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Viareggio, i cittadini e l’urgenza di comunicare

03 Luglio 2009

Viareggio, i cittadini e l’urgenza di comunicare

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Venti minuti in podcast tra ritagli di carta e bit, in compagnia di un ospite. Oggi con Alberto Macaluso, progettista web che la notte della tragedia ferroviaria di Viareggio ha curato un aggiornamento costante dei fatti sui social network. Con lui parliamo dei pregi e difetti del cosiddetto citizen journalism

I nuovi media sono spesso come il medico presente in sala prima che arrivi l’ambulanza, che si trovano ad affrontare situazioni di emergenza senza volerlo e senza che sia previsto o atteso. In alcuni casi tragici e terribili – come l’esplosione che ha squassato vite umane e palazzi a Viareggio – i semplici cittadini, testimoni oculari dei fatti, sono anche quelli che possono raccontare prima di tutti gli altri quello che accade grazie a cellulari sempre connessi, fotocamere e videocamere digitali. Un racconto che si espande nel web sociale e che sempre più trova plurimi contatti e cortocircuiti con i media tradizionali – che da una parte temono quella che alcuni ancora considerano concorrenza illegittima dall’altra si nutrono di queste produzioni “dal basso”, contenuti informativi amatoriali nella fattura ma vividi e emozionanti per punto di vista e forza testimoniale. Nelle scorse settimane abbiamo parlato anche di questo, prima con Giuseppe Tempestini e Luca Alagna: entrambi intorno alla protesta in parte analogica e in parte digitale in Iran. Oggi parliamo della tragedia di Livorno e del racconto che ne è stato fatto sul web con Alberto Macaluso, giovane progettista web che abita a 300 metri dalla stazione e che quella notte e i giorni successivi ha raccontato e aggiornato su quello che vedeva e succedeva. «Io stavo in giardino a circa 300 metri dall’esplosione, stavo facendo una cena con gli amici, e guardavo il cielo: il cielo ha nettamente cambiato colore e subito dopo sono comparse in alto una serie di lingue di fuoco. In quel momento le ho pensate tutte: una caldaia, una bombola di gas del palazzo di fronte. Tutti correvano verso il mare, io sono andato dall’altra parte, cercando di capire se qualcuno aveva bisogno di aiuto: sono arrivato vicino alla ferrovia con macchina fotografica (sono un appassionato e la porto sempre con me) e cellulare e ho iniziato a scattare foto, non so nemmeno bene perché – ormai ero lì e mi è sembrato naturale aggiornare i miei contatti su quello che vedevo. E via via che mi chiamavano nella notte, io li rimandavo a twitter o friendfeed o facebook, era anche un modo per comunicare con loro, che erano molto preoccupati, in una volta sola».

Cellulare e citizen journalism

I primi aggiornamenti (testo, foto e video) sono stati fatti via cellulare: «Tranne le foto in alta risoluzione, tutto è stato fatto via cellulare (e non era nemmeno un cellulare di ultimissima generazione, peraltro con problemi alla batteria: ho passato parte del tempo a cercare un modo per caricare la batteria). Ho usato Shozu per aggiornare simultaneamente i vari social network. La qualità era scarsa, ma ho pensato che la qualità l’avrebbero avuta dai media tradizionali poche ore dopo, lì per lì ho pensato che fosse più utile aggiornare sulle notizie il più velocemente possibile, senza stare a pensare troppo alla qualità del prodotto». Sul citizen journalism, Alberto dice: «Chi fa il mestiere del giornalista è giusto che lo continui a fare. Noi non dobbiamo fare i giornalisti, noi siamo dei citizen appunto, dei cittadini qualunque, che se si trovano in un’occasione in cui possono fare informazione è giusto che la facciano. Poi ci sono sempre più punti di contatto tra i due mondi, anche se non sempre ci si comporta in maniera corretta: quella sera mi ha chiamato la Reuters dalla Germania, mi hanno chiesto le foto e mi hanno offerto le foto, io ho risposto loro che le foto erano in copy left e che non volevo dei soldi, volevo che quella informazione girasse e che quelle foto venissero viste. Al contrario ho notato che sia Repubblica.it che Corriere.it hanno pubblicato alcuni miei video senza mettere nemmeno un riferimento. Questo mi è molto dispiaciuto. Se vi è una filosofia dietro il citizen journalism, così come anche il copy left, è giusto che anche loro ne seguano le regole: usino questa risorsa, senza abusarne».

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L'autore

  • Antonio Sofi
    Antonio Sofi è autore televisivo e giornalista. Consulente politico e sociologo della comunicazione, ha un blog dal 2003 ed è esperto di social network e nuovi media.

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