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EMI infetterebbe i PC? Accusa non provata

01 Luglio 2004

EMI infetterebbe i PC? Accusa non provata

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L'album in cima alle classifiche USA è accusato da molti siti Web di contenere un sistema anticopia paragonabile per effetti a un virus. EMI pubblica una smentita che suscita confusione e ilarità. Le prime verifiche danno torto a entrambe le versioni

Secondo una segnalazione di Bugtraq, il nuovo album dei Beastie Boys To the 5 Boroughs, pubblicato dalla Capitol Records (EMI), conterrebbe un sistema anticopia che si installerebbe automaticamente e silenziosamente appena si inserisce il disco in un computer Mac o Windows normalmente configurato, menomandone il funzionamento.

Stando ad altri acquirenti, verrebbe installato un programma player.exe anche se l’utente lo rifiuta, e nella directory principale verrebbe scritto un altro programma di nome uninstall.exe. Altri ancora parlano addirittura di DLL installate di nascosto e di danni al computer tali da non poter più leggere i CD di dati usati per lavoro.

In tutti i casi si tratterebbe insomma di un comportamento paragonabile a quello di un virus, cosa che segnerebbe un preoccupante salto di qualità nell’uso (o abuso) delle tecnologie di protezione. Questo ha suscitato scalpore non soltanto fra i fan dei Beastie Boys ma nella comunità informatica in generale, e ha fatto sì che la notizia sia rimbalzata furiosamente in Rete.

Contrariamente a quanto affermato da vari siti, però, l’accusa al momento non è supportata adeguatamente da dettagli tecnici. Ormai, comunque, il danno è fatto: la voce non confermata ha già causato vasta indignazione in Rete, non tanto fra chi vorrebbe copiare abusivamente l’album dei Beastie Boys, ma fra i suoi legittimi acquirenti che vorrebbero suonarlo anche sul computer o trasferirlo sul proprio lettore MP3, e che virus o non virus trovano comprensibilmente indigesta l’idea che un disco non sia più un semplice supporto passivo per la musica, ma un dispositivo attivo contenente programmi che alterano permanentemente il funzionamento del proprio computer.

Vista fra l’altro l’infelice reputazione di cui godono le case discografiche a causa dei problemi e delle gaffe con i primi sistemi anticopia (quelli che si scavalcavano col pennarello), è naturale che molti tendano emotivamente a credere all’accusa anche in assenza di prove. Cerco di fare un po’ di chiarezza lasciando da parte l’emotività.

La smentita EMI

Purtroppo la EMI non ha fatto granché per chiarire la situazione; ha infatti pubblicato un comunicato che contiene alcune perle informatiche (e anche geografiche) davvero notevoli e contraddizioni poco rassicuranti.

Il comunicato dichiara innanzi tutto che le versioni del disco distribuite in USA e nel Regno Unito sono prive di controlli anticopia, mentre “il disco è dotato di sistema anticopia in Europa, cosa che costituisce prassi standard per tutti i titoli della Capitol/EMI”.

È molto educativo sapere che secondo la EMI l’Inghilterra non è in Europa: le malelingue lo sospettavano da tempo. Ma il dato più interessante è questa politica di due pesi e due misure. Gli americani e gli inglesi non hanno bisogno di sistemi anticopia; mentre gli “europei” sono a quanto pare ritenuti una razza intrinsecamente disonesta. Curioso. Comunque sia, grazie a questa circostanza, non posso uscire a comperare una copia del disco e verificare l’accusa d’infezione una volta per tutte: vivo in Inghilterra. EMI Italia, contattata, ha promesso di mandarmene una copia protetta per un test diretto che ponga fine ai dubbi.

Comunque stiano le cose, su un piano più tecnico questa discriminazione è stupefacente nella sua inutilità. Basta che un singolo utente, in qualunque punto del mondo, acquisti una singola copia non protetta del disco e la pubblichi nei circuiti peer to peer, e il sistema anticopia targato Macrovision è in frantumi. È come chiudere a tripla mandata le porte di casa e lasciarne una spalancata. Questo è così ovvio che stupisce che le case discografiche non l’abbiano ancora capito.

