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Serve davvero un pc per vivere nelle nuvole?

27 Novembre 2009

Serve davvero un pc per vivere nelle nuvole?

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Lo spostamento in rete di applicazioni e contenuti ci permette di immaginare nuove tipologie di dispositivi mobili. L'esperienza di Sony

Questa nuvolaccia nera (se siete fuori dal mondo del “cloud”) o questa nuvoletta rosa (se siete Google etc) ci dà da pensare. È un nuovo paradigma (ma alzi la mano chi davvero sa cosa vuol dire paradigma, io lo uso solo perché fa bella impressione): quello di buttare tutto in qualche posto remoto; di svuotare gli hard disk di applicazioni e di dati residenti; di vivere connessi da un invisibile cordone ombelicale ad un tutto “lassù”. È un tema su cui le polemiche in termini di sicurezza, di accessibilità, di privacy si sprecano. L’idea di vivere su questa nuvola ha comunque i suoi meriti, se affrontiamo il tema dal punto di vista consumer e non corporate.

Tendenzialmente sono uno di quelli che usano (o provano) qualsiasi prodotto Google appena esce. Adoro la loro applicazione di posta elettronica. Trovo fantastico Google Documents, che uso spesso come text editor per potermi poi ritrovare i documenti consultabili anche dall’iPhone (lo so, ci sono alternative anche migliori: dite pure la vostra nei commenti). E qui ho detto forse una parola magica: iPhone. Ovvero un device che non è un computer, un pc nel senso stretto del termine.

Tutta la nuvola, niente PC

Ecco un’idea balzana, ma affascinante: se palmari, Pda e smartphone sono la prima naturale evoluzione del concetto del disaccoppiamento tra rete e il solito pc, ben più radicale potrebbe essere l’ulteriore semplificazione dell’idea. In fondo che ci serve? Uno schermo e una connessione. E allora dal cloud computing potrebbe ritornarci fra capo e collo quella web tv che non è mai decollata e che anzi si è schiantata al suolo come le più miserevoli macchine volanti degli inizi di un paio di secoli fa. Pensateci, forse ora i pezzi ci sarebbero tutti. E c’è anche chi ci sta provando, anche se si guarda bene dal riesumare questo termine che puzza di fallimento. Sony, per esempio, offre servizi online per i propri televisori: è dal 2007 che ne parlano, ma nel frattempo hanno fatto tanta strada, tanto da portare il download in streaming di film sulla tv e sul lettore Blue-Ray, ad esempio in collaborazione con Netflix.

Ma questo sarebbe ancora poco, troppo poco. Come poco (ma già interessante) è lo sbarco probabile di Firefox sulla Playstation. Il disegno di Sony è però più grande: offrire un ecosistema di contenuti online fruibili non soltanto dalla tv o dalla Playstation, ma da tutti i prodotti digitali. Videocamere, apparecchi fotografici, lettori di ebook, e chissà un giorno anche frullatori e spazzolini. Un mondo in cui da qualunque dispositivo potremo fare upload in questa nuvolona dei nostri contenuti digitali, condividere, frullarceli socialmente. E, ovviamente avere accesso a contenuti premium cacciando la solita lira e bypassando tutti i possibili modelli di “free content”.

Il nome dato al progetto (Sony Online Service) è francamente quanto di meno immaginifico si possa immaginare, ma l’idea di avere con noi la potenza della rete, dei social media e di tutto l’ambaradan prescindendo da net-, note- o vari book o desktop è intrigante. Per lo meno fintanto che qualcuno non troverà il modo di trasformarci in esseri bionici col WiMax incorporato con un chip sottocutaneo e con Facebook integrato nelle lenti a contatto. Ovviamente non c’è solo Sony a guardare – e sopratutto a sperimentare – il divorzio tra rete e computer.

Piedi in terra, ma…

Stiamo allora andando verso un mondo sempre più connesso, sempre più nella nuvola, ma con sempre meno pc? Autorevoli opinionisti l’hanno detto da tempo. Altrettanto autorevoli istituti prevedono che nel 2020 (dopodomani) la maggior parte delle persone useranno esclusivamente dispositivi mobili per accedere alla rete. Già si straparla dei Mid (Mobile Internet Devices), ebook reader che faranno il botto diventando libri multimediali, multimodali, passando da contenitori di contenuto testuale a contenitori di contenuto e basta. Ce ne aspettano delle belle, e possiamo sognare. In fondo, non è proprio scritto da nessuna parte che per stare con la testa fra le nuvole ci serva un personal computer.

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