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Sono un libero professionista digitale

06 Giugno 2006

Sono un libero professionista digitale

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Sta crescendo una nuova generazione di lavoratori della conoscenza: sono autonomi, specializzati e portatori di una nuova cultura tecnologica. Lavorano in rete e il loro ufficio è ovunque ci siano un Pc, un cellulare e una connessione. Il legislatore, però, non se n´è ancora accorto

È sempre rimasta un mistero per me l´assoluta mancanza di interesse, in Italia, per la relazione che sussiste tra lavoro intellettuale autonomo e Welfare State. In un momento storico in cui si discute animatamente della tipicizzazione del lavoro, dell´estensione dello Statuto dei lavoratori e della possibilità di rendere più regolato l´ingresso (o il rientro) nel mercato – basti leggere i recenti interventi di Pietro Ichino su LaVoce.info – resta ampiamente sottostimata la posizione di chi esprime professionalità avanzate e considera l´autonomia al centro della propria condizione lavorativa. Mi stupisce certamente perché faccio parte di questa classe di giovani professionisti, una generazione di lavoratori definiti al tempo stesso “flessibili” e “precari”, che in realtà però sono tali soltanto per differenza, rispetto a chi ricopre posizioni di lavoro diverse, incomparabili e in un certo senso inconciliabili.

Come me oggi esiste un nutrito numero di lavoratori che preferisco chiamare “della conoscenza” – o anche “capitalisti individuali”, fate voi, a seconda della vostra predilezione linguistica – che possiedono almeno tre tratti distintivi: portano in dote competenze e conoscenze specialistiche e di alto profilo, sono lavoratori autonomi che non hanno vincoli di subordinazione, fanno uso intensivo di tecnologie per l´esercizio della professione. In altri termini sono consulenti svincolati da un unico committente e in possesso di reali strumenti per fare tutto da soli. Meglio ancora, amano sperimentare nuove frontiere del lavoro autonomo, basato su tecnologie di nuova generazione. In un linguaggio direi quasi vintage, chi è senza grande fantasia continua a chiamarli “imprenditori di se stessi”. In realtà, però, non hanno alcuna impresa. E se anche ne avessero una sarebbe virtuale senza un ufficio inteso nella maniera classica o segretarie. A loro basta la propria conoscenza, un Pc, un cellulare e una connessione.

A me piace chiamare queste figure, in maniera ovviamente pretestuosa, “liberi professionisti digitali”. Sono consulenti che sanno intervenire attivamente nei processi di produzione del valore, sanno affiancare imprese e privati in base alle necessità concrete, con grande perizia, forti del sapere specialistico che sanno mettere in campo. E soprattutto parte dei loro cromosomi ha per alleli la tecnologia delle comunicazioni. Sto parlando dei liberi professionisti che hanno un Albo professionale di riferimento (giornalisti, ingegneri, architetti, geometri, avvocati ecc.), ma anche dei moltissimi specialisti che da cinque anni a questa parte Cnel sta cercando di censire: grafici, comunicatori, informatici, esperti di direzione d´impresa, formatori, fotografi ecc. Nell´attuale fase di transizione del mercato del lavoro e di difficoltà economica sono una fonte preziosa per un ampio numero di società, piccole e medie, inclusa la Pubblica Amministrazione locale, che non possono permettersi né grandi studi professionali né il tempo e le risorse per formare personale internamente, ma hanno bisogno di specializzazione e consulenza nell´ambito legale e normativo, amministrativo, manageriale, pubblicitario, informatico oppure sui nuovi fronti rappresentati dalla comunicazione, da Internet, dal commercio internazionale o dell´integrazione all´interno di un settore, di un territorio o dell´Unione Europea.

La loro forza sta nella capacità di sfruttare la tecnologia per allargare le reti di collaborazione, rispondere in maniera tempestiva ai bisogni, portare innovazione e semplificazione. Non è un caso che le più importanti iniziative associative e di tutela dell´autonomia di queste figure siano nate proprio nel contesto del terziario avanzato, là dove l´uso della tecnologia e la sensibilità verso la consulenza è più spiccata. Si dia uno sguardo ai servizi dell´Associazione dei Consulenti del Terziario Avanzato oppure dell´Associazione Informatici Professionisti. Entrambe, come in generale tutti quei segmenti più autentici delle associazioni professionali che tutelano realmente il lavoro autonomo, sono portatori di interessi nuovi. Mettono a fuoco le necessità più attuali di un professionista: miglioramento del sistema contributivo e fiscale, svecchiamento delle normative che facilitano gli investimenti personali in conoscenza e innovazione, ammortizzatori in caso di forti rallentamenti dell´attività. Sono questi i bisogni di un libero professionista digitale, punti che potrebbero far decollare e rendere finalmente sostenibili in Italia forme nuove di autonomia, finora ampiamente sottostimate e ricondotte impropriamente alla parasubordinazione.

In attesa che il legislatore e più in generale gli osservatori del Mercato del Lavoro comprendano la forza della categoria, questi professionisti i loro passi nella direzione giusta li stanno comunque già compiendo. Almeno in una direzione: la creazione di network. Superando la logica che privilegia il semplice raggio locale d´azione, puntano a creare reti e fidelizzare comunità di professionisti portatori di un valore specifico, di competenze, qualità e servizi integrati che aggiungono qualcosa al proprio network e alle proprie competenze lavorative. In altre parole sono in grado utilizzare Internet e hanno un´elevata dimestichezza con la tecnologia (in generale) che permette loro di creare gruppi flessibili di lavoro che rispondono alla necessità particolari delle imprese. Queste reti sono dei veri ammortizzatori della discontinuità per i lavoratori della conoscenza: sono paracaduti che attenuano gli effetti negativi in periodi di scarso lavoro, ma anche una risorsa incredibile a cui attingere in momenti di sovraccarico. Di questi network parla anche il sociologo Aldo Bonomi, chiamandoli reti lunghe.

In realtà non sono soltanto “lunghe”, ma disarticolate. Non hanno una forma distinguibile, bensì una trama che non si allunga o accorcia in catene di subfornitura, ma che si infittisce o dirada, mettendo a nudo anche le competenze trasversali dei professionisti. In tutto questo la capacità di assimilare il nuovo rappresentato dalla tecnica, dalle normative che la regolano, dalle opportunità che si aprono nei contesti produttivi, è il tratto distintivo del professionista digitale sia esso ingegnere o avvocato, formatore o giornalista freelance. Nella prefazione a Liberi Professionisti Digitali, Rosanna Santonocito parla anche di «nuova generazione» nel contesto delle famiglie che sfruttano le tecnologie. E non sbaglia, è certamente la generazione che per necessità e per virtù non solo farà da tramite con le vecchie nel trasmettere una nuova cultura tecnologica, ma dovrà mostrare e rendere concreto un nuovo modo di costruirsi e difendere una posizione lavorativa, diversa dal lavoro dipendente e tutelata sempre meno anche dai corporativismi di vecchia, troppo vecchia data.

L'autore

  • Dario Banfi
    Dario Banfi è giornalista professionista freelance. Appassionato di tecnologia e Web, è specializzato sul mondo ICT business e consumer, Pubblica Amministrazione, Economia e Mercato del Lavoro. Collabora in maniera stabile con testate giornalistiche nazionali (Il Sole 24 Ore, Avvenire), periodici e pubblicazioni di editoria specializzata. Laureato in filosofia, è stato content writer e project manager per new media agency italiane.

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