Quali scegliere e perché tra i programmi per fare podcast
Le scelte possibili sono tante e non è sempre semplice individuare subito i giusti programmi per fare podcast. Fortunatamente c’è sempre qualcosa per ogni livello di coinvolgimento, funzioni a disposizione e spesa.
Software di editing e missaggio audio
Oggi possiamo scegliere uno qualsiasi dei software principali per il montaggio audio e non avremo problemi di sorta. Esiste una sostanziale equipollenza qualitativa tra i diversi programmi, e sceglierne uno anziché un altro si riduce davvero a una questione di gusti personali, con un corollario di considerazioni tecniche come il sistema operativo o simili. Un audio manipolato ed esportato attraverso Audition suonerà bene come quello realizzato passando per Logic Pro o un altro ancora prodotto su Reaper.
Questi software si possono dividere grossolanamente in due grandi categorie: editor audio e digital audio workstation (o DAW). Tutte le DAW sono editor audio, ma non tutti gli editor audio hanno la flessibilità e la potenza di una DAW. Le differenze fondamentali tra un audio editor e una DAW sono due: la possibilità di applicare modifiche in maniera non distruttiva, e il poterlo fare in tempo reale. Sembrano dettagli ma in un flusso di lavoro professionale o semi-professionale sono di grandissima importanza.
Per capire l’importanza dell’editing non distruttivo è sufficiente riflettere sul suo nome. Quando interveniamo per eliminare una porzione di audio che non ci serve, questa viene cancellata definitivamente. Per recuperarla dobbiamo annullare l’eliminazione che abbiamo effettuato, oppure, se la traccia era stata registrata a parte e importanta nel software, reimportarla per lavorarci di nuovo. In una DAW quella stessa porzione di audio, pur non più visibile nella progressione della timeline, rimane sempre presente, e recuperabile in qualsiasi momento con pochi clic, anche successivamente.
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La seconda indubbia comodità è quella di poter sentire le modifiche in tempo reale, così da renderci conto di quello che stiamo facendo. In un tipico editor audio non ci è concesso: possiamo solo scegliere un effetto e applicarlo, per poi eventualmente annullare l’azione e ricominciare. Audacity, per esempio, dà la possibilità di avere un’anteprima della modifica, ma si tratta di pochi secondi. Poter invece sentire in tempo reale le modifiche che stiamo introducendo ci consente di lavorare in maniera molto più semplice. Possiamo anche intervenire sugli effetti senza andare in ordine di applicazione: se abbiamo inserito su una traccia un equalizzatore, un compressore e un noise gate possiamo spegnere il compressore senza toccare gli altri due effetti.
Dobbiamo ricordare sempre che questi software sono nati per creare, arrangiare e produrre musica, non podcast. Le funzionalità di una DAW o di un editor audio che interessano a chi deve realizzare un podcast sono un sottoinsieme ristretto e particolare di tutte le funzionalità dei software in questione. Da un certo punto di vista è come utilizzare un programma di fotoritocco mastodontico e in grado di fare meraviglie per disegnare una linea retta: certamente si può fare, ma per certi versi è un po’ l’equivalente della montagna che partorisce il topolino.
Esistono ovviamente eccezioni: Hindenburg è un software pensato non per la musica ma esplicitamente per registrare il parlato (che siano podcast o audiolibri).
DAW e audio editor
Una Digital Audio Workstation si presenta di solito come una grande superficie di lavoro (virtuale), dove gestire tracce audio di diversa origine: possiamo registrarle collegando un microfono al computer (che sia un microfono USB o attraverso un’interfaccia audio, come abbiamo visto nel Capitolo 3), oppure tracce che hanno origini diverse. Possono per esempio essere brani musicali scaricati da qualche servizio royalty free, oppure la registrazione della puntata effettuata tramite Zencastr. In ogni caso, possiamo ascoltare queste tracce, possiamo crearle, e soprattutto possiamo modificarle.
