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Bluetooth fa bene alla salute? La NASA pensa di sì

22 Settembre 2004

Bluetooth fa bene alla salute? La NASA pensa di sì

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Bluetooth ha probabilmente ancora molto da dire, ad esempio in applicazioni non consumer: e in questo ambito è interessante guardare alla sperimentazione che la NASA sta conducendo in ambito bioastronautico

Dica 33…in orbita

Il monitoraggio delle funzioni vitali degli astronauti è da sempre un tema cruciale nell’astronautica: è fondamentale (e scientificamente molto istruttivo) poter seguire continuativamente una serie di parametri biomedici durante le attività degli astronauti… ma tenerli permanentemente collegati alle apparecchiature di raccolta dati, attraverso cavi e cavetti, renderebbe impossibile svolgere le attività di missione.
Da qui l’interesse alla sperimentazione di sistemi biometrici che colleghino il corpo dell’astronauta in modalità wireless.

…ma lo dica prima in immersione

La sperimentazione nello spazio è un’attività costosa e delicata ed è necessario affrontarla dopo un’estensiva batteria di test “a terra”, in modo da sperimentare soluzioni che abbiano già mostrato ragionevoli possibilità di successo.

In linea con queste esigenze la NASA ha recentemente condotto una sperimentazione di un sistema Bluetooth in un ambiente agli estremi opposti della stazione spaziale ma – per certi versi molto simile: il laboratorio subacqueo Aquarius.

Un barattolo a -19 metri

Aquarius è un laboratorio di ricerca subacqueo, proprietà della NOAA, la National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense e gestito dal National Undersea Research Center dell’University of North Carolina at Wilmington
Costituito da un cilindro di 2,7 metri di diametro e 13 di lunghezza, è immerso a 19 metri di profondità a sei km al largo delle coste della Florida.

Oltre ad attività di ricerca sottomarina è usato per l’addestramento degli astronauti e la simulazione di missioni spaziali o la sperimentazione di strumentazioni e tecnologie in un ambiente per molti versi assimilabile a quello della Stazione Spaziale Internazionale ISS.

CPOD – Crew Physiological Observation Device

L’oggetto posto sotto test si chiama CPOD – che sta per Strumento per l’Osservazione Fisiologica dell’Equipaggio.

Sviluppato dall’Università di Stanford in collaborazione con la NASA, è sostanzialmente una scatola nera in grado di registrare dati come il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la temperatura, l’ossigenazione del sangue e così via. Può immagazzinare fino ad otto ore di dati oppure di inviarli in streaming ad un device esterno come un palmare o un PC attraverso un collegamento Bluetooth. Dotato di 32 Mb di memoria, pesa 166 grammi e con due pile AAA funziona tra le 6 e le 20 ore.

Fisicamente è simile ad un elettrostimolatore di quelli un po’ ingombranti, e si porta sul petto o attorno alla vita, a contatto con la pelle; grazie al suo progetto ergonomico può essere indossato per molte ore di seguito.
Essendo collegato senza fili, può essere indossato non-stop dall’astronauta, permettendo ai fisiologi di seguire l’evoluzione dei dati durante esercizi fisici, lavori di routine, passeggiate spaziali e così via.

La sperimentazione

Dopo essere stato testato in immersione nel lago più alto del mondo (vulcano Licancabur, Cile, altitudine 5395 metri) e a bordo dell’aereo KC-135 della NASA noto come “vomit comet“, dal 12 al 21 luglio il CPOD è stato messo alla prova da tre astronauti durante la missione sottomarina NEEMO 6 (NASA Extreme Environment Mission Operations).

Tra gli obiettivi principali della sperimentazione, valutare la performance di un device Bluetooth all’interno di un barattolo metallico come la stazione Aquarius (o la Stazione ISS), con tutti i problemi di riflessione e assorbimento delle onde radio e di interferenza con altri apparati elettronici.

I prossimi passi del progetto

I risultati dell’esperimento sono in corso di valutazione.
Se si riveleranno positivi, si tratterà di riprogettare il CPOD rendendolo resistente alle radiazioni e alle particolari condizioni ambientali del volo spaziale, sottoponendolo poi ad una serie di test di resistenza per ottenerne la qualificazione per l’utilizzo astronautico.
Se tutto va bene, il prodotto potrebbe essere pronto ed approvato per una missione spaziale già entro i prossimi due o tre anni.

Parallelamente il team di ricerca sta valutando l’utilizzo di tecnologie di collegamento “senza fili” alternative a Bluetooth, per un uso in quelle situazioni dove altre tecnologie possano rivelarsi più efficaci nella trasmissione dei dati.

Tornando con i piedi per terra

È molto probabile che, come in molti casi precedenti, questa tecnologia aereospaziale possa trovare una concreta (e rapida) ricaduta nella nostra vita quotidiana. Una versione Del CPOD ad uso “civile” potrebbe essere commercializzata già nel 2006.

Tra le applicazioni ipotizzate si sta pensando a soluzioni per il tracking continuo di pazienti potenzialmente a rischio ma in grado di condurre una vita relativamente normale; a situazioni d’emergenza in cui i team medici potrebbero compiere rilevazioni delle funzioni vitali dei feriti (o degli stessi soccorritori) senza l’ingombro di apparati voluminosi – posti invece in veicoli ai margini della zona problematica, insieme a medici che possano via radio guidare i soccorritori nell’erogazione degli interventi.

Il CPOD si potrebbe inoltre applicare al monitoraggio di atleti in allenamento per migliorarne le prestazioni o per la telemedicina in aree remote attraverso un link bluetooth-ricevente-satellite (sono in corso sperimentazioni in aree remote del Montana e in riserve indiane statunitensi, zone con una scarsa presenza medica) o, più banalmente, in ambito ospedaliero per miniaturizzare e semplificare gli apparati in corsia

Altre applicazioni probabili sono in ambito militare: il Dipartimento della Difesa americano potrebbe essere infatti interessato a sperimentarlo per applicazioni mediche sul campo di battaglia o durante l’evacuazione medica su mezzi ambulanza.

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