Il comunicato EMI è una vera perla alla Panerai: confonde le acque e inanella strafalcioni. Inizia confondendo virus e spyware e sbagliando persino a scrivere il nome della band (“Reports that ‘spyware’ is being included on the Beastie Boy’s CD, ‘To The Five Boroughs’ are absolutely untrue”) oltre a massacrare la grammatica inglese. Spyware? Veramente nessuno l’ha accusata di diffondere spyware. Lo spyware è un programma che sorveglia e riferisce le abitudini di navigazione dell’utente. Non c’entra nulla con i virus.

EMI prosegue affermando che la tecnologia anticopia usata “non installa nessuno tipo di spyware [ci risiamo] o vaporware sul PC dell’utente (“This Macrovision technology does NOT install spyware or vaporware of any kind on a users [sic] PC”).

Caso mai non lo sapeste, vaporware è il nome che si dà a qualsiasi programma annunciato come imminente ma in realtà non ancora finito o addirittura mai iniziato (Longhorn di Microsoft, per esempio). Sarebbe effettivamente molto difficile installare del vaporware su un computer, considerato che non esiste.

Non è finita. Il comunicato afferma che nulla della protezione anticopia richiede il caricamento di applicazioni nel computer (“None of the copy protection in CDS-200 requires software applications to be loaded onto a computer”). Poi, però, si contraddice affermando che il sistema “attiva un player proprietario di Macrovision” (“The technology does activate a proprietary Macrovision player in order to play the CD on a PC”). Per “attivare” questo player, secondo la curiosa terminologia informatica di EMI, è ovviamente necessario eseguirlo; e per eseguirlo, come qualsiasi altro programma, occorre altrettanto ovviamente che venga caricato nella RAM del PC. Quindi il “caricamento” c’è eccome. Qualcosa non torna.

Ciliegina sulla torta, il comunicato conclude dicendo che “nulla viene installato permanentemente sul disco rigido” e che questo può essere verificato nel file install.log nella directory principale del computer (“Nothing is permanently installed on a hard drive. These details can be verified in the ‘install.log’ file in the computer’s root directory”). Orbene, normalmente non c’è un file install.log nella directory principale: se c’è, vuol dire che ce l’ha messo qualcuno: presumibilmente il software presente nel sistema anticopia. Ma allora non è vero che non viene installato nulla sul disco rigido.

EMI smentisce EMI?

Il comunicato, insomma, non chiarisce nulla e semmai aiuta a confondere gli utenti già inclini all’indignazione. Sulla base dei test che ho condotto in collaborazione con EMI Italia, oltretutto, il comunicato sembra proprio non corrispondere alla verità.

Ho infatti chiamato EMI Italia e ho chiesto di svolgere una prova pratica su uno dei loro PC Windows con il disco protetto dei Beastie Boys, in attesa di riceverne la copia promessa per una prova diretta. L’album non era immediatamente disponibile, così il test è stato condotto su un altro disco dotato della medesima protezione Macrovision CDS-200. Inserendo il disco, è partito automaticamente un programma di installazione che ha chiesto (in inglese) di installare dei plug-in e di “aggiornare il PC” per poter suonare il disco, con un pulsante per rifiutare l’installazione. In caso di rifiuto, il disco non era suonabile con i normali player (per esempio Windows Media Player).

Non è certo un comportamento da virus, ma chiaramente il comunicato EMI non collima con il risultato di questo test. Il disco installa eccome del software, anche se il comunicato afferma il contrario.

Il risultato sembra anzi confermare alcuni dettagli delle analisi circolanti in Rete, secondo le quali il software di protezione verrebbe attivato ricorrendo alla funzione Autorun presente in Windows e al suo equivalente attivato (in determinate circostanze) in MacOS. Grazie a questa funzione, inserendo il disco in un normale PC Windows, il sistema operativo esegue automaticamente le istruzioni contenute nel file autorun.inf presente nella sessione dati del disco, e così fa partire il software di Macrovision, che suona delle tracce compresse cifrate invece delle normali tracce audio presenti sul disco.

