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«E se invece ci divertissimo di più?»

07 Maggio 2007

«E se invece ci divertissimo di più?»

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In Italia abbiamo il vizio di preoccuparci sempre dei soldi o di voler rientrare a tutti i costi dentro una teoria, dice Ludovico Magnocavallo, creatore di Blogo e BlogBabel. Ma il web 2.0 è una questione di sviluppatori bravi e coraggiosi, prima che di uomini d'affari

Ludovico Magnocavallo è allo stesso tempo architetto di sistemi enterprise e fondatore di iniziative innovative come il network di nanoeditoria specializzata Blogo o BlogBabel, nuovo punto di vista privilegiato e lente d’ingrandimento sui blog del nostro paese. Ludovico, ci racconti qualcosa su di te e sulle iniziative web che stai seguendo?

Ho iniziato a programmare in Basic con un TI/99 qualche decina di anni fa ed è stato subito amore a prima vista. Poi ho frequentato la Bocconi e mi sono laureato in Architettura al Politecnico, ma ho comunque continuato a programmare per hobby e dopo la laurea. Complice un soggiorno all’estero di un anno, ho smesso di fare l’architetto (in erba) di case e mi sono messo a fare l’architetto di sistemi. Ho lavorato sia come dipendente, per lo più di banche e società finanziarie, sia come consulente negli anni della bolla, che ho scampato per un pelo mettendomi al riparo in una grande azienda. Ho seguito tutto lo sviluppo di Internet co-fondando diverse start-up: nel 1994 uno dei primi provider milanesi, nel 1996-98 una web agency, nel 2003-2004 il primo network di nanopublishing italiano, Blogo. Si è trattato di società che hanno tutte prosperato e sono state vendute, ma da cui sono uscito piuttosto rapidamente, un po’ per gli impegni del lavoro principale, un po’ per la mia poca propensione agli ambienti aziendali, forse inevitabili quando una start-up inizia ad avere successo.

Progettare un edificio e progettare un sistema software sono due attività in qualche modo simili? Ci sono lezioni che è possibile portare dall’architettura all’informatica?

Credo di sì, anche se le differenze sono molte. Quello che impari ad architettura è innanzitutto la collaborazione di gruppo, il non aver paura del vuoto quando affronti un progetto nuovo e la fiducia nelle tue capacità di progettista. Certo è un po’ difficile distinguere cosa sia stato insegnato e cosa faccia parte del carattere o venga maturato tramite esperienze diverse, fuori dall’università. Personalmente non ho mai avuto paura a lanciarmi in un progetto nuovo, a dire “se lo fanno gli altri lo posso fare anch’io”. Certo, prendi delle belle lezioni ogni tanto, ma impari molto e raggiungi obiettivi di cui a posteriori magari ti stupisci. Credo che se più giovani si decidessero “a provarci”, in Italia avremmo servizi e software eccellente, perchè chi sa fare le cose c’è. Spesso manca solo l’incoscienza di lanciarsi.

È un’attitudine molto rara in Italia, dove la voglia di sperimentare si scontra spesso contro un clima economico incapace di facilitarla. Il web 2.0 sta in qualche modo cambiando questa condizione?

Secondo me la questione del clima economico è sopravvalutata. Lanciare un progetto web non richiede oggi molti soldi, anzi ne richiede pochissimi. Invece di provarci, sembra però che gli italiani preferiscano passare il tempo a ragionare sui modelli di business, sui modelli di advertising, su teorie più o meno esoteriche di social network, social questo e social quello. Se invece provassero a fare, forse qualcosa verrebbe fuori. In fin dei conti non è che del.icio.us avesse un modello di business o delle revenue fino a quando non è stato comprato Yahoo! È un discorso lungo, e forse non sono molto imparziale, ma a me la realtà italiana ha sempre dato molto fastidio: la considero la perfetta periferia, dove si privilegiano i teorizzatori, quasi sempre di seconda mano e a discapito di chi le cose le fa o almeno prova a farle. Stessa cosa che succede nelle aziende, specie se sono grandi.

La sostenibilità delle iniziative, almeno per chi non punta unicamente a farsi acquistare da Yahoo! o Google, rimane però un tema importante. Andando subito nel concreto ci racconti che cos’è BlogBabel e come pensi di monetizzare questa iniziativa?