Il mio percorso è partito da GarageBand, che avevo trovato gratuitamente nel mio Mac e con il quale ho realizzato un buon numero di podcast fino alla fine del 2015: in quel momento stavo lavorando al mio primo podcast serio, che prevedeva interviste, musiche, effetti sonori, e ho voluto fare il passo ulteriore che mi ha portato ad acquistare Logic Pro. Avendo già un po’ di pratica con un programma simile ma meno potente e versatile, non ho avuto bisogno di molto tempo per trovare le funzionalità fondamentali per montare un podcast, e per un po’ mi sono accontentato. Quando poi i podcast stavano diventano effettivamente il mio lavoro, ho incominciato a studiare meglio il funzionamento di Logic, e oggi lo utilizzo con sempre più soddisfazione e soprattutto mi permette di ottenere in fretta degli ottimi risultati.
Reaper è una DAW molto potente e versatile, funzionante anche su Linux. Ha davvero infinite possibilità di personalizzazione, ed è molto diffusa in ambienti come il doppiaggio e la sonorizzazione di videogiochi. Ha un costo contenuto, dai 60 ai 225 dollari a seconda dell’utilizzo che se ne fa, se personale o professionale. È in commercio dalla metà degli anni 2000 circa, quindi è sicuramente una DAW stabile e matura.
Pro Tools è invece una DAW davvero storica, rilasciata negli anni novanta. È sviluppata da Avid, una software house specializzata in prodotti multimediali (il suo Avid Media Composer è uno dei software più utilizzati per montare film e serie tv). Anche Pro Tools oggi è passato a un abbonamento mensile, che parte da 10 dollari al mese e arriva fino a 100.
Studio One è una DAW nata sul finire degli anni dieci e sviluppata da PreSonus, un’azienda che produce ottime strumentazioni come microfoni, schede audio, casse monitor. È relativamente recente e ha potuto attingere al meglio di tutti i software professionali precedenti: ha una versione con funzionalità relativamente ridotte, mirata anche ai podcaster, per 100 dollari, oppure quella completa per 400 dollari. È anche possibile abbonarsi per 15 dollari al mese e avere un pacchetto ancora più completo.
Gli audio editor
Esattamente come ci sono tanti tipi di DAW, adatte a ogni tipo di produzione ma anche di stile di lavoro, allo stesso modo esistono tanti software che si limitano alla manipolazione dell’audio. Contrariamente però rispetto alle DAW, le opzioni monopiattaforma qui sono un po’ più numerose: è più facile trovare un audio editor che funziona su Windows e non su macOS o viceversa. In ogni caso, sono un ottimo strumento per impratichirsi e imparare come funziona questo settore.
- Audacity è sicuramente il più famoso editor audio, gratuito e multipiattaforma. Non solo è uno dei software audio più utilizzati al mondo, è anche uno dei più potenti: con Audacity si può fare davvero di tutto, e i suoi effetti audio sono notevoli. Per esempio, il suo algoritmo per la riduzione del rumore lo utilizzo alla bisogna anche io, che mal digerisco la sua scarna interfaccia utente. È probabilmente il software audio che tutti noi che facciamo podcast, almeno una volta, abbiamo usato. Negli aggiornamenti più recenti Audacity ha aggiunto diverse funzionalità interessanti, tra cui la possibilità di utilizzare VST, effetti in tempo reale e altro ancora, che lo avvicinano moltissimo a una DAW.
- Hindenburg ha un approccio piuttosto innovativo al classico layout da editor audio: oltre alla timeline su cui possiamo lavorare prevede spazi dove depositare le clip audio che dobbiamo inserire all’interno delle puntate, che siano musiche o estratti di intervista, o qualsiasi altro file audio. Hindenburg è infatti pensato per tutti coloro, in special modo giornalisti o narratori, che devono lavorare a una narrazione audio, non alla musica. Proprio perché si rivolge a persone che non devono per forza avere esperienza nella postproduzione, molte funzioni sono automatizzate e pensate per narrazioni sonore: per esempio, se importiamo un file audio dall’esterno, il suo volume verrà regolato automaticamente a un livello che Hindenburg ritiene sufficiente.
