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Una causa persa

21 Settembre 2012

Una causa persa

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Tutto va pensato della diatriba legale tra Apple e Samsung, salvo che si tratti di un verdetto definitivo e autorevole.

La principale notizia che ha riempito le cronache del mondo ICT al rientro dalle vacanze è stata l’esito della vertenza tra Apple e Samsung. Quando due titani dello sviluppo di tecnologie si trovano a fronteggiarsi su questioni molto pregnanti di concorrenza sleale e di proprietà industriale non si può certo rimanere indifferenti, specie se queste questioni coinvolgono “aggeggi” e soluzioni tecnologiche che ormai riempiono la vita privata e lavorativa di tutte le persone del mondo industrializzato.

Ho letto in proposito vari articoli, tra cui alcuni forieri di informazioni distorte e uno addirittura palesemente fake (quello spassoso del pagamento effettuato da Samsung ad Apple con trenta camion pieni di monetine da cinque centesimi), e da giurista mi sento in dovere di aggiungere alcune considerazioni.

Come premessa, vorrei invitare a frenare i sensazionalismi e i toni epici, dato che una causa in tribunale non è una “sfida a duello” tra personaggi mitologici, ma una disputa (spesso molto noiosa e tecnica) gestita da avvocati e, in casi come questo, anche da ingegneri esperti di invenzioni brevettabili. E poi la questione di fondo è che si tratta ancora di un provvedimento di primo grado, assunto con una certa velocità; il che fa pensare anche ad una probabile approssimazione nella decisione. Quasi a dire che tanto anche giudici e giurie sanno che questioni così determinanti devono essere decise da corti superiori.

Poi c’è la presenza sospetta di un presidente di giuria, Velvin Hogan, che (pare per hobby) ha lavorato per sette anni proprio sulla brevettazione di soluzioni per la compressione video; se ciò fa puzzare la cosa di bruciato a noi umili osservatori, figuriamoci agli avvocati di Samsung, che sicuramente faranno pesare questo elemento in fase di ricorso. Anzi, è già strano che non si siano strenuamente opposti a ciò già dalla fase preliminare del processo di primo grado.

Qualcuno (il sempre arguto Glyn Moody, che appunto parla di vittoria di Pirro per Apple), maliziosamente, ha fatto notare che a ben vedere questo verdetto di primo grado è stato forse uno dei migliori spot pubblicitari per l’azienda coreana, la quale grazie alla miriade di articoli usciti in queste settimane si è vista a tutti gli effetti investita del titolo di rivale ufficiale di Apple (e aggiungo io, capofila nello sviluppo di “aggeggi” basati su Android).

Così commenta appunto Moody:

Per noi comuni mortali, ovviamente, un miliardo di dollari è una somma enorme; ma è davvero così tanto per Samsung? Si tratta di una grande azienda, che opera in molti campi. Un ottimista direbbe che ha goduto della miglior campagna pubblicitaria globale degli ultimi anni, e che un miliardo di dollari è un prezzo abbastanza basso da pagare per questo. Dopo tutto, non ci possono essere molti potenziali acquirenti di smartphone che non siano consapevoli del fatto che Samsung ora è un rivale di Apple […]. Alcuni di loro potrebbe dare un’occhiata alle offerte di Samsung, e potrebbero essere piacevolmente sorpresi dal prezzo più basso di molti modelli rispetto alla gamma Apple. Quindi, anche in termini banali finanziari, non è così chiaro che Samsung ne esca davvero sofferente.

E poi c’è il nodo centrale: la consistenza giuridica dei brevetti in gioco. Dal dettaglio dei brevetti (qui riassunti in un’infografica) emerge che è stata attribuita validità ed effettività a brevetti di discutibile innovatività, come, tra i più discussi, quello degli spigoli arrotondati dei tablet e smartphone e quelli relativi allo “zoom a pizzico”. Davvero soluzioni come queste rispettano i requisiti per la brevettazione? O forse la questione si sposterà dal piano della proprietà industriale a quello della semplice concorrenza sleale? O addirittura nemmeno quello, e il tutto si risolverà con accordi di collaborazione e di trasferimento reciproco di tecnologie tra le due imprese? Staremo a vedere.

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L'autore

  • Simone Aliprandi
    Simone Aliprandi è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto d’autore e più in generale del diritto dell’ICT. Responsabile del progetto copyleft-italia.it, è membro del network Array e collabora come docente con alcuni istituti universitari. Ha pubblicato articoli e libri sul mondo delle tecnologie open e della cultura libera, rilasciando tutte le sue opere con licenze di tipo copyleft.

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