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Voglio essere freelance per tutta la vita

04 Aprile 2014

Voglio essere freelance per tutta la vita

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Alla vigilia del Freelance Camp 2014 intervistiamo Alessandra Farabegoli, "libera lancia" per convinzione e bravura conclamata.

Freelance si nasce o si diventa?
Un po’ entrambe le cose: certo, bisogna partire con una dose minima di indipendenza e desiderio di autonomia, altrimenti il coraggio di lanciarsi da soli non arriva mai.

Io sono cresciuta in una famiglia di lavoratori dipendenti, e lo spunto per licenziarmi e aprire la partita IVA è arrivato in un momento in cui mi sentivo profondamente insoddisfatta di come stavo lavorando in azienda. Nella mia confusione, solo una cosa mi era chiara: ero stanca di lamentarmi, dovevo cambiare.

All’epoca ero analista programmatore in una software house; avevo conosciuto i ragazzi di una cooperativa di educazione ambientale, e mi era presa la voglia di tornare al mio vecchio amore, l’ecologia; così decisi di licenziarmi per mettermi a lavorare metà tempo come consulente informatica, e l’altra metà come educatrice ambientale. E quello è stato un momento della mia vita in cui ho rivoluzionato davvero tutto, compreso mettermi con quello che di lì a pochi mesi sarebbe diventato mio marito; con lui, un paio di anni dopo, abbandonata l’educazione ambientale per insostenibilità economica del progetto, decidemmo di “buttarci su Internet”, e finalmente io capii di avere trovato la mia strada.

A che cosa serve un Freelance Camp? Come è nata l’idea?

Lavorare da freelance è complicato, perché di fatto devi riassumere in te tutte le funzioni di un’intera azienda. Devi saper fare il tuo lavoro, quello per cui ti pagano, cioè essere la Produzione; ma devi anche capire in che direzione muoverti (Ricerca & Sviluppo), interpretare i bisogni del mercato e farti conoscere (Marketing e Comunicazione), trovare i clienti (Vendite) e – last but not least – gestire i conti, fare le fatture e fartele pagare (Amministrazione) e organizzare acquisti, trasferte, logistica (Operations).

Questo implica non solo conoscenze che vanno al di là del tuo settore di specializzazione e che raramente hai studiato a scuola, ma anche consapevolezza e gestione delle implicazioni psicologiche del “cambiare continuamente cappello”: quante volte incontro gente molto brava ma che “non si sa vendere”, spesso perché ha un cattivo rapporto con l’idea del denaro o si sente a disagio nel farsi pagare, nel “darsi un prezzo”!

Il Freelancecamp è nato perché io, Gianluca Diegoli e Miriam Bertoli, che siamo tre freelance “convinti” e abbiamo imparato tutte queste cose in anni di esperienza, abbiamo deciso due anni fa di condividere con altri quello che avevamo imparato, e coinvolgere chiunque volesse contribuire a questa auto-formazione collettiva.

A giudicare dalle risposte e dai feedback, ce n’era un gran bisogno, così questa che faremo il 24 e 25 maggio sarà la terza edizione — che si preannuncia come ogni volta migliore delle precedenti.

Freelance Camp

Un’istantanea del Freelance Camp 2013, informale, imperdibile.

Sfateresti il mito che riscontri più spesso sulla bocca di clienti o amici al lavoro, come si diceva una volta, sotto padrone?

La cosa che mi fa più arrabbiare è il pregiudizio che noi partite IVA siamo tutti evasori fiscali. Chi lavora per le aziende fattura ogni singolo euro, perché non potrebbe fare altrimenti, e in più paghiamo un sacco di contributi a fronte dei quali ci viene dato ben poco. La storia di Daniela Fregosi, che ha lanciato una petizione online per il diritto all’assistenza delle partite IVA che si ammalano, è molto significativa.

Raggiunto lo status di professionista affermata, che scelta professionale decisiva rifaresti? E quale, invece, forse meriterebbe un ripensamento?

Rifarei sicuramente la scelta di lavorare insieme a Gianluca Diegoli, con cui abbiamo costruito una sorta di studio associato virtuale che funziona benissimo. Io e Gianluca sappiamo di poterci fidare l’uno dell’altro, condividiamo molte idee ma al tempo stesso abbiamo esperienze diverse che si arricchiscono nel confronto, e riusciamo a far coincidere bene le mancanze dell’uno con le qualità dell’altro.

Rimpiango di non aver detto abbastanza NO, soprattutto quando ero a capo di un’azienda. No a clienti che non ci apprezzavano abbastanza da pagarci come chiedevamo, no a lavori che non ci facevano crescere, no a collaborazioni che ci venivano imposte per appartenenza e non per competenza.

Donna, mamma: la vita da freelance semplifica oppure complica quella in famiglia?