- GarageBand è un ibrido a metà strada tra una DAW propriamente detta e un audio editor: è versatile e potente, ma limitato nelle cose che può fare e nei flussi di lavoro. Lo inserisco qui tra gli audio editor proprio per questi suoi limiti. In compenso è un software gratuito, e molti podcaster che usano computer Apple hanno iniziato da qui. Funziona poi sia su macOS che iPadOS e iOS.
- Cakewalk è un editor limitato ma funzionale e completo in tutte le sue funzionalità di base. È prodotto da Bandlab, il cui prodotto di punta è un servizio omonimo per la registrazione e l’editing audio online. Piuttosto interessante.
- OcenAudio è un software molto, molto semplice, estremamente limitato: per esempio permette di lavorare su una traccia soltanto alla volta. Non suggerisco di usarlo per progetti complessi, ma ha un ottimo corredo di effetti e soprattutto legge anche VST e plugin esterni, quindi può essere una soluzione soddisfacente per un lavoro veloce. Ha un’interfaccia scarna ma personalmente l’apprezzo più di quella di Audacity.
Da questo rapido elenco si capirà facilmente che sono rimasti esclusi molti software, probabilmente anche il preferito di qualcuno che sta leggendo queste pagine. Su Wikipedia si trova un lungo elenco, piuttosto dettagliato: invito a consultarlo e andare alla ricerca del software che fa per noi. Sfruttiamo abbondantemente gli eventuali periodi di prova e vediamo se c’è qualcosa che fa per noi.
Teniamo presente che non siamo obbligati a usare un software professionale e costoso per ottenere risultati dignitosi. Il fatto che io per esempio utilizzi Logic Pro non deve spingere qualcuno ad abbandonare GarageBand, che magari utilizza già con soddisfazione. Proviamo tutto quello che possiamo provare e facciamoci un’idea di prima mano.
Il mixer e la catena del segnale
Non il mixer fisico, quello che possiamo appoggiare sulla scrivania e al quale collegare i nostri microfoni, ma quello simulato dai software. Tutti i programmi audio, o quasi, ci possono mostrare una vista che ricorda e simula il comportamento di un mixer fisico. Il digitale che ricrea il reale, in un certo senso. Questa simulazione è un’ottima maniera per avere sott’occhio l’interezza del nostro progetto e intervenire velocemente sulle singole tracce.
Nella figura precedente si vede il mixer di Logic Pro, la DAW che mi è più familiare, ma bene o male è lo stesso mixer che possiamo trovare in Audition, Reaper e altri software. Per quanto la rappresentazione grafica vari da programma a programma, ricorda immediatamente un mixer fisico, e il comportamento dei segnali simula quello del mondo analogico. Pertanto il segnale viene elaborato dai nostri software come se fosse un sistema vero, dall’alto verso il basso: dal punto di ingresso dello strumento (nella realtà analogica sarebbe il punto di ingresso del cavo del microfono) giù fino al controllo del volume di uscita di quel canale. È un dettaglio importante, questo, e un’altra differenza tra programmi professionali e audio editor normali.
Plugin e Auphonic
Gli effetti di cui abbiamo parlato finora (equalizzazione, compressione, noise gate, de-esser, e tutti gli altri) sono normalmente utilizzabili all’interno delle DAW o degli audio editor. Si possono considerare software all’interno di un software più grande, inseribili dove vogliamo all’interno della catena del segnale e richiamabili o disattivabili a piacere. Sono a tutti gli effetti dei plugin, cioè dei programmi che espandono le capacità del programma principale. Nel nostro caso, per esempio, possiamo inserire un effetto di equalizzazione all’interno della nostra catena, utilizzarlo o disattivarlo a seconda delle necessità, oppure spostarlo dopo un altro effetto.
