Non sto a girare il coltello nella piaga. Il giornale “La Repubblica” ha già raccontato tutto, all’estero si sono fatti delle grasse risate, ci sono state le smentite di prassi dell’Organo Supremo Alla Gestione Del Monolito Italico, tutto è finito in pizza.
Di come, grazie ad un uso a dir poco improprio di mezzi tecnologici evoluti (ma non troppo) da parte di personaggi di dubbia competenza, l’Università della Bocconi è diventata “University of Mouthfuls” o che Renato Ruggiero “…it has been the megaphone…” tutti sappiamo o ne abbiamo sentito dire. E se non ne sapete ancora, andatevi a vedere questi link:
Articolo originale della “Repubblica” che ha generato il “can can“.
Le biografie dei 33 ministri in puro inglese maccheronico, tranne quella del Cavaliere
La replica del Governo Italiano
Al di là del fatto
“Oreste, fas la tradusiun del curiculom del ministeri para ‘l uebsait, fame el piasï…”
“A dottó, io jela faccio, ma nun ce capisco un cacchio de st’inglese, non ciá li accenti, nun se esprime…”
Scusatemi la pessima presentazione dialettale, miscuglio di molti dialetti che non so parlare. Un poco di fantapolitica e di immaginazione mi hanno portato là, dietro le scene della struttura che si occupa di lustrare l’immagine del Governo di “Italy Force” ultimo arrivato. Mi è venuto di immaginarmi in quei meandri dove la comunicazione che è alla base di questo “nuovo” modo di intendere il potere che viene presentato fuori e dentro Italia, si muove. Ma questo, politicamente e non, lo lasciamo da parte, ora. Vorrei, prendendo spunto da questo scivolone politico, andare a vedere che cosa significa, per i più, la necessità di usare il computer per svolgere mansioni di varia natura.
Analfabeti digitali
Così il Guardian ha definito chi ha deliziato i lettori di lingua inglese con 32 traduzioni di biografie dei ministri italiani del corrente governo, con un uso della lingua inglese chiaramente frutto di molta incompetenza e di un pessimo software di traduzione automatica. Dico pessimo perché anche in situazioni non troppo complesse (per esempio parole come “preside”, “moglie”, “forense”, “ferie”), questa meraviglia di programma è riuscito a dare il peggio di sé, amplificando (manco ce ne fosse stato bisogno) l’effetto “maccheronico” delle traduzioni. Da notare come l’unica traduzione impeccabile fosse quella del Cavaliere, segno che già ne era stata predisposta una per uso di diffusione, affidata a traduttori competenti.
Ma quanti analfabeti digitali (o technically challenged, impediti tecnologici) si annidano tra di noi? E quale il livello di analfabetismo? Una volta, analfabeta era chi non sapeva scrivere il proprio nome e firmava con una croce. Nelle nostre campagne, quanti ce n’erano! Ma quelli, io, li vorrei scusare tutti, compresa la mia povera mamma che ha fatto solo la terza elementare e non so se ha mai letto un libro in vita sua. Non avevano il tempo, i denari e, in fondo, neanche la necessità di avvicinarsi alle “belle lettere” o, perlomeno, ad una comprensione della parola scritta. Per lavorare, la zappa bastava, il più delle volte. Così come scuso quelli che oggi, a 15 anni buoni dalla rivoluzione tecnologica “di massa” del computer, si rifiutano di metterci mano e di capire come farli funzionare. È una scelta, e io, democraticamente, le scelte le rispetto tutte.
E gli altri?
Ecco, gli altri. Quelli che del “mezzo” computer ne usano e abusano, sia per necessità sia per piacere personale, sono tanti, sono proprio tanti. La rivoluzione del computer ha obbligato persone con i più svariati livelli culturali a mettersi di fronte ad un monitor e fare cose per cui spesso non hanno né competenza, né background culturale, e nemmeno predisposizione. Altro che ore e ore di studio di manuali, tutorials, e disperate ricerche nel menu “help”. Ma è pure interessante notare come una nuova classe di analfabeti si è formata con la necessità di un uso quotidiano del computer: quella di chi, appartenente ad un livello culturale superiore, rifiuta di “partire da zero” nello studio delle metodiche che portano all’uso del computer, ma forte degli studi compiuti in un lontano passato, si ritiene atto all’uso del mezzo in quanto “dottore” “architetto” o “ingegnere”.
Allo stesso modo abbiamo chi, suppostamente qualificato a svolgere le mansioni a cui è preposto, si trova a dover intermediare il suo lavoro attraverso quel computer che non ha mai imparato ad usare, e allora si arrabatta, con risultati spesso frustranti per lui e per chi con lui deve interagire. Ed infine chi, convinto di saperne più degli altri, si permette il lusso di farsi delle emerite cavolate solo perché è un “esperto”.
I nuovi analfabeti: esempi da non imitare
Improvvisamente il computer ha creato una nuova frattura sociale, determinata da chi sa e riesce, e da chi si trova ad essere impotente di fronte al “cervellone” e reagisce con astio, spesso arroccandosi su una metodologia di lavoro da mondine del Vercellese. Non me ne vogliano i cinefili amanti della Mangano.
Alcuni esempi succosi:
Il tipografo che, dovendo cambiare nel testo di un libro tutte le virgolette singole in virgolette doppie, se le cambiava una a una. “Quando non ho niente da fare mi metto qui e cambio un poco di pagine…”.
