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Ti ho riconosciuto anche se non ti conosco

14 Novembre 2011

Ti ho riconosciuto anche se non ti conosco

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I progressi delle tecnologie di riconoscimento automatico fanno nascere molti interrogativi sul loro impatto, in un futuro ormai prossimo, nelle relazioni fra gli individui e fra i cittadini e lo Stato

I 72.000 spettatori che entravano nello stadio di Tampa, Florida, per assistere alla trentacinquesima edizione del Superbowl, all’inizio del 2001, non sapevano di essere coinvolti nel primo esperimento biometrico di massa della storia. E non da spettatori. Da protagonisti. Mentre passavano i tornelli di ingresso, delle fotocamere digitali scattavano immagini dei loro volti, immagini che poi, tramite un  apposito software, venivano confrontate con un database di foto segnaletiche. L’obiettivo era quello di catturare eventuali teppisti o criminali nascosti fra la folla. L’esperimento fu un fiasco e non portò ad alcun arresto. Altri tentativi, come l’installazione di un sistema analogo nell’aeroporto di Boston si rivelarono fallimentari: come rivelarono in seguito alcuni funzionari, il software si dimostrava affidabile in meno della metà dei casi Ma questo accadeva dieci anni fa: ora le cose sono cambiate, e di molto.

Ubiquo e pervasivo

Da una parte sono migliorate le tecnologie: i programmi di riconoscimento facciale si sono fatti più precisi e difficili da imbrogliare, e la potenza di calcolo dei Pc è cresciuta in modo esponenziale. Ormai per ottenere dei risultati attendibili non servono più immagini frontali del soggetto: i moderni algoritmi riescono a elaborare anche immagini riprese di sbieco e la modellazione in 3D dei volti, permette di ovviare a problemi comuni, come la scarsa luminosità degli scatti. L’altro fattore che ha modificato in maniera significativa lo scenario è stata la diffusione di immagini personali in internet, a cui si è sommata la rapida diminuzione dell’anonimato seguita al successo delle reti sociali – Facebook su tutti. Ciò ha fatto sì che tali fotografie fossero, non di rado, “taggate” con nome e cognome del soggetto raffigurato e non fosse necessario disporre di due distinti database per associare identità e volti.

Che cosa questo comporti sul piano della privacy, è stato messo in evidenza da un recente esperimento nel quale un gruppo di ricercatori dell’Università Carnegie Mellon, guidati dall’italiano Alessandro Acquisti, ha scansito con un software di riconoscimento  migliaia di foto. Nel 31 % dei casi è stato possibile associare all’immagine il corrispondente profilo Facebook, e di conseguenza risalire perlomeno al nome e cognome del soggetto, e non di rado a informazioni molto più approfondite. Gli studiosi hanno inoltre sviluppato un’applicazione per terminale mobile mediante la quale, tutta la procedura può essere svolta in meno di trenta secondi con uno smartphone. La diffusione dei telefonini intelligenti è il terzo tassello che può rendere il riconoscimento facciale davvero ubiquo e pervasivo.

Milioni di profili

Se milioni di persone continueranno a inserire incuranti in rete immagini di loro stessi, chiunque, in un futuro ormai prossimo, potrà scattare una foto di un passante e, grazie a un crawler che scandaglierà il web, sapere chi ha di fronte. L’applicazione ideata da Carnegie Mellon (acquistata in seguito da Google) si chiama PittPatt e il suo sviluppo, come del resto quello di tutta la ricerca, è stato in larga parte finanziato da Darpa, l’agenzia del Pentagono che si occupa di progetti tecnologicamente avanzati. Il che non deve stupire. Dopo l’11 settembre il governo americano ha investito milioni di dollari nel campo della biometrica, nell’ambito della cosidetta “guerra al Terrore”. L’idea era quella di rendere più efficienti controlli alle frontiere e negli aeroporti, associando ai body scanner che sono spuntati come funghi in questi anni, la scansione dei volti.

E siamo solo agli inizi. Dal prossimo anno partirà negli Stati Uniti un progetto nazionale, promosso dall’Fbi, con l’obiettivo di consentire alle autorità federali (e non solo a loro, dato che le informazioni verranno condivise con il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale) di identificare foto di perfetti sconosciuti facendole combaciare con una o più fra le 10 milioni di foto segnaletiche custodite nell’Integrated Automated Fingerprint Identification System. Il programma, per il quale è stato stanziato un miliardo di dollari, durerà fino al 2014. In una prima fase verrà sperimentato in alcuni Stati pilota – Michigan, Florida, Washington e North Carolina per poi essere esteso a tutta la nazione. Le associazioni per i diritti civili, come il Center for Constitutional Rights o l’Electronic Privacy Information Center, hanno chiesto garanzie per evitare che il sistema dilaghi e si trasformi in una schedatura senza precedenti di milioni di tranquilli cittadini. Cosa che potrebbe facilmente avvenire se verranno inseriti nel database non soltanto  persone in stato di arresto ma anche chi è sottoposto a un semplice controllo di routine.