Possiamo trovare plugin di ogni tipo: gratuiti e a pagamento, avidi di risorse oppure particolarmente performanti, a seconda di chi sviluppa il plugin e da quello che il plugin stesso fa, e come lo fa. Installiamo sempre le versioni di prova, non spendiamo soldi a scatola chiusa, anche se conosciamo chi ha prodotto il plugin e ci fidiamo, oppure abbiamo visto settantaquattro recensioni video per sapere che cosa fa: potrebbe comunque non essere adatto a quello che facciamo noi, oppure performare male con la nostra DAW (magari il nostro sistema è un po’ antiquato). Una volta assicuratici che effettivamente il plugin ci può servire e funziona sul nostro sistema, possiamo allora acquistarlo: finalizzato l’acquisto potremmo ricevere un numero di serie da inserire all’interno del plugin per verificare l’acquisto e sbloccarne tutte le funzionalità oltre il periodo di prova. Alcuni produttori di plugin si appoggiano a sistemi di autorizzazioni esterne come iLock: sono pensati per garantire e verificare che la licenza di attivazione sia regolarmente attiva, in caso contrario impediscono l’utilizzo del plugin.
I plugin che vogliamo provare o acquistare (o utilizzare gratuitamente, quando c’è concesso) si possono scaricare direttamente dal sito dello sviluppatore, e ce ne sono tantissimi. Il più famoso è sicuramente Waves, dove possiamo trovare davvero tantissimi plugin diversi, molti dei quali utilizzati anche da importanti e famosi produttori musicali. Ci sono altrimenti i portali specializzati, come per esempio plugin-alliance.com, dove possiamo trovare i plugin di sviluppatori diversi.
Software specializzato
Esistono software specifici realizzati per compiti particolari, e spesso possono tornarci utili. Molti di questi software sono anche molto costosi, ma è comunque un segmento di mercato di cui è meglio conoscere anche solo l’esistenza, e valutare se c’è qualcosa che fa al caso nostro. Non sono vere e proprie DAW o editor audio, anche se a volte contengono gli stessi comandi e impostazioni oppure possono essere usati come plugin per il nostro software principale: svolgono però compiti molto specializzati e di qualità. A volte sono una delle poche soluzioni praticabili per risolvere alcuni problemi che incontriamo durante le nostre produzioni.
iZotope RX è una suite di software audio d’eccellenza quando si tratta di riparazione audio. L’ho incontrata per la prima volta diversi anni fa quando cercavo un aiuto per risolvere un problema di riverberi piuttosto infidi, ma in realtà l’ampiezza del suo intervento può essere davvero incredibile: dall’eliminazione dei fruscii agli schiocchi della bocca, i tintinnii dei gioielli e altre cose che abbiamo visto essere complicate da eliminare utilizzando altri metodi. L’elenco delle sue funzionalità viene aggiornato di continuo, ed esistono più versioni, sempre più costose (quella più completa, al momento in cui scrivo, ha un prezzo di listino di oltre 1.200 euro più IVA): all’aumentare del prezzo aumentano le possibilità offerte dal software.
Non è obbligatorio acquistare una copia di iZotope, ovviamente: si possono ottenere risultati simili anche con altri plugin e software. È sicuramente uno strumento potente e versatile, soprattutto nelle sue versioni costose; se iniziamo a pensare ai podcast come un mestiere, potrebbe essere un prodotto da tenere in considerazione.
Ci sono poi anche software più compatti e ancora più specifici. Piccole app, specializzate in un’unica cosa, se ne trovano a decine, per tutte le piattaforme.
