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Un copyright bestiale

25 Gennaio 2016

Un copyright bestiale

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Natura, animali e piante possono creare esperienze straordinarie, ma non essere titolari di copyright. Almeno negli USA.

Non abbiamo fatto nemmeno in tempo a raccontarvi poco più di un mese fa la storia del macaco che si era scattato un selfie e della PETA che voleva reclamare i diritti d’autore in suo nome, e già è arrivata la sentenza da commentare.

I tempi della giustizia americana sono in effetti “leggermente” diversi da quelli a cui siamo abituati nelle corti italiane; infatti, il fascicolo era stato aperto alla fine di settembre e il 6 gennaio la Federal Court di San Francisco ha già dato il suo responso.

Non potete capire la soddisfazione di poter scrivere la fatidica frase che ogni giurista pedante vorrebbe fare pesare in queste occasioni; cioè… io ve l’avevo detto! E l’ho detto definendo fantasiosa (per non risultare troppo scurrile) l’impostazione data alla causa dall’avvocato della PETA Jeffrey Kerr.

Ma se io nel mio articolo sono stato un po’ sarcastico, l’avvocato del fotografo Slater (in giudizio controparte della PETA) ci è andato giù più pesante, scrivendo nella motion to dismiss:

L’unico fatto pertinente in questa causa è che l’attore è una scimmia che agisce in giudizio per violazione del copyright. Immaginare una scimmia come ‘autore’ titolare di copyright, secondo la definizione prevista dalle leggi degli Stati Uniti, potrebbe accadere in un racconto farsesco di quelli scritti dal [famoso scrittore americano per l’infanzia] Dr. Seuss.

Senza andare troppo nel dettaglio, evidenziamo che la dottrina giuridica angloamericana ha individuato tre requisiti essenziali affinché possa scattare la tutela del copyright: skill, labour e judgment (competenza, lavoro/impegno e giudizio/scelta); elementi meno sofisticati di quelli che compongono il carattere creativo tipico del diritto d’autore di matrice francese, ma che comunque difficilmente si possono trovare in un animale.

E non è nemmeno la prima volta che ci si occupa di casi di “copyright bestiale”. La questione era già emersa per i casi di murales o dipinti realizzati da elefanti. Ciò ha portato lo U.S. Copyright Office a chiarire la faccenda all’interno del suo Compendium of U.S. Copyright Office Practices (terza edizione, paragrafo 313.2):

Il Copyright Act protegge “opere originali frutto di autorialità” (testualmente: original works of authorship). Per essere qualificata in questo modo, un’opera dev’essere creata da un essere umano. Le opere prive di questo requisito non sono tutelabili dal copyright.
Lo U.S. Copyright Office non prenderà in considerazione opere prodotte dalla natura, dagli animali, dalle piante.

Proprio a voler fare gli avvocati del diavolo, secondo alcuni ordinamenti giuridici avrebbe più senso riconoscere un copyright al fotografo Slater, il quale ha comunque predisposto il set, posizionato le fotocamere ed effettuato i relativi investimenti. Ma questa è tutta un’altra storia, che in un modo o nell’altro credo possa considerarsi chiusa.

Il testo di questo articolo è sotto licenza Creative Commons Attribution – Share Alike 4.0.

L'autore

  • Simone Aliprandi
    Simone Aliprandi è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto d’autore e più in generale del diritto dell’ICT. Responsabile del progetto copyleft-italia.it, è membro del network Array e collabora come docente con alcuni istituti universitari. Ha pubblicato articoli e libri sul mondo delle tecnologie open e della cultura libera, rilasciando tutte le sue opere con licenze di tipo copyleft.

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