BlogBabel è nato da un esperimento realizzato in un weekend nel 2005, momento a cui risale la prima classifica dei blog italiani secondo Technorati. In parte gioco/divertimento, in parte un tentativo di verificare se effettivamente i “guru” percepiti della blogosfera italiana corrispondessero veramente ai blog più autorevoli. Quell’esperimento è durato un paio di mesi. L’ho poi messo nel cassetto iniziando invece a riflettere su come rendere la classifica qualcosa di più serio e meno sbilanciato. Dopo qualche mese di lavoro, a luglio 2006 ho presentato la prima versione di BlogBabel con i servizi principali, i pesi, gli algoritmi di calcolo. La classifica dei blog più influenti era tuttavia un lavoro che, per quanto interessante, rischiava di restare fine a se stesso. Il valore di BlogBabel non credo fossero i ranking, ma la lista di blog “veri”, depurata a mano da spam e blog non validi. Più che i punteggi sembrava interessante lavorare sui contenuti dei post. BlogBabel ha di nuovo mutato forma, con un processo che stiamo ancora portando avanti e di cui appena adesso intravediamo i primi risultati. Si è partiti dal recuperare i feed, per poi aggiungere un motore di ricerca e, da poco, le tag associate ad ogni post. Stiamo infine rendendo visibili i dati che abbiamo in pancia ed un po’ per volta BlogBabel diventerà sempre meno classifica e sempre più una vista anzi molte viste diverse sui contenuti che passano nei blog italiani.

Per quanto riguarda il modello di business?

Per quanto riguarda i modelli di business, la sostenibilità può anche essere raggiunta, almeno nei primi mesi, sacrificando qualche ora di sonno e un paio di uscite in pizzeria (pari al costo di un virtual server), mentre sulla monetizzazione di BlogBabel, la mia risposta è semplice: non ne ho idea, non ci ho pensato, mi interessa relativamente. Per ora il progetto vive sul mio contributo (sviluppo, gestisco i server e ho fatto il layout che vedi ora) e sul contributo degli editor che approvano i blog, fanno brainstorming sulle nuove funzionalità e supportano gli utenti. I server sono pagati per quest’anno da Mondadori, che ha generosamente sponsorizzato BlogBabel così come qualche altra iniziativa italiana. Aggiungeremo presto pubblicità Adsense che dovrebbe essere in grado di coprire le spese di server e linea ed un layout professionale per i prossimi anni.

Come si differenzia BlogBabel da altri motori o osservatori della blogosfera come il famoso Technorati? In particolare i link che ruolo hanno?

Innanzittuto BlogBabel ha solo blog “veri”, verificati a mano da un gruppo di editor. Niente spam blog, link farm eccetera. Abbiamo quindi risultati più puliti. La seconda differenza è che BlogBabel si concentra solo sull’Italia contenendo blog che Technorati non ha. Confronta, per esempio, il numero di post per Zenacamp su BlogBabel e Technorati. Da noi ce ne sono di più. Un’altra grossa differenza tra BlogBabel e Technorati sta nel recupero dei link. Technorati legge il post dalla pagina pubblicata sul blog, quindi prende il testo completo con tutti i suoi link, ma si tira dento anche contenuti che con il post non c’entrano nulla, tipo blogroll eccetera. Ha quindi un set di link/relazioni disordinato, ma un po’ più completo rispetto a BlogBabel, che legge il post come è presentato nel feed. Infine, come sarà sempre più evidente man mano che aggiungeremo le funzionalità nuove, BlogBabel ha un insieme chiuso di blog italiani attivi mentre Technorati ha un insieme aperto di blog in tutte le lingue di cui la maggior parte è inattivo o finto. Per noi è più importante interpretare le relazioni tra tutti i blog del sistema, cosa che Technorati non può fare, se non per insiemi limitati (per esempio, il tal argomento nel tal periodo) e con un grosso dispendio di risorse. Per questa ragione, noi consideriamo le relazioni come parte integrante del sistema: quando entra un link X, viene subito assegnato al blog di destinazione Y, o al sito esterno Z.

L’obiettivo è quindi fornire un motore che consenta di avere visuali a diversi livelli (dalla classifica al singolo post) di zoom dell’intera blogosfera italiana, giusto? Qual è il valore di uno strumento simile per il singolo blogger e quale, invece, per chi vuole studiare le dinamiche, le tendenze e le proprietà dell’intero sistema?