Auphonic
Se non vogliamo occuparci troppo di postproduzione ed effetti, possiamo utilizzare Auphonic, un servizio web che permette di intervenire in molti modi sull’audio. Vi si accede da browser oppure scaricando la sua app, e il suo uso più noto è di normalizzare il livello della traccia, applicando qualche effetto di riduzione del rumore e migliorando, più in generale, la qualità di quello che gli proponiamo. Però fa davvero molto, molto altro: dal file che gli proponiamo può esportare in formati diversi, a qualità diversa; può imprimere nel file metadati (come titolo, autore eccetera) e capitoli; può caricare la puntata direttamente su alcuni servizi di hosting; può caricarla anche su alcuni servizi di trascrizione automatica. Fa tutte queste cose e altre ancora in contemporanea, allo stesso file, senza che dobbiamo caricarlo in momenti diversi per fargli fare cose diverse.
Auphonic offre un piano gratuito di due ore che si rinnova ogni 30 giorni: la durata di ciascun file che carichiamo viene scalata dalle due ore del piano gratuito, terminate le quali sarà possibile acquistare un pacchetto di ore una tantum, oppure un abbonamento mensile per un numero variabile di ore aggiuntive.
Registrare una chiamata VoIP
Con VoIP (Voice over IP) intendo un qualsiasi servizio di chiamate su internet, che sia Skype o Zoom o altri. È la soluzione più comoda, per tutti, anche se purtroppo spesso è la meno piacevole da riascoltare. È però indubbio che chiunque conosca almeno a grandi linee il funzionamento di uno di questi programmi: è un vantaggio non da poco, soprattutto se vogliamo intervistare qualcuno con il quale abbiamo poca, o nessuna confidenza. Ci sentiamo via Zoom fa molta meno paura di Ti mando il link per Riverside, anche se la registrazione di Riverside presenta una serie di vantaggi notevoli rispetto a quella di Zoom, ma non importa in questo momento.
Tra i vari servizi VoIP quello che preferisco è sicuramente Zoom, se non altro perché permette la registrazione separata di ciascun partecipante. Bisogna stare attenti alle limitazioni del suo piano gratuito, ovviamente, perché dopo 40 minuti le videochiamate vengono interrotte. Con Zoom soprattutto è possibile ottenere una traccia separata per ciascun partecipante alla conversazione, il che aiuta enormemente in fase di postproduzione. Per ottenerle è necessario in primo luogo specificarlo nelle impostazioni del programma; in secondo luogo la chiamata dev’essere registrata in locale, sul proprio computer. La qualità della registrazione non sarà certo eccelsa, ma la possibilità di intervenire su ciascuna singola voce non è da sottovalutare: all’atto pratico è come utilizzare un servizio pensato apposta per i podcast.
Però, per quanto Zoom sia il servizio che incontra maggiormente i miei favori, può succedere che sia necessario ricorrere ad altri sistemi. Se, per esempio, Zoom fa le bizze per colpa della connessione, risultando instabile e poco affidabile, Skype può essere un’alternativa che permette comunque di realizzare la registrazione della puntata. Contrariamente a Zoom, Skype ci consegna una registrazione unica, peraltro della videochiamata: saremo costretti a estrarre la traccia audio dal video prima di poterla utilizzare. La qualità audio sarà più compromessa qui che su Zoom, ma ottenendo un’unica traccia non sarà necessario sincronizzare in postproduzione tutte le voci. Purtroppo non ci sarà possibile neanche intervenire singolarmente su ciascuna di esse, ma dovremo fare un lavoro generale sull’insieme.
Se usiamo Skype è fondamentale entrare nelle impostazioni delle chiamate e disattivare la regolazione automatica del volume, altrimenti il software cercherà di comprimere la nostra voce perché mantenga sempre lo stesso livello, e questo degraderà ulteriormente la qualità della registrazione.
Utilizzare un servizio per podcast
Negli scorsi anni avevo utilizzato o quantomeno tenuto d’occhio Zencastr e Squadcast; più di recente sono saliti alla ribalta soprattutto Riverside e altri siti che si prefiggono un obiettivo più che nobile: facilitarci la registrazione di un podcast da remoto.
