Home
Se arrivasse la Crisi, che cosa accadrebbe a Internet?

05 Settembre 2008

Se arrivasse la Crisi, che cosa accadrebbe a Internet?

di

Qualche considerazione sociologica da bar su come potrebbe evolvere Internet se arrivasse una brutta contrazione economica. E come sarebbe bello se evolvessimo noi umani, di conseguenza

Il mondo Internet, pur continuando la sua evoluzione e la sua carica di novità, sembra in qualche modo aver trovato una sua forma di stabilità. Più nessuno ne discute la funzione mainstream, la sua normalità nell’ordine delle cose. Per molti Internet è dato per scontato, e lo si vede bene in vacanza, con orde di navigatori alla disorientata ricerca di un punto di accesso. In larga misura questo nostro Internet globale si regge in piedi su quattro grandi pilastri, dal punto di vista economico: i siti aziendali finalizzati alla promozione dei propri prodotti, la pubblicità che sovvenziona e permette di offrire contenuti e servizi gratuiti, il pay per use (il citatissimo World of Warcraft o i servizi premium di Flickr), la contribuzione volontaria, tipo shareware, come nel caso di Wikipedia.

Sul modello del sito aziendale, di immagine, di gioco/esperienza/interazione/collaborazione destinato a promuovere il brand o il prodotto, ormai c’è poco da dire. Qualsiasi azienda seria sa che è un obbligo, resta solo da vedere come farlo bene e che “funzioni” (e su questo sì, che c’è ancora abbondantemente da dire). Un modello che si sta consolidando anche per le efficienze economiche dello strumento rispetto ad altri tool di comunicazione e per i comportamenti dei consumatori, che sempre più usano la Rete come strumento primario di informazione e formazione delle decisioni d’acquisto.

Il modello pubblicitario, pur con molti distinguo, ha preso l’impeto di un treno in corsa – anche se in Italia c’è ancora da fare non poco. Basta guardare distrattamente le notizie pubblicate dai media specializzati e vedere la frequenza con cui si annunciano nuove crescite degli investimenti sui mezzi online, si parla di crescita dello spending pubblicitario sui mezzi digitali, anche a discapito dei media tradizionali. Sebbene moltissimi siti facciano fatica o si schiantino al suolo per la difficoltà di raccogliere adeguati budget pubblicitari con cui mantenersi in vita, un buon numero di siti di successo e di major internettiane sono riuscite a mettere in pista un modello al momento sostenibile.

Se il portafoglio si svuota, che cosa faranno i siti?

Restano comunque dei dubbi a medio termine, specialmente in vista della situazione economica generale. Siamo di nuovo lì ad attendere una crisi economica generalizzata: il potere d’acquisto si riduce, la classe media si comprime, si inacidisce la sindrome della quarta o terza settimana, l’occupazione si fa sempre più precaria ed è pericoloso fare progetti per il futuro – e anche in chi al momento se la passa benino, un po’ di paura e di cautela si fa strada nella mente e nei comportamenti d’acquisto. Se consumiamo meno prodotti e servizi, se spendiamo meno, l’attuale modello di Internet rischia di incriccarsi.

Le aziende buttano i soldi in comunicazione come in una slot machine in cui si deve sempre vincere; investo, giro la manovella della comunicazione, vendo e faccio profitti superiori ai costi. Se però la lira in giro non c’è, il tutto si incasina. Anche perché le aziende, per vendere e sostenere la concorrenza, lavorano duramente per tagliare i costi; e questo significa anche delocalizzare, comprimere gli stipendi, rendere il lavoro flessibile (o, dal punto di vista delle persone, precario)- tutti comportamenti che contribuiscono a far diminuire i soldi in mano ai potenziali consumatori e li rendono più cauti negli acquisti.

Del resto, la colpa è anche nostra, dei consumatori; che vogliamo (o siamo costretti a) comprare prodotti/servizi a costi bassi, mettendo sotto pressione le aziende per stare sul mercato e facendoci motore dell’impoverimento collettivo. Ed è anche colpa degli azionisti, che fanno pressione per avere redditività dei titoli acquistati, chiedendo quindi implicitamente alle aziende di proseguire a tagliare i costi e massimizzare gli utili. (Ma, è inutile dirlo, in questo, il ruolo di noi piccoli azionisti, detentori di qualche miliardesimo del capitale delle aziende impallidisce di fronte al ruolo dei grossi player, dei soci di maggioranza, dei fondi di investimento e degli attori di un mercato sempre più orientato alla finanza che alla produzione).

Lasciando però da parte questa sociologia da Bar Sport, resta il fatto che se iniziamo a spendere di meno, la magica slot machine smette di funzionare e i giocatori potrebbero smettere di giocare, trovando altre forme di comunicazione meno costose e ancora più efficienti del digitale (in larga parte ancora da inventare), riducendo in un processo in qualche modo suicida la spesa in promozione dei propri prodotti. Insomma, tagliando.

