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Copyright da primati

02 Dicembre 2015

Copyright da primati

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Indubbio che a premere il pulsante di scatto sia stata una mano; ben più nebulosa la specie di copyright da applicare.

Della tendenza a inventarsi diritti di proprietà intellettuale inesistenti abbiamo già parlato (come per la canzone Happy birthday to you e altri casi simili); ma ovviamente non c’è limite alla fantasia umana.

Pare infatti che l’ultima frontiera del diritto d’autore sia interrogarsi se una scimmia possa essere titolare di un copyright sulle sue foto. E attenzione che, quando dico sue, non intendo quelle in cui è ritratta ma quelle che ha scattato lei. Mi spiego meglio ricostruendo un po’ le puntate precedenti; in realtà la storia ha ormai qualche anno ma solo nelle scorse settimane ha preso la piega bizzarra che vi racconterò tra qualche riga.

Nel 2011 il fotografo naturalista David Slater si è recato in Indonesia per scattare alcune fotografie ad una particolare specie di macachi (Macaca Nigra, o cinopiteco). Slater ha posizionato la sua fotocamera sul treppiede lasciandola volutamente accesa. Succede che una femmina di macaco si avvicina all’attrezzatura fotografica e inizia a giocarci, scattandosi alcuni selfie, tra cui uno emblematico nel quale sembra quasi essersi messa nella tipica posa sorridente.

Selfie scimmieschi

Altro che diritti degli animali; qui siamo ai diritti di copyright degli animali.


Per naturalisti ed etologi si tratta di un case study interessantissimo e infatti Slater ha diffuso l’immagine proprio definendola il primo selfie della storia scattato da un animale. Scelta che gli ha fruttato non poca notorietà nel settore, ma che dal punto di vista del copyright gli si è ritorta contro per un semplice motivo: un animale non può essere titolare di diritti d’autore, come spiega la stessa Wikipedia:

Queste fotografie sono state poi caricate su Wikimedia Commons da un utente, avvalendosi del fatto che il vero fotografo è il macaco e non Slater, perché secondo le leggi in vigore degli Stati Uniti gli animali non possono essere possessori di copyright. Slater ha subito chiesto di rimuovere la foto da Wikimedia Commons, rivendicandone il copyright, ma nel 2014 Wikimedia Foundation ha rigettato il suo reclamo, basandosi proprio sul fatto che fosse il macaco ad aver scattato la foto e che quindi non esistesse alcun copyright.

Non posso che essere d’accordo con questa interpretazione: nell’atto per lo più casuale di un animale che tocca il bottoncino giusto di una macchina fotografica manca il requisito determinante del diritto d’autore che noi giuristi italiani chiamiamo carattere creativo. Qualcuno ha ipotizzato che Slater potesse vantare un semplice diritto connesso per il solo fatto di aver posizionato e impostato l’attrezzatura fotografica; ma è un argomento molto debole e poco convincente.

Tuttavia, al di là del piano più strettamente giuridico, possiamo concludere che – nonostante in varie interviste Slater abbia lamentato di aver subito un danno economico per la mossa di Wikimedia Commons – tutta la faccenda gli abbia portato una visibilità globale che prima non avrebbe nemmeno potuto immaginare.

Ma la parte più bizzarra della storia è arrivata solo poche settimane fa. È del 22 settembre scorso la notizia che la PETA (uno dei maggiori enti internazionali per la protezione degli animali) ha avviato una causa di fronte alla Federal Court di San Francisco per far riconoscere un vero copyright al macaco.

Secondo la fantasiosa interpretazione dell’avvocato di PETA Jeffrey Kerr, la legge concede il copyright agli autori di opere originali e creative, senza limiti di specie. Voglio pensare che si tratti più che altro di una provocazione e in generale di una scaltra (e forse in questo caso anche accettabile) mossa pubblicitaria per un ente con nobili fini come la PETA. L’obiettivo della controversia giudiziale sarebbe infatti devolvere le royalty eventualmente raccolte con queste foto proprio alla causa della protezione dei macachi in Indonesia. Probabilmente (e auspicabilmente) non riusciranno ad ottenere questo risultato di fronte ai giudici, ma certo un po’ di pubblicità gratuita l’hanno già ottenuta e, di conseguenza, qualche donazione in più.

Il testo di questo articolo è sotto licenza Creative Commons Attribution – Share Alike 4.0.

L'autore

  • Simone Aliprandi
    Simone Aliprandi è un avvocato che si occupa di consulenza, ricerca e formazione nel campo del diritto d’autore e più in generale del diritto dell’ICT. Responsabile del progetto copyleft-italia.it, è membro del network Array e collabora come docente con alcuni istituti universitari. Ha pubblicato articoli e libri sul mondo delle tecnologie open e della cultura libera, rilasciando tutte le sue opere con licenze di tipo copyleft.

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