Allarme. Le sirene urlano a squarciagola il probabile attacco alle reti informatiche dell’Occidente, che scopre così la sua vulnerabilità.
In una società che si basa ormai sullo scambio di flussi di informazione in bit, le grandi e piccole arterie che alimentano questo flusso sono in pericolo, fisico e virtuale.
Ne parliamo su questa rubrica ormai da tempo e da tempo registriamo gli avvertimenti che giungono da parte pubblica e privata sulla sicurezza delle reti.
Prima dell’11 settembre, data che segna ormai un passaggio in una fase di insicurezza di tutto il mondo occidentale, il pericolo era rappresentato dalla pirateria informatica non politicizzata o legata a movimenti terroristici.
L’anno scorso e parte di questo che ci accingiamo a terminare, infatti, ha segnalato la fragilità di molti dei nostri sistemi sottoposti ad attacchi informatici, sia che fossero virus (molti dei quali hanno provocato danni per miliardi di dollari) sia “bombardamenti” che hanno bloccato l’operatività dei server e delle reti.
Problemi di sicurezza, questi, che sono dovuti alle fragilità dei sistemi e delle reti: dai conclamati “bug” dei sistemi operativi, spesso vere e proprie “porte aperte”, alle omissioni dei programmatori e sistemisti che lasciano buchi e spazi ai pirati.
È già di qualche anno l’avvertimento del CERT, il centro incaricato della sicurezza tecnologica negli Stati Uniti, sulle falle di sicurezza nei numerosi computer che servono alla stampa di documenti in rete.
Attraverso queste, pirati potrebbero lanciare attacchi di tipo “denied of service” o addirittura prendere il controllo della macchina.
Questo prima, dicevamo. Ed erano problemi spesso sottovalutati o, al limite, degni di attenzione per qualche commissione parlamentare americana.
Dopo l’11 settembre, invece, improvvisamente l’Occidente tecnologico e informatizzato si sente scoperto e inerme su questo fronte e obiettivo di possibili attacchi terroristici.
Non solo. Si viene a scoprire che le mega-strutture di controllo e spionaggio delle informazioni, i miliardi di dollari spesi in tecnologia dai vari servizi di intelligence sono totalmente inefficaci nella lotta contro il terrorismo fondamentalista.
In più, questi criminali usano gli stessi mezzi tecnologici dell’Occidente e li ritorcono contro il loro “nemico”.
È ormai noto a tutti che la pista seguita dall’FBI dopo gli attentati alle Torri gemelle e al Pentagono, sono piste informatiche, che le tracce seguite erano su hard disk di computer nelle biblioteche pubbliche americane.
La risposta a tutto questo è una serie di provvedimenti legislativi che sanno di “stato di emergenza”, una sorta di “coprifuoco elettronico” che tocca tutti. Anzi, che toglie spazi di libertà e di privacy agli utenti, proprio come se si fosse in guerra.
Provvedimenti da cui, poi, sarà difficile tornare indietro, visto anche che la guerra si preannuncia lunga.
Eppure, malgrado queste soluzioni, l’inquietudine rimane. Rimane la paura che un giorno possano essere congestionati o disattivati i sistemi di difesa antiaerea, quelli logistici in caso di catastrofe o attacchi alla rete di scambi finanziari di Wall Street.
Uno dei risultati, purtroppo, questi attacchi terroristici l’hanno raggiunto: di farci sentire insicuri e con meno garanzie.