Mentre gli organizzatori del Forum mondiale di Davos si dannavano l’anima cercando di bloccare i manifestanti anti-globalizzazione, qualcuno senza farsi accorgere frugava dentro i computer.
E così, frugando e cercando si sono imbattuti nei dati riservati dei 1.400 partecipanti.
Il gruppo di hacker, responsabile del furto di queste informazioni, si chiama “Virtual Monkeywrench” e ha reso pubblico il furto mandando una copia su dischetto al giornale svizzero “SonntagZeitung”, il 4 febbraio scorso.
Adesso spiegano il significato della loro azione in una intervista allo stesso giornale.
Lo scopo fondamentale è “sabotare” l’influenza dell’autorità, per questo il gruppo ritiene che la pubblicazione di questi dati sia stato un “buon sabotaggio”.
I dati, infatti, riportavano i numeri delle carte di credito, con data di scadenza, l’indirizzo privato e il numero di cellulare di tutti i partecipanti.
Tra questi nomi, spiccano quelli di Bill Gates, Bill Clinton e Yasser Arafat.
“Attaccare i potenti e il potere”, spiegano gli hacker, con l’obiettivo di “disturbare il funzionamento di questa macchina ben oliata”.
Si dichiarano, nell’intervista, “contrari agli spazi privati. Ai nostri occhi, la proprietà intellettuale è illegittima e serve gli interessi dei potenti. Internet permette di condividere le informazioni in tutto il mondo”.
I pirati hanno dichiarato che non avevano l’intenzione di ricattare le multinazionali o gli stati, perché “questo non sarebbe cambiare il sistema”.
Quindi, niente uso fraudolento delle carte di credito per fare acquisti su Internet.
Ma il gruppo va oltre e con sfrontatezza dichiara che l’incursione nei computer dell’organizzazione è stata una “passeggiata”.
Dal canto suo, Claude Smadja, direttore generale del Forum ha bollato questa passeggiata come un “atto criminale straordinariamente grave”.
Per lui sicuramente.