Il principio base di questi servizi è bene o male sempre lo stesso: attraverso un sito Internet (quindi via browser) viene effettuata una chiamata. Ciascun partecipante avrà la propria voce registrata in locale, nella cache del browser stesso; questa registrazione verrà poi caricata direttamente sui server del servizio. Da lì potrà essere facilmente scaricata per essere inserita nella nostra DAW e procedere al montaggio. Negli ultimi anni poi tutti i vari servizi hanno aggiunto la possibilità di utilizzare la webcam e vedersi come in una videochiamata, e a seconda del servizio si può utilizzare anche quella registrazione.
E tutto il resto?
Non ci sono solo Zencastr, Zoom, Squadcast o Riverside per poter registrare da remoto il nostro podcast. Esistono svariati altri servizi che offrono più o meno le stesse funzionalità, con differenze magari minime tra loro. Un discorso a parte però va fatto per Discord, la piattaforma per la messaggistica istantanea e di VoIP piuttosto diffusa soprattutto in alcuni ambiti (i videogiocatori sono i primi che mi vengono in mente, ma non solo).
Attraverso Discord e alcuni suoi bot, cioè programmi automatizzati, è possibile anche ottenere un double ender, anche a qualità abbastanza elevata (registrazioni in WAV, per esempio). Se siamo già utenti di Discord e sappiamo come muoverci al suo interno è anche questa un’opzione da tenere a mente; in caso contrario personalmente la sconsiglio, perché piuttosto macchinosa e complicata da mettere in pratica, soprattutto se stiamo coinvolgendo persone da intervistare che sono ancora meno pratiche di noi in questo campo.
Librerie musicali
Epidemic Sound, Audioblocks, Artlist, Envato, Pond5: sono cinque delle librerie musicali più famose e utilizzate sul mercato, ma le alternative sono numerosissime, e con un minimo impegno a curiosare nel grande mare di Internet troveremo quella che preferiamo. Sono siti che usualmente contengono sia brani musicali sia effetti sonori: ospitano migliaia di canzoni ed effetti che possiamo utilizzare all’interno dei nostri podcast (o video di YouTube, il principio è il medesimo).
Hosting
La scelta dell’hosting del nostro podcast è un momento delicato: dalla qualità del servizio offerto dipenderanno alcune scelte anche strategiche che potremo fare per la distribuzione. Di base, tutti gli hosting di podcast ci permettono di caricare il file MP3 che abbiamo esportato e lo mettono a disposizione di chiunque voglia ascoltarlo. In questo capitolo vedremo alcuni dei servizi più noti e delle soluzioni che possiamo mettere in pratica con ciascuno di essi.
I più utilizzati in Italia sono Anchor e Spreaker; alcuni miei clienti, per motivazioni strettamente legate al loro progetto, hanno scelto hosting differenti e stranieri, ma all’atto pratico non vi sono grosse differenze per il funzionamento di base (caricamento dei file, inserimento di titoli e dei testi delle puntate, programmazione delle puntate a una data futura e così via). Alcuni dei servizi di hosting hanno magari qualche particolarità per cui si differenziano rispetto agli altri, ma ricordiamoci sempre che tutti generano un feed RSS, il cuore di tutta l’industria del podcasting: il feed si potrà sempre spostare da un servizio a un altro. Se scegliamo un hosting rispetto a un altro, non siamo vincolati per la vita.
Acast
Di hosting con piani gratuiti particolarmente generosi non ne ho trovati tanti, e Acast si colloca sicuramente al primo posto, prima ancora di Anchor: ha infatti un piano gratuito ricco di funzionalità, tra cui la possibilità di avere più podcast sotto lo stesso account. Comprende anche la possibilità di guadagnare grazie ad abbonamenti sottoscritti dagli ascoltatori. Gli altri due piani a pagamento contengono funzionalità piuttosto interessanti (il più costoso prevede per esempio un servizio automatico di trascrizione degli episodi) e ovviamente l’inserimento di pubblicità dinamiche.
