Meno rumorosamente delle stelle del rock e degli attori di culto ci ha lasciato anche Marvin Minsky, che al Massachusetts Institute of Technology ha posato varie pietre miliari della ricerca sull’intelligenza artificiale.
In particolare mi è caro un argomento che ha ripreso anche Douglas Hofstadter nel celebre Gödel, Escher, Bach: Un’Eterna Ghirlanda Brillante: è teoricamente possibile creare un sistema intelligente a partire da componenti fondamentali che intelligenti non sono.
È solo una briciola di quello che Minsky ha insegnato. Peccato che i continui miglioramenti di processori e dischi abbiano distolto gli intenti dei ricercatori dal tentativo di creare coscienze cibernetiche a più fruttuose realizzazioni basate sulla pura potenza di calcolo e sulla scaltrezza degli algoritmi di valutazione.
Minsky si è spento prima di apprendere che il team DeepMind di Google ha creato AlphaGo, programma capace di compiere un’impresa storica:
Il gioco del Go è ampiamente considerato una grande sfida irrisolta per l’intelligenza artificiale. Nonostante decenni di lavoro, i più forti programmi di Go giocano cone umani dilettanti. […] AlphaGo ha vinto oltre il 99 percento delle partite contro i più forti programmi di Go e ha anche sconfitto 5-0 il campione europeo umano giocando con le regole da torneo: qualcosa che era stato previsto almeno dieci anni nel futuro.
Campione europeo nel Go significa una sorta di serie B dell’eccellenza. Non c’è dubbio peraltro che prima o poi il software sconfiggerà anche un campione assoluto. Potrebbe succedere nel match previsto per marzo tra AlphaGo e la leggenda Lee Sedol, sudcoreano che ha dominato il gioco nell’ultimo decennio.
Chiariamo che sono notizie straordinarie, di cui essere orgogliosi. Watson di IBM ha dominato in un telequiz e per farlo ha messo a punto sistemi di valutazione che oggi, per esempio, aiutano la medicina. Gli algoritmi di ottimizzazione usati da AlphaGo troveranno domani applicazioni vantaggiose in numerosi settori di ricerca, dalla biochimica all’astronomia.
Il computer tuttavia resta incosciente di sé e non sa quello che fa, né perché lo fa, come già si ribadiva tempo fa. L’università di Harvard ha ottenuto 28 milioni di dollari per l’ennesima ricerca mirata a decifrare il funzionamento del cervello. Siamo a buon punto? Sì, quello di trent’anni fa, quando i giapponesi spendevano sui mitici computer di quinta generazione per poi concludere niente. I titoli degli articoli ieri e oggi si sovrappongono tranquillamente.
Marvin Minsky è vissuto tutt’altro che invano e tra un centinaio di anni sarà ricordato come un vero fondatore, diversamente dai bravissimi e pragmatici ricercatori di Google o di Facebook. Disgraziatamente si fatica a trovare successori degni del suo nome e continuiamo a registrare grandi avanzamenti tecnologici, vuoti di progresso. Lui aveva ammonito:
[Un giorno svilupperemo macchine capaci di rivaleggiare con la nostra intelligenza]. Quanto tempo ci vorrà, dipende da quanta gente lavora sui problemi giusti.