[Riproduciamo un articolo di Cole Nussbaumer Knaflic, di cui Apogeo ha pubblicato Data Storytelling, libro con tentativi di imitazione. Il post originale, how you would visualize hurricanes, è tratto dal blog storytelling with data.] Gli altri post della serie sono apparsi nel 2017 in data 19 ottobre, 26 ottobre, 8 novembre, 22 novembre, 6 dicembre, 20 dicembre e, quest’anno, 17 gennaio e 31 gennaio.
Qualche tempo fa ho ripreso dall’Economist un grafico sugli uragani negli Stati Uniti e invitato i lettori a rielaborarlo, per dirmi che titolo avrebbero usato per descriverlo al posto dell’originale Gli uragani in America sono diventati meno frequenti. C’è voluto tempo per scegliere le sessanta migliori proposte [che presentiamo nel corso di più articoli]. Questo è il grafico originale:
I lettori hanno inviato le proposte più diverse e creative. Qui ne mostriamo una parte.
Min M.
Min (Twitter) mette a confronto due diagrammi ed evidenzia l’incremento degli uragani di maggiore potenza::
Neil R.
Neil (Twitter) ha optato per una visualizzazione originale, parlandone nel suo blog. Il suo lavoro è anche fruibile su Tableau Public.
Nicolas D.
Due linee spezzate per la massima essenzialità:
Olesia H.
Ha usato la libreria matplotlib di Python per poi rifinire la visualizzazione con Inkscape.
A differenza dei giornalisti dell’Economist, ho voluto mettere in evidenza la mancanza di tendenze precise nei dati. Non voglio sembrare una negazionista del cambiamento climatico, ma i trend mostrati dall’Economist possono tranquillamente rientrare nella fluttuazione statistica e la panoramica del NOAA citato nell’articolo afferma esplicitamente come sia ‘prematuro concludere che le attività umane – in particolare le emissioni di gas serra che causano il riscaldamento globale – abbiano già avuto un impatto distinguibile sugli uragani dell’Atlantico o sull’attività globale dei cicloni tropicali’.
Olivier C.
Olivier (LinkedIn) ha così commentato dalla Svizzera:
- Scelta ingannevole dei dati. Mentre il mondo si occupa degli uragani nel contesto del cambiamento climatico, l’Economist si riferisce agli uragani che impattano sul suolo americano. E la fonte fa riferimento a dati entro un certo raggio da un punto dato, per cui potrebbero mancare degli uragani! Inoltre i dati si fermano al 2016, senza considerare gli uragani del 2017 che avrebbero influenzato la rappresentazione. Si noti anche che l’uragano Sandy (2012) non fu classificato come potente perché declassato a CAT2 appena prima di arrivare a riva e causò danni enromi… i dati avrebbero dovuto basarsi sul totale degli uragani sull’Atlantico e non solo su quelli che hanno colpito la costa USA. Le conclusioni basate su questi dati sarebbero state più rilevanti. La descrescita in frequenza dal 2005 potrebbe essere semplicemente causata da un cambio di traiettoria (uragani che non colpiscono gli USA o colpiscono altri territori e si attenuano).
- Uso ingannevole dello strumento statistico, che porta a conclusioni errate! Le linee di tendenza sono fuori luogo in dati come questi; un anno diverso potrebbe ribaltare facilmente il trend. È quanto accade se inseriamo anche i dati del 2017.
- Visualizzazione ingannevole: barre cumulative più periodi di tempo cumulativi. Senza senso!
- Cattiva visualizzazione: mancano i dati sugli anni privi di uragani. Questo andrebbe corretto prima di usare assi cronologici.
Questo è il lavoro di Olivier su Plotly.
[Presenteremo in altri articoli il resto delle soluzioni fornite dai lettori del blog di Cole Nussbaumer Knaflic. Se i lettori di Apogeonline vogliono cimentarsi nella sfida, possono inviarci il loro lavoro e relative considerazioni all’indirizzo [email protected]. Il dataset di partenza è scaricabile da Dropbox. Per aggiungere al dataset le informazioni 2017 bisogna fare riferimento al NOAA.]