Gli obiettivi sono molteplici. Il primo è avere un sito che sia utile e magari divertente per gli utenti comuni, dotato di ricerca, suggerimento dei temi “caldi” e dei thread relativi, dei video più gettonati, degli argomenti discussi sulle testate nazionali eccetera. Un secondo obiettivo è avere uno strumento che permetta al blogger di capire qual è la loro posizione all’interno della blogosfera, quindi chi sono i propri “vicini”, il proprio insieme di riferimento inteso come blog o siti esterni. Infine vogliamo produrre un insieme di dati che permetta di studiare, come dici tu, dinamiche, tendenze e conformazione della blogosfera, anche questo a più livelli. Allo ZenaCamp, per esempio, abbiamo ipotizzato il numero totale di blog in Italia partendo dal numero di post al giorno per blog, e il valore ottenuto concorda con altre osservazioni fatte da chi ha piattaforme di blog. Ancora, potremmo studiare come si formano le relazioni intorno a un dato argomento, proiettando i link reciproci su un asse temporale per i post che parlano di uno stesso tema, e via dicendo.

Da questo studio emergono tendenze caratterizzanti la blogosfera italiana? Ad esempio, in che modo i temi, la frequenza dei post, la natura dei link in Italia si differenziano dal resto d’Europa o dagli Stati Uniti?

Questo non è in realtà un tema che abbiamo ancora affrontato in maniera compiuta. Quello che è evidente è che in Italia non abbiamo ancora raggiunto una massa critica, non ci sono ancora abbastanza blog. Sono ancora troppo rappresentati i blog “pseudo tecnici”, che per lo più riprendono temi nati oltreoceano o riportano annunci e frammenti di conversazione prettamente tecnologici, spesso meno rilevanti qui da noi.

Tecnicamente, come è stato possibile realizzare e mantenere in piedi BlogBabel? Quali strumenti software ed hardware sono necessari per indicizzare i blog italiani e garantire un’esperienza utente fluida all’atto dell’interrogazione dei dati acquisiti?

Come tanti altri progetti web 2.0, BlogBabel è realizzato con software e strumenti open source e sviluppato con un linguaggio di scripting agile. I fattori chiave sono Linux, MySQL, Python e Django. Python, oltre a facilitare la produzione di codice pulito e semplice da mantenere, ha tantissime librerie di qualità per i task più disparati, tra cui FeedParser di Mark Pilgrim, che probabilmente è lo standard per il parsing dei feed. Django è il framework web di nuova generazione più diffuso tra chi utilizza Python e ci ha reso possibile sviluppare la prima versione di BlogBabel in pochissimo tempo per poi aggiungere funzionalità rapidamente e con cicli di sviluppo veloci. Riguardo alle performance o alla fluidità dell’esperienza utente, BlogBabel in origine condivideva con altre applicazioni un Celeron 900 sottodimensionato, che mi ha costretto a non poche ottimizzazioni ed evoluzioni per ridurre al minimo il carico dell’applicazione. Ora utilizziamo due server Intel di fascia bassa (Core Duo 3 GHz con 1GB di Ram e due dischi Sata in Raid 1). La parte più sollecitata è comunque il database, che fa parecchie migliaia di query al secondo quando generiamo le classifiche e quando facciamo il parsing dei feed (ogni due ore). La quasi totalità dello sviluppo è stato fatto da me.

In questo senso, in base alla tua esperienza, come cambiano i cicli di sviluppo, le fasi di progettazione e specialmente l’attività di operation con le applicazioni web 2.0? A cosa va posta particolare attenzione?

BlogBabel è ancora troppo giovane e sottodimensionato per parlare di operation e cicli di sviluppo. Certo, le differenze e i vantaggi introdotti da un approccio web 2.0 rispetto ai progetti che vivo nel mio lavoro principale in ambito enterprise sono enormi, sia per metodologie che per strumenti di sviluppo. Rispetto alle prestazioni, le parti critiche sono due: il database e il caching dei contenuti. Il database va opportunamente ottimizzato ed è importantissimo controllare l’execution plan di ogni query, specie con tabelle che hanno centinaia di migliaia o milioni di righe di codice. Inoltre l’utilizzo dei giusti indici permette guadagni di performance anche di due ordini di grandezza. Altrettanto importante è minimizzare la generazione dinamica dei contenuti: se un pezzetto di contenuto cambia raramente o solo in seguito ad eventi specifici (post di un commento, modifica di un articolo ecc.), è inutile rigenerarlo ogni volta.

Secondo la tua percezione e il lavoro che fai con BlogBabel, qual è lo stato del web 2.0 italiano? Iniziano a nascere gruppi e progetti rilevanti? Qual’è il livello di comprensione del fenomeno da parte delle aziende?

