Accompagnato da Melinda, sua moglie, Bill Gates fa il suo ingresso nel tribunale di Washington per la prima volta dopo quattro anni dall’inizio del cosiddetto “Processo Microsoft”.
Il suo obiettivo: convincere la giudice Colleen Kollar-Kotelly a non applicare nuove sanzioni contro la sua azienda.
Questa volta, a differenza della precedente, Gates ha mostrato di aver imparato la lezione e ha fatto una migliore impressione.
Infatti, nel 1998, l’allora procuratore federale David Boies aveva fatto visionare in tribunale il video di un interrogatorio con Bill Gates prima del processo, dove il padrone della Microsoft appariva evasivo e poco convincente.
Bill Gates, questa volta, ha presentato una testimonianza scritta di 156 pagine, dove si oppone con vigore alle richieste dei nove Stati che rifiutano l’accordo amichevole sottoscritto dal governo e da altri nove Stati.
Gates, in linea con la scelta dei suoi avvocati, sostiene che i rimedi proposti dagli Stati contrari all’accordo sarebbero dannosi per l’industria informatica e per i consumatori.
In particolare, si oppone alla richiesta di “smembrare” Windows.
Una richiesta che mira a permettere ad altri editori di software e ad altri sviluppatori di modificare Windows levando linee di codice prima distribuire il prodotto ai consumatori.
Gates, come già illustrato in sede di inizio processo dai suoi avvocati, ha affermato che la stabilità e l’uniformità di Windows è una condizione importante per tutta l’industria informatica.
I nove Stati hanno già dimostrato, attraverso l’intervento di periti di parte, che togliere “pezzi” al sistema operativo non lo pregiudica e chiedono che sia reso pubblico il codice sorgente di Internet Explorer e dello stesso Windows.
Un’ipotesi che Microsoft vede come fumo negli occhi, sostenendo che questa possibilità rappresenta un danno economico, oltre che ledere il diritto alla proprietà intellettuale.