Se sei brava a organizzarti e a scegliere un partner che faccia la sua parte in famiglia, sono più i vantaggi che gli svantaggi: l’autonomia, la possibilità di gestirsi gli orari e di lavorare da casa, il non dover chiedere certificati e permessi, sono impagabili. Il lato negativo è che con la testa lavori sempre, anche quando sei con i tuoi cari. Io cerco di essere una mamma “brava abbastanza” – a volte mi rendo conto che l’impegno che metto nel lavoro mi toglie energie e pazienza da dedicare a mio figlio, e mi faccio prendere da sensi di colpa e ansie da prestazione; in genere però ne esco quando realizzo che, facendo un lavoro che mi piace, riesco a trasmettergli anche tanta passione – e sicuramente un modello di figura femminile che non ha problemi nel “farsi avanti”.

Felici di essere freelance, al femminile

Felici di essere freelance, al femminile

Ti accade mai di rimpiangere per qualche istante un posto sicuro in un ufficio postale di campagna?

No, morirei! 😀

Che provvedimento governativo ti piacerebbe vedere, che faciliterebbe la vita dei liberi professionisti?

Senza parlare di massimi sistemi (di cui un po’ ho scritto nella mia lettera aperta in cui invito Matteo Renzi al Freelancecamp), vorrei che chi lavora con le ritenute d’acconto non dovesse spendere settimane a recuperare dai propri clienti (anche quelli mai più sentiti, anche quelli con cui ti sei lasciato male) un pezzo di carta che dice “sì, ho versato le tue tasse per te”. Ti sei tenuto la ritenuta d’acconto: che tu l’abbia effettivamente versata al fisco deve essere un problema tuo, non mio — e tantomeno si può chiedere al freelance di pagare due volte le tasse perché non riesce a recuperare un certificato.

Quale forza ti spinge fuori dal letto la mattina? 

Mio figlio deve essere a scuola alle 8:25, quindi il problema non si pone!

Seriamente, il marchio indelebile lasciato su di me da 7 anni di scoutismo è l’ambizione di “lasciare il mondo un po’ migliore di come l’ho trovato”. Il mio modo di farlo è lavorare bene, e quando qualcuno mi ringrazia per quello che ha imparato a un mio corso o leggendo i miei libri, o per come sono migliorate le cose dopo una mia consulenza, questa per me è una motivazione irrinunciabile. Riuscire a cambiare le cose, in meglio, è la cosa che mi interessa di più. Non l’unica, certo: mi faccio pagare per il mio lavoro e non ho problemi a chiederlo.

Freelance al Camp

Lavorare in proprio è anche impegno e attenzione, più tecnologia.

Come ci si motiva, da freelance?

Parafrasando Manzoni, la motivazione, se uno non ce l’ha, non se la può dare. L’unico sistema che conosco è fare sempre meglio il proprio lavoro — il che significa anche organizzarsi meglio, riuscire a conciliare lavoro e resto della vita, godere dell’autonomia creando al tempo stesso una rete di protezione per quando le cose vanno meno bene.

Da autrice Apogeo: come consideri i tuoi libri nel tuo lavoro? 

Scrivere mi ha dato l’occasione di fermarmi a sistematizzare pensiero e conoscenza; i libri che scrivo non venderanno mai decine di migliaia di copie, quindi non li scrivo per far crescere il mio conto in banca; ma so che contribuiscono non poco a far crescere la mia visibilità e la mia reputazione, soprattutto quando ricevo recensioni piene di elogi da parte di maestre come Luisa Carrada.

Come e quando scrive una freelance?

Io finora per scrivere ho fatto spazio nella mia agenda, a volte anche declinando inviti e qualche offerta di lavoro: un libro è un impegno serio, non puoi destinargli qualche ritaglio di tempo. In realtà a me serve tempo anche per scrivere nel mio blog, e infatti lo faccio solo quando riesco a dedicare qualche ora a mettere in ordine i pensieri e a confezionare dei post che valga la pena di leggere.

Che cosa troveremo di speciale al Freelance Camp?

Lo lascio dire a quelli che sono già venuti, come Biljana Prijić (qui l’intervista completa a Biljana):

Pensavo a un evento informale, ma non così informale. Pensavo a un evento utile, ma non così utile. Speravo di conoscere delle persone speciali, ma non così speciali. Grazie, ve lo devo dire. E a chi ci sta pensando: abbandonate gli indugi e infilate le infradito ai piedi!

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Trovate il modo di divertirvi lavorando, dovrete farlo per tutta la vita 🙂

L'autore

  • Alessandra Farabegoli
    Alessandra Farabegoli si occupa di Internet dalla fine degli anni Novanta. Dopo aver diretto per otto anni un'agenzia web, ha scelto la strada della consulenza e della formazione per insegnare – a enti, aziende e persone – come usare la Rete per fornire un servizio migliore, guadagnare di più e lavorare meglio.

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