Substack
Non certo la prima scelta, ma perché no? Substack è un servizio di newsletter piuttosto noto in questi ultimi anni. Ha introdotto diverse innovazioni nel settore, per esempio la possibilità di ospitare e pubblicare podcast, anche video. È gratuito e permette di guadagnare impostando degli abbonamenti alla newsletter (cosa che in Italia si usa molto poco, ma all’estero invece è un’attività anche piuttosto redditizia). Ovviamente non è obbligatorio far pagare l’iscrizione a una newsletter.
Utilizzare Substack potrebbe essere un’ottima strategia se il nostro progetto è sfaccettato e prevede anche un’abbondanza di ricerche e di testi: dal momento che Substack crea, di fatto, un sito web dove poter leggere la newsletter, accompagnare l’uscita delle puntate con la loro trascrizione, con approfondimenti, dietro le quinte e altro materiale è un aiuto che può essere notevole. Per parte mia, lo consiglio spesso ai miei clienti, perché trovo che avere un pacchetto unico, così organizzato, sia una soluzione molto comoda e interessante.
Teniamo conto che al momento, rispetto ad altri servizi di hosting, è decisamente carente: per esempio non prevede distribuzione su nessuna piattaforma (che va quindi effettuata manualmente su ognuna di esse), e le statistiche di ascolto sono davvero di livello base. E sì, per carente intendo a malapena il minimo sindacale.
La scelta internazionale
Esistono dozzine di soluzioni internazionali. Le più famose sono sicuramente Lybsyn e Buzzsprout; io ho usato molti anni fa Podbean (all’epoca era molto rigido e poco funzionale, oggi sicuramente più al passo coi tempi) e per un podcast che faccio con Andrea Ciraolo e Valentina De Poli ho scelto RedCircle, più per una questione di varietà e di test di nuovi servizi che per un motivo specifico.
Come le DAW, anche questi servizi fanno tutti all’incirca le stesse cose; sicuramente tutti svolgono le funzioni più importanti e variano per i dettagli. Una ricerca su Google può aiutare a cercarne di nuovi.
Piattaforme di ascolto
Apple Podcast
Dopo essere stata la culla del podcasting mondiale, Apple ha lasciato che il settore badasse a sé stesso per un decennio o poco più. Solo dopo che Spotify ha rapidamente guadagnato posizioni come piattaforma d’ascolto preferito per una consistente fetta di popolazione (e questa fetta, a livello globale, continua lentamente a salire), Apple ha deciso di innovare un po’ la sua piattaforma.
Spotify
A seconda delle fonti e dei momenti, Spotify è tra le prime piattaforme di ascolto di podcast al mondo, in una lotta senza fine con il gigante che per anni ha presidiato il mercato, cioè Apple. Sicuramente negli ultimi anni Spotify ha guadagnato una quota di mercato notevole, passando da pochi punti percentuali a oltre il 20 percento ovunque, ma quella che ha strappato ad Apple è sicuramente la mind share: appena pensiamo a un podcast è immediato associarlo a Spotify. Non è stata un’impresa di poco conto.
Google Podcast
Dopo diversi anni e svariati tentativi di inserirsi nel mercato, e dopo che per anni i podcast erano ascoltabili attraverso Google Play Music, nel 2018 Google ha consolidato tutto sotto il cappello di Google Podcast. Negli anni sono arrivate la versione web e le app per iOS, nonché una serie di migliorie strutturali e grafiche. È una delle piattaforme di ascolto più diffuse dopo Apple e Spotify: secondo le classifiche di ascolto di BuzzSprout, un servizio hosting, riferite ad agosto 2022, la sua quota di mercato è del 2,5 percento.
