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Abbiamo ancora molto da imparare

19 Giugno 2003

Abbiamo ancora molto da imparare

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Nonostante gli enormi progressi fatti dall'umanità nel campo dell'istruzione e dell'apprendimento, anche nei cosiddetti Paesi avanzati, la percentuale di persone ai limiti dell'analfabetismo è ancora elevata. Le Nuove Tecnologie e Internet potrebbero essere ottimi strumenti per migliorare la situazione

Secondo un rapporto pubblicato dall’OCSE (L’Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico) e intitolato “Literacy in the Information Age”, il 20% della popolazione dei Paesi maggiormente industrializzati ha serie difficoltà nelle svolgere elementari funzioni come leggere e scrivere. Nonostante l’avvento della società dell’informazione, anche nei Paesi più ricchi c’è chi ha sempre meno possibilità di accedere alla conoscenza.

In questi anni di esplosiva espansione delle nuove tecnologie, un quinto della popolazione dei Paesi più ricchi non possiede le conoscenze necessarie per effettuare quelle che un tempo erano considerate le competenze base della scolarizzazione: leggere, scrivere e far di conto. Conoscenze minime necessarie anche per utilizzare un computer e accedere a Internet. La società dell’informazione è ancora, in buona parte, una società dell’ignoranza.

Secondo John Martin, responsabile del settore educazione dell’Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico, che ha partecipato alla realizzazione del rapporto, “i Paesi industrializzati devono risolvere questo problema con una certa urgenza”. L’OCSE definisce “literacy” come “la capacità di comprendere e utilizzare l’informazione scritta nella vita quotidiana, a casa, al lavoro e nella vita sociale allo scopo di conseguire delle finalità personali e di estendere le proprie capacità”. La mancanza di queste capacità viene definita come “analfabetismo funzionale”.

Secondo l’OCSE in 14 dei 20 Paesi interessati dall’indagine, “almeno il 15% degli adulti non possiede nemmeno le capacità rudimentali di lettura e scrittura”. I Paesi nei quali l’alfabetizzazione è ai più alti livelli sono la Svezia, la Finlandia, la Norvegia e l’Olanda. Gli ultimi della classe, invece, sono Cile, Portogallo, Polonia e Slovenia. Ma anche in Svezia, circa l’8% degli adulti ha un “deficit grave in literacy nella vita di tutti i giorni e sul lavoro”.

Saper leggere, scrivere e gestire dei concetti non è un’attitudine intellettuale, ma un requisito necessario per inserirsi nel mondo del lavoro. Maggiori sono le capacità di lettura e scrittura dell’individuo, maggiori sono le possibilità di aumentare i propri introiti o di evitare la disoccupazione. E a questo proposito l’OCSE ricorda che nella cosiddetta “economia del sapere”, la disoccupazione è doppia tra gli individui con scarse capacità di lettura e scrittura. Il loro livello di reddito è, inoltre, molto più basso.

In altre parole, i Paesi nei quali le performance in literacy della popolazione sono più alte, gli individui potranno contare su un reddito medio maggiore. Di conseguenza gli stati potranno investire maggiormente in educazione e formazione creando un classico circolo virtuoso che si trasforma in circolo vizioso nei Paesi con livelli di alfabetizzazione più bassi. Nell’era dell’informazione questo vantaggio viene amplificato dall’uso delle tecnologie che, tagliando fuori una parte di popolazione, finiscono col diventare un vantaggio competitivo per le nazioni più performanti.

Lo studio dell’OCSE è stato condotto sulla base di dati raccolti tra il 1994 e il 1998 su un campione di adulti tra i 16 e i 65 anni. I sui risultati fanno riflettere e indicano come il problema del cosiddetto digital divide abbia radici profonde e stia aumentando le disuguaglianze tra chi ha le possibilità di accedere alla società dell’informazione e chi rischia di rimanere tagliato fuori. E questo non solo nella competizione tra nazioni, ma anche tra gli stessi individui. Le nuove tecnologie rischiano, in poche parole, di diventare un strumento ulteriore di discriminazione, rafforzando chi è già in posizione di vantaggio e indebolendo gli inseguitori.

Nonostante ciò, Internet potrebbe rappresentare un valido aiuto nella diffusione della lettura. Esiste, infatti, una forte dinamica tra la Rete e la lettura stessa. L’istituto francese Médiangles, specializzato in ricerche di mercato, ha reso pubblici qualche tempo fa i risultati di un’indagine commissionata dalla Société des gens de lettere secondo la quale esiste “una forte dinamica” tra la lettura e Internet.

L’inchiesta, intitolata “Come leggerete domani?”, rivela che “Internet è un vettore di promozione del libro tradizionale come della lettura in generale perché consente di scoprire nuove opere e nuovi autori. Il fenomeno di Internet – affermano i ricercatori – sembra essere piuttosto positivo per lo sviluppo della lettura in generale, se si accetta l’idea che leggere su un monitor è comunque leggere”.

Su questo ultimo punto si potrebbe avviare un dibattito. Leggere da uno schermo è comunque lettura o si tratta di un’attività più vicina alla visione di un programma televisivo? Leggere su uno schermo di computer, è stato osservato, è scomodo, disagevole, comporta uno stile di lettura frettoloso, a volte superficiale, più attento alle immagini che al testo. La lettura dallo schermo è una sorta di lettura a scansione, alla ricerca delle parole chiave del testo piuttosto che dell’intero contenuto, diversamente da come facciamo quando prendiamo un libro o un giornale e ci sediamo in poltrona.

L’ipertesto, con i sui collegamenti, accentua, rafforza la tendenza alla lettura a scansione dei testi: l’unitarietà dello scritto tende a perdersi a favore di una lettura contestuale dove l’informazione finisce con l’essere composta da risorse diverse, non sempre omogenee. Si può infatti partire da un articolo di giornale, per spostarsi ad un sito segnalato all’interno dell’articolo stesso per finire su un secondo articolo, di un diverso giornale, avendo letto di ognuno solo alcune righe. Il risultato finale sarà molto diverso da quello che avremmo ottenuto se avessimo letto l’articolo di partenza su un giornale tradizionale.

Si tratta di una mutazione del nostro modo di leggere e di concepire la lettura, ma non vi è dubbio che di lettura si tratta. La ricerca di Médiangles, basata sulle rispose di 2.624 utenti Internet, sottolinea che “questa rivoluzione provocherà mutazioni in tutta la catena del processo editoriale”. Dall’inchiesta, ad esempio, emerge che il 25% degli intervistati tende a leggere con meno frequenza supporti cartacei, “ma questo – sostiene Médiangles – non significa necessariamente leggere meno, quanto piuttosto leggere in modo diverso”.

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