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L’Iran, Twitter e i mille occhi dei nuovi media

25 Giugno 2009

L’Iran, Twitter e i mille occhi dei nuovi media

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Venti minuti in podcast tra ritagli di carta e bit, in compagnia di un ospite. Oggi con Luca "Ezekiel" Alagna, curatore di un canale di copertura delle (social) news intorno alla protesta in Iran. Qual è il ruolo di Internet e come cambia il modo giornalistico di raccontare e filtrare questi fenomeni

Continuano in Iran gli scontri. Sia reali, in piazze purtroppo insanguinate, sia dentro il social web (Twitter sopra tutto, in special modo per la sua integrazione con la telefonia mobile) – di fatto l’unico canale, più o meno aperto o aperto a intermittenza, attraverso cui fuoriescono notizie e informazioni di quello che sta accadendo nella repubblica islamica dopo le contestate elezioni presidenziali iraniane che hanno visto la vittoria di Ahmadinejad. È in corso sui social media una sorta di battaglia per la definizione del “frame informativo” e del contesto: e gli attori in gioco sono molti, dai testimoni/citizen journalists ai media tradizionali (ormai pochi rimasti), da chi fuori dall’Iran aiuta tecnicamente o rilanciando i contenuti, alla controinformazione dei governi. Ne abbiamo parlato una settimana fa con Giuseppe Tempestini, ne continuiamo a parlare con Luca Alagna, conosciuto come Ezekiel, consulente per i media digitali dal lontano ’95, che da qualche settimana cura un canale di copertura sulle social news in entrata e in uscita dall’Iran: green revolution. Cercando di farne minima chiarezza, grazie al filtro delle informazioni in ingresso sui nuovi media: «Ho iniziato la scorsa settimana a raccogliere informazioni grazie ai filtri su Twitter, che in quel momento era “tempestato” di informazioni più disparate da tutte le parti in causa (due sono gli hashtag più usati #iranelection e #gr88). Di fatto da una parte Twitter è di fatto l’unico modo per l’opposizione per comunicare all’esterno, dall’altra è diventato un terreno di scontro “comunicativo” utilizzato da chiunque, da tutte le parti in causa anche fuori dall’Iran, a favore e contro la protesta – per esempio anche dallo stesso governo iraniano come territorio dove diffondere elementi di controinformazione».

La ridondanza (e il caos) dei contenuti

L’afflusso di informazioni è così ingente che c’è necessità di qualcuno che riesca a trovare il bandolo giornalistico della matassa: a rimettere in “forma” e dare un “frame” a contenuti spesso caotici e polverizzati. C’è chi ha proposto un ordine di misura per la ricchezza delle hashtag su Twitter o simili: il Tweet per hour appunto: la polverizzazione dei contenuti richiede insomma un vero e proprio nuovo skill anche giornalistico, la capacità di selezionare, filtrare e fare controllo incrociato delle informazioni che arrivano velocissimamente su questi molteplici canali: «In tutto il caos di migliaia di tweet all’ora che arrivano sui canali di pre-aggregazione, sono nascosti delle informazioni utili che provengono da dentro l’Iran, ed è certo difficile se non impossibile a primo sguardo selezionare le informazioni utili. Ma paradossalmente è un caos produttivo. E’ proprio questo caos che permette alle informazioni di essere via via confermate, di capire quali sono i filoni informativi da seguire: se un contenuto è confermato da più fonti, trova corrispondenza in altre notizie, viene “retwettato”, replicato. Il numero di re-tweet è una prima misura che screma le informazioni interessanti dal rumore di fondo, dalla controinformazione, dalla ridondanza. E’ un controllo incrociato formidabile, fatto da migliaia se non milioni di persone quasi in tempo reale, e spesso le notizie che escono fuori sono più affidabili di quelle che possono provenire da un media broadcast tradizionale, facilmente controllabile dall’alto. La scoperta della “affidabilità” distribuita e della non controllabilità dei media sociali non farà piacere a molti. Ma tutto questo non è la morte del giornalismo. E’ semmai il cambiamento del giornalismo come lo conosciamo oggi. Un cambiamento del modo di trovare e valutare le fonti, di trattare e controllare l’informazione, ecc: anzi dal confronto con la ricchezza di questo contesto, il giornalismo migliore potrebbe venirne esaltato ».

La battaglia delle fonti

Niente è sicuro, tutto è in movimento. Tutto deve essere verificato e riverificato, secondo per secondo: «Prendiamo una fonte “fissa”, seppur online, come il blog ufficiale dell’opposizione Ghalam News: le notizie che provengono da questi siti o blog devono essere comunque e sempre verificate. E’ una grande differenza con il modo di raccogliere notizie cui eravamo abituati fino ad oggi e fuori dal web. Il sito Ghalam News appunto potrebbe darci informazioni completamente contrastanti la mattina rispetto alla sera, perché continua ad essere hackerato e “passare di mano” tra governo e opposizione. E’ inutile e sbagliato affidarsi ad una sola fonte. Bisogna saper gestire più fonti contemporaneamente, per costruirsi uno scenario sensato, e filtrato collettivamente. ». Ultimamente poi Internet viene chiuso e aperto ad intermittenza, e c’è probabilmente e insieme una strategia e una necessità: «In alcuni momenti della giornata Internet è “aperto”, in altri è “spento”: è molto plausibile che il governo iraniano stia anche usando la Rete per controllare e monitorare le informazioni e risalire ai singoli dissidenti. E’ quindi per questo che Internet non viene “chiuso” completamente, al di là delle difficoltà tecniche. Ma ci sono anche motivi “politici”: il primo è che l’Iran ha bisogno anche dell’appoggio del mondo arabo e la chiusura completa delle comunicazioni digitali porterebbe imbarazzo diplomatico nei paesi più moderati della lega araba. Il secondo è che lo spegnimento di Internet potrebbe essere un boomerang anche nel fronte interno, perché colpirebbe anche chi è più tradizionalista e filo-governativo e non sostiene la protesta».

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L'autore

  • Antonio Sofi
    Antonio Sofi è autore televisivo e giornalista. Consulente politico e sociologo della comunicazione, ha un blog dal 2003 ed è esperto di social network e nuovi media.

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