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Uncini nel web

16 Giugno 2015

Uncini nel web

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Refback, trackback, pingback e webmention, cioè i collegamenti automatici tra siti, sono solo la punta dell'iceberg.

Il web, cioè la ragnatela, deve il suo nome al fatto che le pagine che lo compongono sono collegate l’una all’altra. Dal 1990 ad oggi però questi collegamenti non sono qualitativamente migliorati. Sono rimasti tenui (perché se io sposto una pagina chi ci aveva messo un link si trova spiazzato e il suo link produce un errore 404) e non collaborativi (perché il link è iniziativa unilaterale; non prevede e non permette collaborazione da parte di chi viene puntato dal collegamento).

Nel 2007 un tale Jeff Lindsay propose un consistente passo avanti in questo senso, nella forma dei webhook, letteralmente uncini per il web. La sua è una proposta non formale: un’idea, non uno standard o un protocollo. Il webhook si potrebbe concretizzare se un sito offrisse attivamente dei servizi che altri siti possano chiamare. Un po’ come nella programmazione, dove sistemi operativi e librerie permettono alle app di agganciarsi ad essi per fruire di servizi utili. Il termine uncino dentro alla parola webhook arriva proprio da agganciare.

È un modesto successo. Dopo un po’ l’idea è fiorita e aziende come Google, Facebook, WordPress, GitHub, Twilio hanno cominciato a implementarla. Dopo cinque anni, ancora mi capita di incocciare in nuove app o progetti open source che usano il termine webhook.

L’idea è davvero intrigante. Immaginate quanta potenza si sprigionerebbe se potessimo combinare tra loro come mattoncini di Lego gli strumenti che i siti web ci danno. Per esempio, il riconoscimento facciale con i video digitali di YouTube.

Un cartello stradale minaccia di pubblicare su YouTube i video dei passanti se questi orinano nelle vicinanze

E poi magari lo pubblichiamo sulla tua bacheca di Facebook già che ci siamo.

Una delle prime realizzazioni di webhook si chiama pingback, si deve a WordPress e la vedete in uso in questa stessa pagina. Se qualcuno, nel suo blog, citasse questo mio articolo, accadrebbe che il suo sito automaticamente informerebbe questo sito. La citazione verrebbe riportata sotto al mio testo, tra i commenti, proprio come i messaggi che voi potete lasciare manualmente nel modulo in basso (a proposito, vi invito a farlo: siete dei musoni, non vi fate mai vivi, non telefonate, non scrivete, non mi invitate per cena, ma che modi sono?).

Come occasionalmente talvolta spesso succede con WordPress, l’idea non è male ma è stata realizzata in modo francamente ingenuo. Gli spammer ci hanno messo un battito di ciglia a capire che potevano abusare del meccanismo per far apparire automaticamente, in milioni di blog, link verso le loro pagine. Così, oggi chi permette il pingback (incluso questo sito) deve mettere un povero cristo a moderarlo manualmente.

Implementazione più felice, più matura e più intrigante del concetto di webhook è IFTTT (pronunciato “ift”), un sito+app per Android e iOS che pernette di concatenare azioni su siti web multipli e condizionarle, cioè farle avvenire automaticamente se si verifica un certo evento predeterminato. Il nome è la contrazione della frase if this then that, pressappoco se succede questo, allora fai succedere quello.

Compito a casa: accendere il cervello. Pensare ai siti su cui lavoriamo, o su cui abbiamo influenza. Farsi venire in mente se e come potrebbero offrire agganci, o sfruttare agganci con altri siti. Opzionale: pensare se e fino a che punto si corre il pericolo che qualche malintenzionato abusi del sistema per mettere in difficoltà il nostro sito o qualche terzo incomodo.

Perché l’unione fa la forza.

L'autore

  • Luca Accomazzi
    Luca Accomazzi (@misterakko) lavora con i personal Apple dal 1980. Autore di oltre venti libri, innumerevoli articoli di divulgazione, decine di siti web e due pacchetti software, Accomazzi vanta (in ordine sparso) una laurea in informatica, una moglie, una figlia, una società che sviluppa tecnologie per siti Internet

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