O quell’addetto al servizio pubblicitario di un giornale che mi ha rimandato ben quattro volte un messaggio perché evidentemente non era sicuro che l’e-mail fosse stato trasmesso.
O quel negoziante ex-dentista che ha fatto partire il virus nel suo computer, perché il messaggio gli arrivava dal giudice di pace che lo aveva sposato, e a distanza di anni chissà cosa voleva da lui. E… ZAC! Diamo una bella doppia cliccata sull’attachment con un titolo tipo “the_real_story.doc.pif” (applausi dal loggione).
O quell’altro, architetto e businessman, che dopo aver convissuto mesi con un virus, è andato dal suo “servizio assistenza” che gli ha cambiato l’hard disk, ovviamente facendogli perdere tutti i suoi dati. Che peraltro non erano stati corrotti dal virus! Due analfabeti a confronto diretto, lotta tra titani.
O quell’altro architetto, che per passare dei file di immagini da un dischetto li apriva uno dopo l’altro e poi li salvava sull’hard disk.
O un capitano di industria, mio cliente, che mi telefona dicendo: “Ho ricevuto il suo file, ma adesso non lo trovo più, dove l’ho messo?” Io, a 15.000 Km di distanza ho trattenuto a stento un’esplosione di riso amaro.
E ce ne sarebbero molti altri. Sono tra di noi, siamo noi stessi a volte.
Analisi politica di uno svarione
Non ricordo da dove venga la parola “svarione”, ma sono quasi certo sia italiano corretto.
Non così sono tante parole e termini e forme grammaticali nelle biografie dei ministri che mi hanno dato lo spunto per questa divagazione.
Ma se vogliamo fare un poco di ironia (pure politica) sul fatto, alcuni dati emergono prepotenti:
- Il Governo si preoccupa di offrire dei posti di lavoro a degli incompetenti, perché se no i rispettivi figli e coniugi e parenti a carico non mangerebbero. Sublime esempio di democrazia spinto agli eccessi.
- Le scelte effettuate dal Governo per affidare attività lavorative e quindi soldini dello stato a professionisti o fornitori in genere, si sono dimostrate, almeno in questo caso, affidate a incompetenza e nepotismo.
- L’incompetenza di chi ha affidato a un software (parecchio scadente direi) l’incarico di traduzione di ben 32 biografie di ministri, e poi le ha messe online per il nostro divertimento, può dirsi notevole, quasi straordinaria. Perché nessuna preoccupazione di revisione è emersa, nessuno con un minimo di conoscenza della lingua Inglese (la terza media sarebbe bastata e avanzata per bloccare il processo) si è preoccupato di dare un’occhiata seppure distratta alla descrizione delle capacità e meriti del corpo dirigente dello Stato Italiano prima di esporlo al ludibrio pubblico. Come italiano (seppure all’estero) mi sento insultato.
- Da notare come alcuni errori nelle traduzioni sono dovuti all’uso di ” e’ ” (con l’apostrofo) invece della forma accentata corretta “è”. Questo dimostra anche un’incapacità, da parte di chi ha digitato i testi in Italiano, di usare la corretta accentazione delle parole. Per non dire degli apostrofi, sostituiti da dei punti. Vedi: “dell.Università”. Molto triste, oppure vedi punto 1?
- Il comunicato stampa di Palazzo Chigi parla di “pagine di prova realizzate con il traduttore automatico del motore di ricerca (Altavista?), e quindi mai destinate alla pubblicazione”. Come direbbe Totò: “Ma mi faccia il piacere!”
- Il fatto che il software usato si sia dimostrato tanto scadente nella traduzione da non riconoscere vocaboli come “moglie”, dice che pur nella prassi (agghiacciante) di coprire la propria impotenza linguistica utilizzando un software di traduzione, sicuramente ne è stato scelto uno di scarsa qualità. Che sia stato per fare risparmiare le Casse Dello Stato? Basta crederci.
La morale?
Da quel che ho visto io dall’altro lato dell’oceano, l’Italia ci sta impiegando molto tempo ad allinearsi nell’uso e nello sfruttamento del computer, e questo la mette in una posizione tecnologicamente svantaggiosa nel confronto degli altri Paesi. Di qui nascono patetici eventi come questo delle traduzioni maccheroniche. E se ne vedranno altri, c’è da non dubitarne.
Rivolgendosi agli addetti: se si vuole dialogare con i nuovi mezzi, bisogna necessariamente essere così “umili” da imparare ad usarli, anche se questo vuol dire tornare metaforicamente sui banchi di scuola.
Epilogo
Le luci si abbassano sul palco, il tendone scende cigolando, la gente si mette i cappotti frettolosamente, molti sono già con la sigaretta in bocca pronti per uscire fuori, risate un poco imbarazzate, August of the Walnut che ringrazia con voce crocchia il pubblico intervenuto, il National secretary of the Forehead of the Youth con gli occhiettini furbi che sbircia da un angolo del proscenio, un paio di ragazzini da libro “Cuore”, forse Albanesi, che si mettono le dita nel naso, la “maschera” con la barba da fare e la divisa un poco sgualcita, che apre i tendoni delle uscite laterali, un lui che dice a una lei: “Cosa dici se ci andiamo a fare una 4 stagioni con la birra?”