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Così l’e-commerce atterrò su Facebook

30 Dicembre 2009

Così l’e-commerce atterrò su Facebook

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Come caveranno soldi dagli utenti i social network, nuova puntata. Dalle valute vituali al compra qui ed ora

Anche se molti storceranno il naso, occorre essere pragmatici: con quel che costa tenere in piedi un Facebook e darcelo gratis, tocca che i soldi li facciano da qualche parte. Se quella della pubblicità è la solita strada molto discussa, altre possono e dovranno essere le vie che portano dollari nelle casse del social network, passando necessariamente attraverso il trasferimento di verdoni sonanti dalle tasche degli utenti a quelle degli inserzionisti/sponsor. È il mercato, baby.

Certo è che per ora questo giro di dollari sembra funzionare, visto che quest’anno Facebook incasserà attorno ai 500 milioni di dollari vendendo spazi pubblicitari. E che Google fa un bel 97% del suo fatturato proprio dalla pubblicità. Non c’è da sputarci sopra, specialmente di questi tempi (che peraltro sono tempi che vedono spostarsi un sacco di budget sempre più dall’offline all’online).

Facciamoli a fettine

D’altra parte la crescita prorompente del pubblico sui social network, l’arrivo a stormi di persone (a volte persone per le quali gli aspetti sociali sono il vero driver di presenza su Internet) portano a audience sempre più vaste, ma sempre più variegate, dunque di per sé sempre meno interessanti e inefficienti dal punto di vista di un inserzionista. E di conseguenza da segmentare, analizzare, affettare, un’audience da obbligare a profilarsi per poter essere venduta non un tanto al chilo ma in eleganti pacchetti affini al profilo ideale dell’utente della marca, in confezioni multipack di prospect particolarmente “caldi” (di conseguenza più costosi). E di qui, non a caso, la crescita della misurazione di Facebook su scala professionale.

All’orizzonte ci sono sviluppi interessanti, dagli esiti tutti da comprendere – come nel caso molto discusso dell’introduzione di una “moneta virtuale” su Facebook, controllata dal social media – una valuta con cui far avvenire obbligatoriamente gli scambi economici, gli acquisti (confessatelo: avete comprato dei denari di Farmville per far crescere più rapidamente la fattoria), un denaro esclusivamente controllato dal signor Facebook e sul quale è per lui più facile beccarsi una bella commissione e raddoppiare (si dice) i fatturati.

Il punto G nell’e-shopping

Stando però sulla realtà dura, pura e parecchio più semplice, la novità del giorno è la possibilità di acquistare direttamente da Facebook, senza uscire dal sito. Pioniere di questa applicazione di marketing è The Limited, retailer di moda femminile che da tempo è passato a vendere anche online, e che presidia Facebook da parecchio tempo. In sostanza, cliccando su un apposito post promozionale (30% di sconto su una sciarpa) si atterra su un modulo d’ordine attraverso il quale comprare minimizzando il numero di click. Anche se la user experience non è così sconvolgente per i non addetti ai lavori, qui siamo in piena sperimentazione di un processo di minimizzazione dei click – sulla falsariga del “One-click shopping” di Amazon. In piena sperimentazione della massimizzazione dell’impulso d’acquisto e dell’acquisto d’impulso anche in rete. Sulla base della provata teoria che più è facile e rapido e semplice comprare, più la gente compra. O qualcosa del genere.

Diciamo che siamo in piena sperimentazione di un internet marketing più diretto, passando da un generico effetto “branding”, dalla costruzione di una base di “fan” o da una partecipazione alla comunicazione innescante un processo d’acquisto… a vendite pure e dure, misurabili, dirette, valutabili in termni di Roi, focalizzate monocromaticamente a portare dei soldi in cassa.

Vendite sociali

Vendere. Generare l’impulso, dare un prodotto che funziona, dare lo stimolo del prezzo, dare l’ansia dell’offerta limitata, nel più classico modello del marketing promozionale. E The Limited non è che il primo di una serie di commercianti che ci venderanno socialmente roba. Il che mi può anche stare bene – d’altra parte se accetto di seguire un’azienda, tranne rare eccezioni, lo faccio in quanto alla fin fine interessato ai loro prodotti e quindi disponibile a comprarli. E magari pure felice di acquistarli in promozione. Almeno in teoria.

Ma tutto questo, c’è da domandarsi, che cos’è? È un vecchio marketing forzato su internet, un segno dell’incomprensione delle logiche della rete? Oppure è il segno che anche in ottica 2.0-famolo social gli ingranaggi degli esseri umani non cambiano poi così tanto e le meccaniche più classiche sviluppate nei secoli da noi markettari restano valide anche su nuovo canali/strumenti? Ai fatturati, è ovvio, l’ardua sentenza.

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