A volerla buttare in politica si risolverebbe la questione in fretta; sarebbe sufficiente invitare Dario Franceschini a recuperare vecchie posizioni espresse in Europa, a proposito del decreto Bondi, dal suo partito.
.@szampa56 @riotta @LottiLuca Questo era il PD, come me lo ricordavo. Il compenso del vicino è sempre più iniquo. pic.twitter.com/D7MEV7QslD
— C.A. Carnevale-Maffè (@carloalberto) July 23, 2014
Ma la politica, almeno per una volta, non c’entra o c’entra poco. Il sunto più efficace della vicenda lo ha steso Massimo Mantellini a partire dal titolo che dice già tutto:
rimane da chiedersi la ragione di atteggiamenti comunicativi tanto aggressivi da parte del Ministro della Cultura […] stranamente sovrapponibili (anche nei toni) a quelli della SIAE, soggetto in campo in una tenzone nella quale Franceschini dovrebbe essere semplice imparziale arbitro.
La discussione è degenerata in caciara con il puntamento del mirino su Apple. Franceschini aveva twittato che il compenso per copia privata a protezione della libertà degli artisti lo avrebbero pagato i produttori; da Cupertino hanno risposto alzando i prezzi del listino.
Il ministro ha allora parlato di atteggiamento puramente ritorsivo dell’azienda verso i clienti e ha twittato dati di confronto con Francia e Germania, dove un iPhone costa meno; secondo le sigle sindacali dei lavoratori della SIAE, come riferisce il Sole 24 Ore, Apple è colpevole di
mistificazione della realtà mirata a confondere i consumatori e a mantenere inalterati i propri ingenti profitti, spesso realizzati attraverso l’utilizzo di manodopera a basso costo.
Se l’uso di manodopera a basso costo avesse attinenza con l’argomento saremmo a discutere di equo compenso per l’abbigliamento, la raccolta dei pomodori e i call center. Evidentemente si tratta di demagogia, che costa ancora meno.
Invece. Una ricerca commissionata proprio dal ministero mostra come la copia privata sia un fenomeno sotto controllo e circoscritto, prima ancora di entrare nel merito su quanto sia fair use e quanto pirateria.
Prima dell’aumento, l’Italia incassava secondo il Sole equo compenso per copia privata in misura di 1,38 euro pro capite, contro i 2,96 euro della Francia e i 0,37 euro della Germania.
Il presidente di Confindustria digitale Elio Catania stima che, dopo l’aumento, gli incassi raggiungeranno i 157 milioni di euro nel 2014, in aumento del 150 percento sul 2013. Profitti ingenti che non rimarranno affatto inalterati ma schizzeranno verso l’alto. Generati da “manodopera” che neanche a basso costo; è obbligata a pagare.
In tutto questo c’è un elemento comunque positivo. Se se ne occupa il ministro, vuol dire che gli smartphone sono Beni Culturali. Con l’arretratezza digitale che soffriamo, è qualcosa.