Open source
Dopo anni, possiamo dire che GNU/Linux sul desktop è una chimera. Troppo complesso, troppo frammentato, poco supportato, con applicazioni che non sono all’altezza delle loro controparti commerciali.
L’unico successo minimo lo hanno avuto i Chromebook, dove però il sistema è ben mascherato dallo strato software creato da Google.
Questo non vuol dire che l’open source non abbia fatto passi da gigante e conquistato interi mercati. Nella parte server tutto il software open source si pone per esempio in una posizione dominante, al punto di costituire un fondamento per molte top corporation a livello mondiale. GNU/Linux è il sistema numero uno in tutto quello che ha a che fare con il calcolo scientifico, HPC e supercomputer. Il web continua a essere appannaggio di progetti open, da Apache a PHP a MySQL, PostgreSQL, Hadoop per i Big Data, MongoDB per le elaborazioni in realtime, nginx, Ruby. Sul lato CMS WordPress, Plone, OpenCMS, le decine di sistemi Wiki sono tutti open.
Parlando di cloud i progetti open si sprecano, da KVM e Xen per la virtualizzazione, ai filesystem e progetti per creare grosse infrastrutture come ceph, Lustre, HadoopFS, a tutti i framework per la gestione di enormi datacenter virtuali con OpenStack che oramai è uno standard (a discapito anche di molte soluzioni commerciali, anche di brand affermati), a Cloudstack di Apache, OpenNebula, Ganeti e altri progetti minori.
GNU/Linux è ben nascosto in una marea di appliance tra cui firewall di varie marche e switch (Pica8); in accoppiata con Samba è il cuore delle funzioni Unified di molti storage di marche di assoluto rilievo (Fujitsu, Hitachi, EMC2 giusto per citarne qualcuna) per non parlare dei NAS come QNAP e Synology.
Microsoft
L’ho ripetuto più volte durante quest’anno. Il vecchio carrozzone di Redmond, quello che ci ha rifilato infinite versioni di Windows e di Office ognuna meno interessante della precedente, quella che è sopravvissuta con politiche commerciali ai limiti dell’illegalità sfruttando per bene la sua pozione dominante sul mercato, non esiste più.
Qualcuno ha alzato la testa e si è accorto che quella strada non avrebbe portato a nient’altro che ad un declino più o meno prolungato, oltre che a farsi odiare dalla maggior parte dei suoi utenti.
Probabilmente il maggior pungolo di Microsoft è stata Apple. Apple ha guadagnato punti di mercato, si è piazzata in posizioni di top management (perché diciamocelo, fa molto figo avere un Mac) e ha messo un piede nella porta del monopolio Microsoft. Ed è diventata l’azienda più capitalizzata del mondo.
A Redmond hanno iniziato a capire bisogna smettere di riproporre Windows e Office cambiando solo la salsa di contorno. Hanno capito che i clienti devono essere orgogliosi di portare in giro il brand Microsoft, e non sentirsi degli sfigati rispetto ai fashion addicted che acquistano Apple. Praticamente una mission impossibile.
La rivitalizzazione del brand è passata dalla ridefinizione del concetto di hub digitale, da una nuova strategia mobile e dal gioco a tutto campo con Windows 10, il tutto basato su hardware finalmente innovativo e di punta a partire da Surface Book, una solida offerta cloud e la disponibilità universale su ogni piattaforma dei prodotti e servizi principali.
Social
Se non sei su Facebook, Instagram, Linkedin, Twitter, Youtube non sei nessuno. Anzi non esisti. Una volta appannaggio solo di egocentrici narcisisti, ora sono veri e propri strumenti di lavoro. Se non sei seguito non vali, se non sei un influencer puoi giusto andare a nasconderti. Può piacere o no ma la parola d’ordine per scalare le classifiche non è più solo AdWords, è SEO.
Mobile
Dai servizi alle app, gli smartphone non solo sono mainstream ma stanno diventando, per molti, praticamente l’unica interfaccia tra il mondo digitale e quello reale. Abbiamo tutti in tasca sistemi multicore, con connessioni 4G, schermi più che full HD e con quantitativi di RAM e memoria flash degni di un portatile. E il mercato continua a crescere con numeri da capogiro.
Cloud
Introdotto dal mobile, è diventato mainstream e pervasivo. Pensate a tutti i dati che avete generato e a quanti di questi sono rimasti tra le vostre mura domestiche. Probabilmente il 90 percento stanno in un cloud.
Ogni vendor ha il suo, ognuno cerca di imporre i propri servizi. Perché conquistare il cloud vuol dire un flusso costante di denaro fresco, vendere ulteriori servizi (vedi Google Apps for Work o Office 365) e riuscire a fornire una serie di hardware e software aggiuntivo.
Oggi adottano OneDrive e domani ti comprano Surface e Lumia (e magari Xbox One); acquisti un iPhone e con iCloud praticamente ti invitano a completare il puzzle con Mac e iPad; oggi Google, domani Gmail e Google Apps, poi Chrome con il suo store, e vuoi non comprare un telefono Android e magari un Chromebook?
A domani invece, per sapere chi ha perso.