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Banda larga, un anno perso in chiacchiere

24 Maggio 2010

Banda larga, un anno perso in chiacchiere

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Negli ultimi dodici mesi la situazione non è praticamente cambiata. La pubblica amministrazione non investe, gli operatori cominciano a muoversi indipendentemente. Ma siamo ben lontani dal fare sistema

La pubblica amministrazione locale e il governo tornano a stringersi le mani, con gli operatori, contro il digital divide. Questi sono giorni di piani, progetti e accordi sbandierati, allo scopo di agevolare le coperture banda larga. Peccato che gli ultimi dodici mesi siano stati sprecati in chiacchiere e poco più: la copertura Adsl italiana ha fatto pochi passi avanti, basta confrontare i dati del rapporto Caio con quelli appena usciti da Between: stessi dati, pari problemi (se non peggiorati, visto che passato un anno la rete è più vecchia e più satura). L’Adsl è ancora sul 96% della popolazione, in teoria; in pratica è sull’87%. Bisogna infatti togliere, dal novero della banda larga, le connessioni a meno di 2 Mbps (640 Kbps offerte da centrali senza fibra) e quelle zone dove, a causa del doppino troppo lungo, l’Adsl non è attivabile pur essendo disponibile nella centrale di zona. Nessuna sorpresa: anche nell’ultima riunione di maggio, il Cipe non ha sbloccato gli 800 milioni promessi per il piano governativo contro il digital divide da 1,47 miliardi. Anche se già da dicembre è stato detto che “per ora” arriverà dal Cipe solo una tranche (200-300 milioni) di quegli 800.

Tocca agli operatori

È su questo sfondo che bisogna leggere le ultime promesse, che hanno campeggiato in un evento di Catania, la settimana scorsa con massimi esponenti istituzionali e degli operatori. A Catania ci sono stati numerosi annunci di battaglie contro il digital divide. Di fondo, la pubblica amministrazione centrale e locale ha presentato piani in sintonia. La società di scopo Infratel ha detto che a giugno parte la terza fase del piano con cui sta portando fibra ottica nelle zone che ne sono sprovviste. In tutto, tra la prima fase (completata), la seconda (in corso) e la terza (in avvio) coprirà 3,3 milioni di utenti. Nella quarta invece si occuperà dei distretti industriali. Ricordiamo che la prima fase è andata molto a rilento, quindi Infratel sta accelerando notevolmente. Romani ha così annunciato la morte del digital divide entro il 2012. Non vuol dire Adsl per tutti. Nella migliore delle ipotesi, resterà un 2-3% di italiani raggiunto da banda larga (almeno 2 Mbps) solo wireless e uno 0,5-1% di italiani coperti solo da satellite.

Un altro annuncio è dell’Unione province italiane (Upi), organizzatrici dell’evento catanese, ed è duplice. Da una parte, hanno firmato con il ministero dello sviluppo economico (Romani) un protocollo, come già fatto dalle Regioni. Per la prima volta, tutti i soggetti istituzionali che hanno piani contro il digital divide si impegnano a lavorare all’unisono, ognuno con propri piani e risorse, ma cercando di fare sinergia (evitando sovrapposizioni, ottimizzando le infrastrutture esistenti). La seconda parte dell’annuncio coinvolge gli operatori. Le Province si impegnano a unificare e semplificare la normativa per gli scavi in fibra, per agevolare gli operatori che vogliono cablarla. Telecom ha già firmato un’intesa con Upi per poter usare le mini trincee, tecniche di scavo più rapide ed economiche. Il che torna utile sia contro il digital divide sia per le reti di nuova generazione (quindi per la fibra nelle centrali e nell’ultimo miglio, rispettivamente). Il “fare sistema” è proprio ciò che manca, in Italia, per lo sviluppo della banda larga: alcune Province (Lucca, Roma, Milano) si sono mosse in autonomia, infatti, con altrettanti progetti contro il digital divide.

Dividendo digitale

Fare sistema però non deve limitarsi a strette di mano. È questo il dubbio più profondo, per il futuro: che la pubblica amministrazione centrale voglia restare, ancora per molti mesi, nel ruolo del regista soltanto e che non intenda fare le mosse più importanti per risolvere il problema. Mosse dirompenti sono quelle che muovono milioni di euro. Ricordiamo ancora una volta che i soli fondi pubblici stanziati finora da questa legislatura, per la banda larga, sono i 20 milioni di euro di incentivi agli abbonamenti. È sfuggito ai più che Romani ha fatto un passo indietro, nel suo piano da 1,47 miliardi: ha appena detto che per la metà verranno dagli operatori. Nel piano originario la stragrande maggioranza dei fondi dovevano invece essere pubblici. E a proposito di veri impegni istituzionali: servirebbe assegnare alla banda larga frequenze del dividendo digitale, come già fatto dalla Germania. L’Italia è il solo Paese a volerle dare tutte alla tv, come ricordato da un altro recente convegno. Stanziare fondi e frequenze per la banda larga farebbe la differenza, molto più di protocolli e intese di massima. Ma pare che per il momento utenti e aziende italiani dovranno accontentarsi di questi.

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