Nel mondo

È intuibile come il riconoscimento facciale rappresenti una tentazione irresistibile, a fini repressivi, per qualsiasi governo, in particolare per quelli di Stati non democratici. Ma anche nella civilissima Inghilterra le autorità si sono rivolte ai cittadini, dopo la fine dei tumulti di Londra, affinché caricassero online foto e video atti a identificare i manifestanti o, all’inverso, dessero un nome alle persone presenti nel materiale audiovisivo inserito su Flickr dalla polizia. Alcuni cittadini indignati hanno avuto la tentazione di arrangiarsi, pubblicando online fotografie dei vandali e invitando chi li conoscesse a denunciarli; salvo tornare sui loro passi una volta accortisi dei potenziali abusi di questa giustizia fai-da-te. Un gruppo di “vigilantes”, intenzionati a creare una propria applicazione di riconoscimento facciale per aiutare la polizia nelle indagini, ha dato forfait dopo aver constatato la scarsa affidabilità dei propri sforzi e la reazione non propriamente entusiasta dei loro concittadini, che li hanno tempestati di mail denigratorie.

La strada comunque sembra ormai tracciata. Per la prossima Coppa del Mondo di Calcio, la polizia brasiliana avrà in dotazione speciali occhiali dotati di videocamera in grado di scattare fino a 400 immagini al secondo e di inviarle per la comparazione a un database centrale contenente 13 milioni di volti. Il pubblico non saprà nemmeno di essere ripreso: il dispositivo cattura le facce in un raggio di 50 metri, e può arrivare ad alcuni chilometri se tarato per individuare un bersaglio specifico.In Malesia si pensa di adoperare la tecnologia di riconoscimento per combattere la criminalità e in Olanda servirà a evitare che sui tram di Rotterdam circolino anche persone bandite dal trasporto cittadino.

Futuro biometrico

In tutti questi casi, le intenzioni (almeno quelle dichiarate) alla base dell’introduzione della scansione biometrica dei volti nell’armamentario delle varie forze dell’ordine sono senza dubbio lodevoli. Quello che manca è un serio dibattito, che coinvolga l’opinione pubblica e fissi limiti e modalità di applicazione di questi nuovi strumenti. Anche se, almeno negli Stati Uniti, qualcosa si sta muovendo: il senatore John Rockfeller, presidente della commissione Commercio Scienza e Trasporti ha sollecitato con una lettera la Federal Trade Commission, che l’8 dicembre terrà un workshop sul riconoscimento facciale, a mettere in chiaro benefici e rischi di tale genere di monitoraggio. Nella lettera, il politico non si sofferma tanto sulle iniziative governative in materia, quanto su quelle, in piena fioritura, di alcuni privati: dai titolari bar che sfruttano un’applicazione chiamata Scene Tap per ricevere su loro cellulare un rapporto sul tipo di clientela presente nel locale – fascia di età e genere sessuale in particolare. Gli stessi parametri che l’hotel-casinò Venetian Resort di Las Vegas utilizza per tarare al meglio gli annunci pubblicatari rivolti alle persone che si attardano nelle vicinanze del display.

Rockfeller ricorda anche come Facebook abbia implementato da quest’estate, in modo piuttosto goffo, un sistema di scansione e analisi delle foto caricate dagli utenti che suggerisce in automatico i nomi degli amici presenti nelle immagini. E conclude citando il caso di Google, che per la prima volta nella sua storia ha rinunciato a lanciare un prodotto dopo averlo sviluppato. Perfino il pragmatico ex presidente della Grande G, Eric Schmidt, quello avvezzo  a freddure come «se non volete che una cosa si sappia, forse in primo luogo è meglio che non la facciate», ha ritenuto che l’applicazione di riconoscimento facciale sviluppata da Mountain View che una volta scattata la foto di un individuo andava a pescare nel web eventuali corrispondenze, si prestasse troppo facilmente ad abusi. Ma è solo questione di tempo prima che il vaso di Pandora del riconoscimento facciale applicato alla vita quotidiana venga scoperchiato. È il «nostro futuro biometrico», per parafrasare il titolo di un recente libro della studiosa americana Kelly Gates dedicato all’argomento. Sta a noi affrontarne conseguenze e implicazioni, senza limitarci a subirlo.

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