Beh, in Italia non siamo messi molto bene. Qualche settimana fa sono stato invitato dal gruppo Netwo in Yahoo! per un giorno di incontro sul Web 2.0 con l’amministratore delegato Massimo Martini. Purtroppo il numero di sviluppatori o imprenditori con imprese alle spalle era ancora limitato. Si è parlano molto di revenue, modelli di business, advertising. Tutte cose che, a mio avviso, con il web 2.0 c’entrano pochino. In Italia esistono però anche altri gruppi molto in gamba come Moofx o Wonsys. Peccato che li si senta poco, probabilmente sono più attivi all’estero e in inglese. Ho seguito dall’interno l’evoluzione di Textdrive/Joyent e non ritrovo granchè di quello spirito, competenze, voglia di rischiare in Italia a parte pochi esempi, che non hanno purtroppo abbastanza visibilità qui da noi.

Sei quindi convinto che il web 2.0 sia fatto in primis dagli sviluppatori, dalla tecnologia se vogliamo e che al contrario la parte di business, di impatto sulla realtà aziendale sia un po’ in secondo piano?

Si, ne sono assolutamente convinto. Il ribaltamento dei ruoli è uno dei motivi che potrebbe portare a una nuova bolla. Basta guardare gli esempi internazionali di successo. Tutti quelli che mi vengono in mente sono partiti tutti dal basso, quasi sempre “to scratch an itch”, spesso con contenuti tecnologici innovativi, metodi e strumenti leggeri e senza un modello di business. Al contrario, i servizi nati in grandi realtà non mi sembrano raggiungere risultati ottimali.

Negli Stati Uniti sono però presenti un mercato e aziende con una massa e una predisposizione tale da acquisire servizi anche senza una chiara fonte di ricavi. Non ritieni che questo in Italia sia difficilmente fattibile e che al contrario serva una sforzo, non solo tecnologico, per far crescere l’intero sistema, mercato compreso?

Se non ci sono le condizioni economiche per le acquisizioni, dubito che ci siano quelle per modelli di business alternativi. il sistema comunque non cresce con il marketing, non cresce ragionando sui modelli di business. Cresce, al contrario, creando servizi utili o interessanti e catturando gli utenti. Blogo non ha avuto un’idea originale, ma l’ha declinata in maniera intelligente per la realtà italiana e l’acquisizione c’è stata. Splinder, pur con qualche piccolo difetto tecnico, ha fatto lo stesso. E poi chi ha detto che dobbiamo limitarci al mercato italiano? Moo.fx e Wonsys non l’hanno fatto e mi sembra che i risultati diano loro ragione.

Ciò significa che il web 2.0 in Italia è destinato a rimanere un’attività amatoriale, senza possibilità di profitto e demandata unicamente ai tecnici, ai geek, lasciando fuori completamente il mondo delle aziende e del mondo enterprise?

No, significa che in Italia dovremmo divertirci un po’ di più, creare un po’ di più, senza preoccuparci sempre dei soldi o della teorizzazione a priori o dell’aderenza ai principi enunciati dai mostri sacri. Poi, di dieci o cento servizi, ce ne sarà uno che serve veramente o diverte veramente e intorno a cui si coagulerà una massa di utenti che prima o poi raggiungerà un numero critico e darà un valore e un’appetibilità commerciale al servizio. A quel punto probabilmente, come successo in passato anche in Italia, entreranno in gioco aziende e mondo enterprise per accaparrarsi la fetta di utenti. Le aziende, specie italiane, sono costituzionalmente incapaci di fare innovazione. Creatività e innovazione vengono spesso considerati pericolosi e soffocati sul nascere.

Quali sono gli obiettivi che ti poni di raggiungere nei prossimi anni con BlogBabel e ci sono già altri servizi innovativi che girano per la testa?

Più che di “prossimi anni”, preferirei pensare ai prossimi mesi. Le idee che stiamo sperimentando per BlogBabel sono più o meno quelle cui accennavo prima: potenziare le funzionalità di ricerca e presentazione di contenuti appetibili per l’utente medio; migliorare le funzionalità analitiche fornite ai singoli blogger e magari mettere a punto servizi sui contenuti per le agenzie di marketing e pr, per esempio per capire se e come si diffonde un prodotto nei blog o cosa si dice di un marchio. Servizi nuovi che mi girano in testa? Il servizio a cui vorrei dedicarmi in futuro è in realtà un’evoluzione di qualcosa che già esiste: una piattaforma di blogging multiutente tecnicamente avanzata, con un occhio alle prestazioni e uno alla facilità di utilizzo. Stiamo pensando a qualcosa che possa prendere il posto di WordPress o Movable Type, ma che integri un po’ delle funzionalità analitiche che lanceremo in BlogBabel e un po’ dell’interattività di servizi come Twitter e Tumblr.

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