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Il nuovo marketing corteggia l’algoritmo

16 Aprile 2010

Il nuovo marketing corteggia l’algoritmo

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Al cambiare delle abitudini di consumo e dei processi che ci portano ad acquistare si profila un nuovo marketing: quello che non parla alle persone ma parla a Google

C’era una volta il marketing. Un modo di fare business orientato alle persone. Nella sua forma accademica basato sul concetto di capire le persone e quello che vogliono, quello che gli manca. Di sviluppare prodotti e business in linea con questi bisogni. E di comunicare focalizzandosi totalmente sulle persone, sulle loro emozioni, sulle loro necessità. In larga parte una teoria, diciamocelo: io mi sono laureato in marketing più di 25 anni fa e le mie illusioni che l’era del marketing stesse arrivando da un momento all’altro… si sono progressivamente ridimensionate.

In un mondo in cui molte aziende sono ancora drammaticamente focalizzate sul prodotto, e non invece sul fatto che le persone devono comprarlo (il maledetto prodotto), sarà quindi il caso di fare e dire qualcosa che c’entri con loro. Da un certo punto in poi è arrivata l’epoca della comunicazione digitale, che ha portato un più forte approccio alle persone – specialmente in quest’epoca contemporanea, con 2.0, col social, con le code lunghe e le gambe corte.

Una comunicazione orientata alla conversazione, alla relazione. In teoria, ancora una volta, una conversazione ancora più focalizzata sull’essere umano. Un marketing più umano, o così lo interpretiamo. Allo stesso tempo il marketing sta forse per vivere una drammatica svolta, specialmente nelle sue fasce più avanzate. Un nuovo marketing che non ha come target le persone. Ha come target Google.

Convincere lo spider

Va bene, so che tra i lettori ci sono un bel po’ di esperti pronti a farmi giustamente le pulci sulla terminologia. D’accordo non chiamiamolo marketing, chiamiamolo e-marketing o comunicazione digitale. Resta il fatto che bussa alle porte della fortezza un mutamento nella maniera in cui comunichiamo commercialmente e soprattutto con chi. Non più con le persone ma con Google. Non più dovremo piacere alla signora Maria ma sarà nostro compito affascinare l’Algoritmo, il nostro nuovo padrone. Per una parte non piccola di chi fa business online, il ranking è Re. O meglio, il posizionamento naturale sul motore di ricerca è una delle chiavi più importanti per generare business e fatturati. Chiaro, quanto più il mio sito (specialmente se di e-commerce) è in alto nei risultati di Google, tanto più ho probabilità di fare vendite. Di qui una spinta crescente a uscire bene sul motore, sul nuovo Dio del marketing online.

Inutile parlare di Seo – quello lo possiamo dare per scontato (scherzo, ovviamente, almeno alle nostre latitudini). Una volta però messo a posto il sito, il lavoro da fare per far piacere a Google e farci scalare la classifica è ancora lunga (vedi, ad esempio, alla voce Sem). Semplificando parecchio, molto del nostro posizionamento è dovuto a quello che online si dice di noi, chi ci linka: in qualche modo Google cerca di capire come si parla di noi e su questa base ci premia o ci retrocede. Di qui un nuovo marketing popola le mie insonnie notturne di stratega digitale. La costruzione di attività apparentemente di marketing umano, ma in realtà mirate a far piacere agli spietati algoritmi. Ad esempio aprendo nuovi fronti sulla creazione di domini aziendali.

Intrattenere il motore?

Un esempio per tutti: parliamo di Article Marketing, ovvero della costruzione di contenuti che parlino di noi e generino incoming link verso il nostro sito. In una visione tradizionale, questi articoli dovrebbero convincere le persone a farsi una buona opinione di noi e portarle quindi sul nostro sito – perché a monte hanno fatto una ricerca sulle nostre parole chiave, hanno trovato questi articoli, li hanno letti e di lì hanno deciso di vistare il nostro web. Chiamatelo buzz generation, chiamatelo pr, con il valore aggiunto che gli incoming link di qualità portano al nostro ranking. Giusto? Secondo qualcuno, giusto ma non abbastanza.

Immaginiamo infatti il nascere di un’industria che produce articoli, contenuti il cui principale scopo e di far piacere al menzionato algoritmo e fare salire il nostro sito. Riempire internet di piacevoli letture per i ragnetti. In effetti, perché portare la gente ad articoli che parlano di noi quando potremmo portarli direttamente al nostro sito, accorciando la filiera e ottimizzando il numero di click che portano alle vendite? Dunque scientificamente studiare contenuti che non necessariamente possano convincere l’umano ma che convincano Google a portare in cima il nostro sito. In modo che la persona – a questo punto sempre più oggetto della comunicazione – reagisca pavolovianamente , cliccando sul primo sito della lista e comprando lì. Senza troppe storie.

Non te, ma il tuo capo

Sto esagerando, lo so. Questo significherebbe che il valore della Marca non conterebbe. O quanto conterebbe? Conta di più una marca poco nota e poco rilevante che esce in cima ai risultati o una più rilevante che appare più in basso? Beh, questo dipende da noi. Da come evolveranno i comportanenti dei consumatori, di come andremo progressivamente a modificare i nostri comportamenti d’acquisto quando siamo online.
In fondo il marketing è proprio questo: analizzare i comportamenti delle persone e riorganizzare offerta e comunicazione di conseguenza.
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Se diventeremo tutti sempre più dipendenti da Google, se il Motore sarà non solo la fonte dell’informazione ma anche di business, Google diventerà (specialmente nell’e-commerce) il vero intermediario, il vero raccomandatore autorevole. E sarà allora giustificato fare marketing verso una macchina, non verso le persone. Se facciamo quello che ci suggerisce la macchina, perché continuare a parlare con noi? Come in tante barzellette sugli alieni, si fa prima a parlare con il nostro capo.

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