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Chi gioca col mio bisogno di essere connesso

28 Luglio 2011

Chi gioca col mio bisogno di essere connesso

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La celebrazione collettiva e pubblica della morte di Amy Winehouse, ultimo di una serie di casi emblematici, diventa in rete un'occasione redditizia per persuasori nemmeno troppo occulti che ottengono facilmente la nostra complicità

Dietro la morte di una celebrità si consuma sempre un lutto mediale nella nostra civiltà caratterizzata dalla cultura di massa. Tanto più quando i fan e i curiosi hanno la possibilità di essere connessi. La celebrazione mondiale della morte di un’icona pop come Michael Jackson ce lo ha già mostrato. Non poteva essere diversamente per la scomparsa di Amy Winehouse. Bastava leggere i tweet a lei dedicati e osservare le giornate in cui è stata trendingtopic su Twitter. Oppure guardare i profili Facebook che si riempivano di link a YouTube che condividevano le sue canzoni, tra versioni ufficiali e video dei concerti o le pagine dedicate al lutto. Ma nell’epoca del social web e delle strategie di marketing che sfruttano le connessioni emotive occorre seguire qualche traccia apparentemente collaterale.

Ricorda, compra

Come il Tweet di Microsoft attraverso l’account @tweetbox360 che, sull’onda emozionale della notizia, recitava: «Ricorda Amy Winehouse scaricando l’innovativo ‘Back to Black’ di Amy Winehouse su Zune». Si è scatenata un’immediata reazione di retweet con commenti ironici del tipo «stay classy» o «candidato al più stupido tweet del giorno» che ha costretta Microsoft ai ripari scusandosi pubblicamente: «Apologies to everyone if our earlier Amy Winehouse ‘download’ tweet seemed purely commercially motivated. Far from the case, we assure you». Non era marketing, solo affetto reale (sic!).

Oppure prendete iTunes che ha messo in home page una foto commemorativa della cantante, che ha aperto una sezione dedicata e che ha visto diventare in poche ore Back to Black l’album più venduto, contribuendo certamente, nelle ore immediatamente successive alla morte, all’aumento delle vendite complessive di 37 volte il già venduto. Un luogo, l’Apple Store, per attrarre le pulsioni celebrative da esaurire in un acquisto e nell’ascolto sul proprio lettore, perfetto esempio del significato ultimo dell’economia delle emozioni.

Tributi tempestivi

Ma troviamo anche forme più sottile – ed efficaci, nella loro banalità – nello sfruttare la velocità emotiva di chi cerca notizie e approfondimenti online. Su Facebook, ad esempio, abbiamo visto partire una bufala – vogliamo chiamarla truffa? – in cui si promette di vedere un «video trapelato! Amy Winehouse si fa di Crack  poche ore prima della morte» e che, seguendo il link, conduce alla compilazione di un sondaggio: ogni persona che compila sono un po’ di soldi per la società che gestisce il questionario online. Il discorso, se vogliamo, vale anche per i tributi tempestivi da vendersi online, come l’MP3 del brano “27” della cantante M.I.A. che, lei sostiene, è stato scritto prima della morte di Amy anche se non l’ha mai fatto ascoltare a nessuno ma che, evidentemente, ha trovato il momento giusto per essere lanciato. Come sintetizza Valerio Mariani su La Stampa:

C’è un male in questa speculazione? Non lo sappiamo, ognuno ha la sua opinione. Ma certo è che “grazie” al web chi può guadagnarci qualcosa dalla morte di Amy Winehouse è una varietà di aziende e privati molto più ampia della ristretta cerchia dei discografici che già si stanno fregando le mani al pensiero della pubblicazione dell’album postumo. Anche questa è web democracy?

È la normalità

Così possiamo scandalizzarci, trovare che si sia superato il limite, pensare a come le logiche economiche sfruttino le emozioni di noi utenti nei modi più subdoli. Oppure provare a riflettere un po’ più a fondo e accorgerci che questa è la normalità nel web sociale oggi. Fuori da ogni ipocrisia: dobbiamo riconoscere che quando  lo sfruttamento economico (online) cui ci troviamo davanti – quello evidente della morte di una celebrità – ci sembra essere così eclatanti o quando le ingenuità del marketing – vedi l’indelicatezza di Microsoft – mostrano il lato oscuro, ci sentiamo quasi rassicurati dalla nostra indignazione, come a dire “questa è un’eccezione”. Invece, pur con intensità diversa, è la norma. L’intreccio indissolubile fra contenuti emotivi generati dagli utenti, ricerca di approfondimenti di news e strategie di marketing sulle emozioni connesse è la nostra quotidianità di abitanti della rete.

Vediamo l’evento quando è macroscopico, quando sembra toccare maggiormente la nostra sensibilità circa il cinismo del mercato, ma in realtà accettiamo ogni giorno di frequentare una miscela potenzialmente esplosiva fra messa in pubblico connettiva dei nostri bisogni di informazione e intrattenimento, loro tracciamento e trattamento sempre più automatizzato e conseguente soddisfacimento attraverso offerte sempre più mirate e precise che si presentano all’interno della nostra rete di relazioni sociali online, come emergessero spontaneamente.

Tensione emotiva

Così una celebrazione collettiva e pubblica online del dolore diventa funzionale al mercato. Il fatto che la piccola truffa del sondaggio online su Facebook collegata al presunto video di Amy Winehouse che fuma crack sia in queste stesse ore prodotta anche in relazione alla ricerca di contenuti su Oslo (leggiamo: «Circa un utente al secondo è stato infettato da un messaggio fraudolento che promette di far vedere l’esplosione di Oslo da una telecamera a circuito chiuso») o che lo fosse quando la news del giorno riguardava Fukushima, la dice lunga sul rapporto tra masse online, tensione emotiva da soddisfare attraverso informazioni che vengono dalla nostra rete di relazioni sociali connesse sul web e possibilità di sfruttamento a fini commerciali dei nostri comportamenti in rete.

I persuasori oggi non sono poi così occulti e la nostra complicità viaggia attorno al bisogno di essere connessi. Aprire gli occhi su questa normalità ci porterà a non indignarci solo una volta ogni tanto.

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