Internet – una soluzione low cost per i tempi di crisi

Una seria crisi economica metterebbe dunque a repentaglio la struttura della Rete così come la conosciamo, mettendo in difficoltà tanti siti che si basano sulla raccolta pubblicitaria per vivere. D’altra parte una situazione di diminuzione di reddito, di disoccupazione, di sottoimpiego, di precarietà può portare ad un aumento nell’uso della Rete. Internet è infatti (nelle sue forme legali e in quelle che lo sono meno) un ottimo strumento per impiegare il tempo che per scelta o per forza resta libero, a basso costo. Per comunicare a costi irrisori. Per cercare nuove opportunità di impiego o di business, socializzare, sfogarsi, fare cose.

Se quindi ho troppo tempo libero e/o pochi soldi, una reazione probabile è quella di usare ancora di più Internet. D’altra parte la storia insegna che gli americani hanno sempre tagliato per ultimo, quando dovevano risparmiare, il costo della Tv via cavo (anche se questo pare ultimamente stia cambiando), magari limando la qualità dei consumi alimentari o di altri beni pur di garantirsi l’accesso a un entertainment che riempia la vita. E dato che per molti Internet sta occupando un ruolo che una volta era della TV, facile immaginare uno scenario dove a fronte di tempi bui, si usa di più la Rete.

Un aumento della domanda di Internet che rischia però di non portare a un volano economico, a dei significativi ritorni monetari per le aziende che ci mettono a disposizione siti e servizi (e, più in generale, a tutto il loro indotto, fornitori e partner in business).

Ci sarà da mettere mano al portafoglio personale?

Una crisi dura potrebbe quindi cambiare il volto della Rete, facendo sparire o ridimensionando alcuni siti che fanno parte ormai del nostro panorama quotidiano o portandoli a tentare la carta dell’accesso a pagamento, accettando una drastica riduzione del numero degli utenti e della quantità/qualità di servizi offerti. Un duro colpo, insomma alla “freeconomy”. Resterebbero certo sempre i siti autogestiti/senza scopo di lucro, i blog, i siti collaborativi slegati da interessi economici… ma anche in questo caso è molto difficile (e potrebbe esserlo sempre di più) fare tutto totalmente a gratis.

Hardware, software, server e banda, caffè e sigarette restano pur sempre dei costi vivi e questi siti sono spesso tenuti in piedi da persone che, avendo un proprio reddito, possono permettersi il lusso di impiegare il tempo che gli avanza in attività a sfondo sociale, collettivo, benemerito. E anche in questo caso, una dura crisi potrebbe costringere a battere cassa con una certa insistenza verso gli utenti per potere restare a galla. E d’altra parte portare a un ulteriore impulso ad attività cooperative/collaborative, magari basate anche sul baratto, volte alla creazione e condivisione di informazioni, contenuti, servizi.

Una vita oltre (insieme a) Internet?

Dobbiamo quindi iniziare a mettere da parte un po’ di soldi (anche) per poterci permettere di restare connessi nel malaugurato caso che la crisi arrivi e colpisca duro? Probabilmente sì. Anche se lo sappiamo, a noi non capiterà, sia a livello individuale sia a livello nazionale, avendo dalla nostra lo Stellone d’Italia, la nostra proverbiale buona sorte e la capacità di arrangiarsi… (vero?) Esiste però un altro scenario, terribilmente rivoluzionario e disruptive. Chissà, forse potremmo continuare la nostra evoluzione sociale e arrivare a una socializzazione “3.0”, dopo la versione 2, quella della socializzazione online.

Potremmo arrivare ad affiancare alla socializzazione virtuale, in Rete, una socializzazione reale. Ritornare a occupare le piazze. A parlare con le persone. A usare panchine e muretti come luogo di incontro e di interscambio. A parlare forse un po’ di più dal vivo e un po’ meno dal cellulare. A farci presentare gente dagli amici (senza fee e abbonamenti). Pur amando moltissimo la socializzazione onine, devo ammettere che incontrare una persona e potergli stringere la mano o un abbracciare calorosamente è tutta un’altra cosa. Insomma, una socializzazione 3.0 che in realtà sarebbe un ritorno alla sua forma 0.0. Imparando a godere, no cost, del contatto umano, senza troppe protesi tecnologiche (ma, ovviamente, tenendoci ben stretta la Rete per tutta un’altra serie di cose).

Fosse così potrei sognare una società più umana, più basata sui valori e meno sullo status, sul possesso. Che usa la Rete per potenziare le proprie capacità e non per riempire dei vuoti emozionali e delle disabilità relazionali. Fosse così, almeno in parte forse dovremmo dare il benvenuto a una crisi – augurandoci che non sia troppo malevola e ci lasci di che soddisfare i nostri bisogni primary.

Iscriviti alla newsletter

Novità, promozioni e approfondimenti per imparare sempre qualcosa di nuovo

Gli argomenti che mi interessano:
Iscrivendomi dichiaro di aver preso visione dell’Informativa fornita ai sensi dell'art. 13 e 14 del Regolamento Europeo EU 679/2016.