Amazon Music
A disposizione gratuitamente di chiunque abbia un abbonamento Prime in Italia, oppure a parte per tutti gli altri, anche Amazon si è affacciata su questo mercato. Il catalogo musicale è fornitissimo e disponibile ad alta qualità, e poterci affiancare i podcast è una comodità non da poco (esattamente come per Spotify). Va da sé che l’integrazione con gli smartspeaker Alexa è totale.
Stitcher
Stitcher è sia una delle app più usate per l’ascolto dei podcast su tutte le piattaforme mobili, sia editore di alcuni podcast interessanti (anche grazie all’acquisizione del network Earwolf). Con la versione premium da 4,99 dollari al mese si possono eliminare le pubblicità e ascoltare gli archivi dei podcast originali.
Applicazioni per ascoltare podcast
Apple Podcast
È l’app che corrisponde alla piattaforma di ascolto per i podcast di Apple e funziona all’interno dell’ecosistema di Cupertino: quindi su iPhone, iPad, Mac. A conti fatti non si è evoluta tanto da quando i podcast si potevano ascoltare all’interno di iTunes. Si possono cercare podcast ai quali iscriversi e decidere se ascoltarli in streaming oppure scaricarli sul proprio dispositivo. Attraverso Apple Podcast è possibile iscriversi ai podcast in abbonamento che utilizzano il sistema di pagamento in-app sviluppato da Apple. È un’ottima maniera per sostenere i podcast che amiamo, se accettano di attivare questa opportunità.
Google Podcast
Semplice, funzionale, a tratti forse troppo minimale: attraverso Google Podcast possiamo fare però tutte le cose normali di un’app per l’ascolto di podcast, come iscriverci a un feed, scaricare una puntata o organizzare una coda di ascolto, in modo da avere sempre qualcosa di pronto da ascoltare.
Overcast
Creata da Marco Arment, uno degli sviluppatori più famosi di sempre, Overcast è l’app indipendente più nota e utilizzata su iOS. Ha introdotto due funzionalità copiate da tantissime altre app: la possibilità di accorciare i silenzi e quella di migliorare il volume dei podcast (un mix tra compressione e normalizzazione molto efficace). Funziona però solo all’interno dell’ecosistema Mac, oppure via browser.
Castbox
Una delle app più importanti, che si è sviluppata anche come database di podcast (in concorrenza con Apple e Spotify) e piattaforma di caricamento. Castbox permette gratuitamente di sincronizzare le proprie iscrizioni e i propri ascolti su tutti i propri dispositivi (mobili o desktop).
Pocket Casts
Un’altra delle app più importanti, disponibile sia su Android che iOS; è stata comprata da Automattic, l’azienda che produce WordPress, dopo esser stata di proprietà (tra gli altri) di NPR, il conglomerato di radio pubbliche statunitensi. Contrariamente a Castbox, per utilizzare l’app su desktop è necessario un abbonamento (che dà ovviamente anche altri vantaggi, e costa una dozzina di dollari all’anno). A fine 2022 Automattic ha rilasciato il codice di Pocket Casts e l’ha resa open source.
AntennaPod
AntennaPod è un software interessante perché sviluppato da volontari e appassionati e rilasciato con licenza open source. Funziona solo su Android.
Tutte le altre
Esistono tante soluzioni per l’ascolto dei podcast, oltre alle carrellata di app che abbiamo appena visto. Ne nascono più o meno ogni mese: alcune hanno un breve momento di gloria prima di essere dimenticate e lasciare il passo all’ultima novità. Alcune sono pensate per nicchie specifiche, per esempio l’ascolto di podcast narrativi (Apollo) o di business (Businesswise). Fare l’elenco preciso di tutte le alternative, soprattutto quelle di nicchia, sarebbe tedioso per me e per chi legge: lascio il divertimento della ricerca e della sperimentazione!
Questo articolo richiama contenuti da Podcast – Guida alla creazione, pubblicazione e promozione.