Infatti un secondo test, condotto premendo il tasto Shift per bloccare la funzione Autorun di Windows, non ha avviato il software anticopia e non ha fatto comparire alcuna dicitura a video. Anche in questo caso, il disco non era suonabile con un normale programma player.

Se il sistema anticopia si limita a quanto descritto, non è certo assimilabile a un virus, ma scavalcare la protezione anticopia è ridicolmente facile: basta usare l’apposito programma Microsoft Tweakui oppure premere appunto il tasto Shift durante l’inserimento del disco, e poi adoperare uno dei tanti programmi legali di ripping per convertirlo in MP3 o trasferirlo al proprio iPod; e mal che vada c’è sempre la copia analogica, qualitativamente accettabilissima.

Insomma, chi vuol fare pirateria non avrà certo problemi a liquidare il sistema anticopia, che finisce per essere un deterrente soltanto per gli utenti più imbranati e una scocciatura per gli acquirenti regolari.

Problemi di comunicazione

Il caso, al di là dell’apparente smentita dell’accusa di virus, è emblematico di un problema ben più ampio che affligge le case discografiche: una curiosa, perdurante incapacità di comunicare con i propri clienti.

L’introduzione dei sistemi anticopia, già di per sé una sfida difficilissima dopo decenni di dischi di vinile, cassette e CD privi di protezioni limitanti, è stata gestita in modo disastroso. Da un lato, la facilità comica con la quale si scavalcano queste protezioni ridicolizza gli sforzi dei discografici. Anche se uno non ha voglia di piratare, sapere che un disco “protetto” si sprotegge con un colpo di pennarello fa venir voglia di provare, per il puro gusto della beffa.

Dall’altro, i sistemi anticopia sono stati introdotti con campagne di “sensibilizzazione” che hanno presentato l’utente come un criminale per default. Non ci vuole un genio del marketing per intuire che dire ai propri clienti che sono disonesti e quindi non si può affidare loro un disco non protetto — ma agli americani e agli inglesi sì — non è una tattica di vendita molto efficace (anche se molto spesso i clienti sono disonesti). Aggiungete a tutto questo il fatto che all’acquirente onesto viene chiesto di pagare lo stesso prezzo di prima per un prodotto meno fruibile, ed è comprensibile che voci come quella un virus in un disco dei Beastie Boys trovino terreno fertile.

Questa strategia di comunicazione fallimentare ha soffocato i veri messaggi dell’industria del disco che potrebbero fare la differenza e convincere gli acquirenti che i discografici non sono il nemico e non mangiano i bambini: per esempio, l’iniquità del tributo IVA, che fagocita il 20% del prezzo d’acquisto sui CD contro il 4% di altri prodotti culturali come i libri e quindi contribuisce fortemente alla percezione di prezzi troppo alti dei dischi; o il fatto che con 36 milioni di dischi venduti nel 2003, le famiglie italiane comprano mediamente meno di due CD l’anno, e che quindi basterebbe che ne comprassero uno in più all’anno, uno qualsiasi, per risollevare il mercato in modo spettacolare, con o senza pirateria e file sharing.

Le case discografiche non lo possono dire ufficialmente, ma dati alla mano è evidente che sarebbero ben disposte a tollerare un bel po’ di duplicazione abusiva, purché non si esageri e le vendite regolari si mantengano a livelli decenti. La mucca si può mungere anche un po’ a scrocco, ma non bisogna farla morire, altrimenti non c’è più latte per nessuno.

Così vi propongo una soluzione originale al problema. Vi costerebbe davvero troppo comprare un solo disco in più, quest’anno, preferibilmente uno non protetto? Come potrebbe l’industria del disco incolpare il peer-to-peer e giustificare i sistemi anticopia di fronte a una decina di milioni di dischi venduti in più senza protezione, in piena era di masterizzatori onnipresenti e file sharing in banda larga?

Pensateci, la prossima volta che copiate i CD degli amici e scaricate musica vincolata da Internet.

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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