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Avanza il progetto Linux Standard Base

01 Ottobre 2001

Avanza il progetto Linux Standard Base

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Buon passo strategico e operativo per l'intero movimento open source

È un fatto che Linux continui a crescere. Ma per raggiungere il massimo delle potenzialità manca tuttora la definizione di un unico standard comune. Da una parte ecco le numerose distribuzioni con le relative versioni arricchite del kernel di base. Dall’altra l’area grigia costituita da standard de facto, standard chiusi ed aperti (con annesse licenze anche sensibilmente differenti tra loro). Un buco che, lo suggeriscono da tempo esperti e programmatori, andrebbe colmato quanto prima. Ancor più adesso che l’economia si restringe e il mercato sembra tirare meno. Più che benvenuto quindi il rilancio di un progetto dalle buone promesse rimasto però alquanto in disparte, almeno finora — il Linux Standard Base (LSB).

Organizzazione nonprofit che vanta perfino la “enedizione” di Linus Torvalds, recentemente LSB ha ripreso il volo e l’attenzione grazie in particolare all’opera del nuovo responsabile, Scott McNeil. Direttore esecutivo del Free Standards Group e stipendiato da IBM in qualità di “artist in residence”, McNeil ha le spalle diversi anni di alacre attività nel mondo open source, avendo ricoperto la carica di presidente di SuSE nonché vari incarichi presso VA Linux. Il suo motivato entusiasmo si è dimostrato vitale nel portare alla luce, dopo anni di continui rinvii, la versione 1.0. Per quanto ancora lontano dall’offrire quella vasta gamma di opzioni necessarie, LSB 1.0 mira dritto all’internazionalizzazione degli standard, aprendosi così alle ampie potenzialità della comunità globale. Altro elemento importante, si è guadagnato il concreto sostegno di nomi quali HP, IBM e Sun nel far procedere con sveltezza il progetto. In particolare HP — almeno prima dell’annunciata fusione con Compaq — voglia impiegare LSB come strumento in grado di fornire a Linux quella credibilità necessaria per divenire lo standard de facto sui server che utilizzano la piattaforma Intel a 64 bit.

Al di là delle ovvie migliorie tecniche in progress, quel che però sembra ancora difettare è la strategia complessiva dietro l’intero progetto. Occorre cioè darsi da fare per spingerlo e imporlo presso i rivenditori di software, generare la confidenza del mercato e degli osservatori annunciando le varie tappe da raggiungere a lungo termine. Diffondendo fin d’ora le specifiche previste per elementi centrali quali servizi di directory e standard per desktop che possano essere supportati man mano dagli stessi rivenditori. Questa almeno l’opinione di alcune fonti bene informate, per le quali in fondo il gioco rimane quello di seguire i modelli stile Microsoft. Ovvero unificare le forze per lanciare strategie di mercato (e di comunicazione) capaci di far comprendere sia all’imprenditoria medio-piccola sia alle grandi corporation che Linux è un sistema operativo che viaggia verso l’efficace messa a punto di uno standard comune. E, altro punto fondamentale, non presenta alcun rischio di fragmentazione.

Al riguardo va chiarito un falso mito diffusosi in alcuni ambienti informatici. Linux non corre alcun pericolo di differenziarsi in versioni tra loro incompatibili come già accaduto per Unix. In parte per le dinamiche di mercato completamente mutate, ma soprattutto per la semplice verità che i sorgenti del kernel sono in grado di supportare quasi ogni piattaforma esistente. Mentre IBM, Sun ed altri controllavano le proprie versioni di Unix che giravano soltanto sul rispettivo hardware, oggi Linux può girare tranquillamente sulle macchine di qualunque produttore. Certo, distribuzioni quali Red Hat e Caldera presentano qualche incompatibilità. Ma tali incompatibilità assomigliano assai più a quelle tra Windows NT e Windows 2000, piuttosto che a quelle esistenti tra Solaris e HP-UX. Anzi, non è certo un segreto che pur essendo Windows il re del desktop, i problemi dovuti alle differenze tra le varie versioni sono in costante aumento. Ne consegue un maggior bisogno, nel mercato globale, proprio del progetto Linux Standard Base, unica opzione per soddisfare le esigenze della crescente fascia di utenti e produttori indipendenti, quanti vogliono trovare una seria ed efficace alternativa a Windows.

Visto che in fondo si tratta di strategie operative a largo raggio, vale la pena di riportare l’opinione di Deb Murray, presidente di Megamind, a margine del recente LinuxWorld di San Francisco: “Non soltanto Linux è diventato mainstream con una nutrita presenza nell’ambito delle corporation, ma va anche diminuendo la presenza di ‘geek’ alle Expo per dar spazio a un pubblico più differenziato. Anche i prodotti Linux hanno raggiunto la maturità, e gran parte dell’area desktop ha un sapore simile a Windows. In pratica, sembra proprio che Linux ce l’abbia fatta e sia destinato a rimanere tra noi”.

In altri termini, il gran salto nell’arena del business va ponendo inevitabili mutamenti alla comunità originaria e al futuro stesso dell’intero movimento. La cui anima open source, secondo alcuni osservatori, rischia di perdere il controllo operativo per lasciar spazio ad esigenze di stampo più spiccatamente commerciale. Rischio tutt’altro che nuovo, a ben vedere, e che comunque non viene affatto nascosto dall’una e dall’altra parte. In tal senso, quindi, sforzi come il progetto Linux Standard Base appaiono del tutto promettenti, mirando a stimolare la crescita strategica ed operativa del tutto, conservando altresì quella crescita dal basso che ha sempre contraddistinto il movimento open source.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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