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2004, l’anno dei blog…. oppure è tutta scena?

12 Gennaio 2005

2004, l’anno dei blog…. oppure è tutta scena?

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Sale del 58% il numero degli statunitensi che naviga nella blogosfera, ma per lo più in solo-lettura e non mancano altri segnali ambigui

All’alba del nuovo anno, la blogosfera appare più popolare che mai. Per chi non se ne fosse accorto, basti ricordare che ABC News ha scelto i blogger come “People of the Year”. E stando alle richieste poste dagli utenti nel dizionario online, il Merriam-Webster’s Dictionary annunciava a dicembre che il termine “blog” è il più diffuso dell’anno. Interessante anzi notare questa Top 10, influenzata ovviamente dalle presidenziali USA: 1. blog 2. incumbent 3. electoral 4. insurgent 5. hurricane 6. cicada 7. peloton 8. partisan 9. sovereignity 10. defenestration. A conferma della rapida ascesa, il Pew Internet and American Life Project ha appena diffuso i dati di una indagine condotta lo scorso novembre, significativamente intitolata “The state of blogging”. Queste le cifre salienti: oltre otto milioni di americani hanno un proprio blog, mentre il 27 per cento di cyber-utenti li legge regolarmente (32 milioni di persone) e il 12 per cento vi ha perfino inserito dei commenti. Una crescita del 58 per cento per cento rispetto allo scorso anno, dovuta in parte al rilancio delle campagne elettorali per la scelta presidenziale. Tramite interviste telefoniche su un campione di 1.324 navigatori, viene fuori anche che il 5 per cento usa gli aggregatori RSS per tenersi aggiornato. Insomma, la blogosfera sfonda e va espandendosi ovunque, almeno così sembra….

Già, perché scorrendo tra le righe del medesimo sondaggio, si evince invece qualcosa di assai meno rassicurante: il fenomeno rimane sostanzialmente sconosciuto. Su 120 milioni di utenti Internet in USA, ben il 62 per cento dichiara di non conoscere il significato del termine ‘blog’. Scenario confermato dall’esperienza quotidiana di chi scrive: “Blog?! What is it? How do you spell it?”, è la tipica replica dell’uomo della strada. Un classico ‘reality check’ ribadito altresì dalle specifiche demografiche di quel 38 per cento che aveva qualche idea su cosa fosse la blogosfera, rimanendo sempre alla ricerca del Pew Internet and American Life Project. Giovani, maschi, educazione di livello secondario, stipendi superiori alla media, utenti stagionati o comunque ‘pesanti’ di Internet. Quasi a confermare una delle antiche accuse lanciate contro i blogger, e nel complesso contro i veterani della Rete: l’autoreferenzialità continua, il circolo chiuso dei ‘virtuosi online’, lo scarso contatto con la realtà concreta, quotidiana.

Da una parte è incontrovertibile che la funzione dei blogger va sempre più integrandosi nella vita quotidiana e nel flusso informativo: lo ha testimoniato, purtroppo, l’ennesima tragedia, quella del cataclisma nel sud-est asiatico. Oltre alla prevedibile e massiccia circolazione di news, report, interventi di ogni tipo, la blogosfera, e più in generale, il medium elettronico si è rivelato sostanziale per costruire vere e proprie catene umane di solidarietà e fattiva partecipazione. Le caratteristiche-base della comunicazione digitale (tempismo, concatenazioni, globalità) sono risultate cruciali, rimbalzando alla grande sia nei palinsesti dei media tradizionali come pure nelle varie iniziative d’assistenza messe prontamente in atto un po’ ovunque. In un certo senso, la stessa drammaticità dei recenti eventi ha consentito un ulteriore accorciamento della distanza tra giornalismo e lettori, tra semplici individui da una parte e dall’altra del globo, tra istituzioni ufficiali e attivismo non-profit. Importante dunque che ora sia possibile scavalcare facilmente certi recinti divisori, volendo, grazie ai mille canali comunicativi della Rete.

Anche vero, come spiega Clay Shirky commentando certe ‘diatribe politiche’ sul dopo-tsunami, che ogni “discussione online si evolve verso la verità” perché il processo è più affidabile di quanto accade su altri media – dove l’errata corrige spesso è tardivo e invisibile, quando pure esiste. “Si spera che l’effetto di eco delle opinioni e la verifica dei fatti raggiungano un equilibrio per superare le sfumature narrative e arrivare ad una più rigorosa successione degli eventi”, spiega in sintesi Shirky, attento osservatore dell’andirivieni della blogosfera. “Pur con il rischio di creare narrative in netta contrapposizione tra loro, dove perfino quel che rappresenta un fatto viene considerato in modo diverso”.

Eppure questa serie di segnali controversi si aggiungono ad un altro dato nascosto tra le righe: appena il 7 per cento dei 120 milioni di navigatori USA adulti mantiene un proprio blog, gli alti preferiscono stare a guardare (lurking) o al massimo si limitano a inserire rapidi commenti. Ancora un volta, un medium in sola lettura, dunque, tipo l’amata televisione? Insieme all’elevata ignoranza sul significato del termine blog e alle polemiche sull’effettivo autocontrollo dei blogger, viene da chiedersi: tutto questo gran baraccone riesce a penetrare davvero nell’opinione pubblica? Alla gente comune, a chi va a fare la spesa ogni dì e cammina tranquillamente per strada, gliene frega forse qualcosa? In altre parole, se il 2004 sotto molti aspetti è stato effettivamente l’anno dei blog, occorre che il 2005 confermi e rilanci quest’impressione, sperando che oltre al fumo ci sia dell’arrosto in cottura.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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