un programma licenziato o meno. Così i Webmaster rischiano di essere comunque in violazione del brevetto.
Così Unisys, bontà sua, offre una “licenza non-si-sa-mai”: il Webmaster di un sito senza scopo di lucro che ha dubbi sulla provenienza delle immagini GIF che ospita può mettersi in regola pagando la modica cifra di 5000 dollari. Non stupisce che la licenza da 5000 dollari non sia risultata particolarmente gradita dal popolo della Rete e che nascano siti di protesta come Burnallgifs.org (“bruciamo tutte le GIF”), ma la cosa è perfettamente lecita: Unisys detiene il brevetto e può stabilire le condizioni che più le aggradano. È una perfetta dimostrazione del potenziale ricattatorio insito nell’uso di un formato proprietario, che molti liquidano tuttora come un’invenzione dei fondamentalisti del software libero.
Indifferenza, arma vincente?
La cosa curiosa è che da quell’annuncio di quasi cinque anni fa, nessun utente non-profit, a quanto mi risulta, è mai stato contattato da Unisys con richieste di pagamento per le GIF ospitate. Quand’anche l’avesse fatto, sarebbe stato banale convertire le immagini GIF ad altri formati.
In altre parole, il brevetto Unisys era sostanzialmente impossibile da far rispettare; gli utenti lo sapevano e lo sapeva anche Unisys, che però faceva molto baccano nella speranza che qualcuno abboccasse. Il parallelo con la causa SCO e le leggi anti-P2P di questi mesi è evidente.
Alla fine, insomma, ha avuto la meglio la legge dei grandi numeri: gli utenti comuni che violavano il brevetto erano troppi da perseguire uno per uno, e il costo di portarli in tribunale avrebbe superato di gran lunga il ricavo di eventuali risarcimenti, per cui non s’è fatto nulla. Il brevetto è ora scaduto e possiamo usare liberamente il formato GIF; nel frattempo, nessuno è andato in galera. Vi suona familiare?
Scadenze scaglionate
La vicenda Unisys ha anche un altro aspetto piuttosto educativo. In realtà la tutela brevettuale dell’algoritmo LZW di Unisys ha avuto scadenze diverse in paesi diversi. Per esempio, il brevetto statunitense 4558302 è scaduto il 20 giugno del 2003. Sì, avete letto bene: 2003. Un anno fa. Ma il formato GIF è stato “liberato” a livello mondiale soltanto in questi giorni, perché restavano ancora in vigore il brevetto europeo 0129439, valido per la Germania, la Francia, il Regno Unito e l’Italia e scaduto il 18 giugno 2004, il brevetto canadese 1223965 (scaduto il 6 giugno 2004), e da buoni ultimi i due brevetti giapponesi 2123602 e 2610084, scaduti appunto il 20 giugno 2004.
Questo ha portato alla situazione particolarmente ridicola in cui per circa un anno il software basato sull’algoritmo LZW era legalmente distribuibile negli USA senza richiedere licenze o pagare royalty, ma rischiava di essere illegale se esportato in Europa, Canada o Giappone.
Potete immaginare quanto possa costare, specialmente a una piccola società di software, svolgere indagini e verifiche di questo genere prima di commercializzare un prodotto. Fare software libero e gratuito in queste condizioni è impensabile; ci sono costi che soltanto la multinazionale può permettersi di sostenere. C’è ancora qualcuno che vuole argomentare che il brevetto sul software favorisce il commercio e il piccolo imprenditore?