Il discorso di Steve Jobs ai neoalureati di Stanford nel 2005 è stato probabilmente uno dei più citati degli ultimi dodici mesi per la sua eccezionalità. Tuttavia sarebbe utile comprenderne aspetti più ordinari.
Intanto si chiama commencement address, nonostante sia diretto a studenti al termine del loro corso di studi. In inglese sa di allusione alla vita vera, che sta per avere inizio.
Negli atenei anglosassoni, il saluto agli studenti da parte di un personaggio famoso per il suo lavoro – quindi non un politico di professione – è regola. È recente il discorso dello sceneggiatore Aaron Sorkin agli studenti di Syracuse:
Don’t ever forget that you’re a citizen of this world, and there are things you can do to lift the human spirit, things that are easy, things that are free, things that you can do every day. Civility, respect, kindness, character. You’re too good for schadenfreude, you’re too good for gossip and snark, you’re too good for intolerance—and since you’re walking into the middle of a presidential election, it’s worth mentioning that you’re too good to think people who disagree with you are your enemy.
Ancora più recente è l’intervento di Eric Schmidt di Google presso la Boston University, con il consiglio di spegnere un’ora al giorno la tecnologia e una considerazione in controtendenza:
Your generation’s opportunities are greater than any generation’s in modern history.
Jobs, Sorkin, Schmidt e tutti gli altri portano nelle università la voce autorevole dell’economia e del lavoro. I video e le trascrizioni dei discorsi hanno ampia eco e le argomentazioni più incisive si propagano su tutti i media, verso l’intera comunità, a beneficio collettivo.
È facile ascoltare idee radicali e potenti su come ognuno riformerebbe le università italiane. Privo di competenze in materia come sono, mi accontenterei di copiare dagli americani modalità e ricadute comunicazionali della cerimonia di fine anno.