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Dall’Asia al Canada, il settore pubblico abbraccia Linux

24 Maggio 2004

Dall’Asia al Canada, il settore pubblico abbraccia Linux

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Alternative a Windows in Giappone, Sud Corea e Cina, mentre ci provano anche le municipalità di Toronto e Calgary

Il software libero e open source avanza sempre più nel continente asiatico. India e Cina affinano gli strumenti informatici per quel che si profila come un boom di mercato. Mentre gli apparati governativi si stanno organizzando per trovare serie alternative a Windows, mirando per lo più a trasferire in tempi medio-brevi l’infrastruttura interna su Linux. Operazioni queste che riguardano in particolare paesi quali Giappone, Singapore, Taiwan, Sud Corea e Cina. Il Giappone ha già stanziato oltre otto miliardi dollari per la ricerca in quest’area, e il governo coreano è passato alle vie di fatto: sui propri computer e stato avviato il passaggio al sistema operativo di un’azienda di Seoul, Hancom Linux.

Quali i motivi di un simile trend generalizzato? Intanto la sicurezza, campo in cui Windows si è ripetutamente dimostrato debole, per non dire di peggio — pur senza arrivare alle paranoie cinesi per macchine e sistemi realizzati sotto l’influenza della CIA. In tal senso non sembrano trovare molto riscontro, almeno per ora, le offerte di Microsoft di ‘aprire’ il proprio codice a quei governi disposti a formare accordi specifici, insieme a garanzie di sconti significativi per agenzie e scuole. Le PA paiono altresì interessate a trovare piattaforme comuni, realizzate in loco, onde poter meglio collaborare su progetti comuni e scambiare rapidamente dati di vario tipo. Da tempo gli sviluppatori cinesi, ad esempio, hanno messo a punto una robusta versione di Linux chiamata Red Flag Linux, affidabile alternativa a Windows usata in svariate situazioni di e-government e enterprise. E pur se il Giappone non prevede di lavorare a una propria versione, sta comunque incoraggiando con forza i progetti open source. Oltre agli otto e più miliardi dollari già disponibili per tali progetti, il governo sta considerando seriamente Linux in occasione del prossimo upgrade generale previsto per il 2005.

Da parte loro, grosse società quali Fujitsu, IBM Japan e Oki Electric hanno redatto una specifica proposta perché si usi Linux per la gestione degli stipendi e di altri dati interni relativi agli 800.000 impiegati governativi. Operazione che taglierebbe in un solo colpo le attuali spese gestionali del 50 per cento. A conferma dell’altro punto qualificante della tendenza complessiva, il risparmio economico dovuto ai costi spesso irrisori del sistema e al ricorso a sviluppatori locali per personalizzazioni e software. Senza contare che, grazie a quest’efficace implementazione di Linux, le agenzie statali vi fanno leva per contrattare (e ottenere) sconti sostanziosi da Microsoft, minacciando il passaggio generalizzato a Linux — come si è verificato recentemente perfino in U.K. Pur in uno scenario ovviamente fluido, sembra dunque che il continente asiatico possa trasformarsi quanto prima in una roccaforte del sistema open source. Anche se, mettono in guarda gli esperti, perché ciò si avveri e duri nel tempo è cruciale evitare un rischio sempre presente: impedire la creazione di versioni proprietarie, che qualche distributore Linux potrebbe tentare sulla base dei diversi linguaggi e culture. Per continuare ad affermarsi e rubare spazio a Microsoft è imperativo che il pinguino continui a circolare in piena libertà.

Analogo lo scenario che si va aprendo in Canada, specificamente dei dipartimenti municipali di Toronto e Calgary, anche se per il momento non si tratta di un vero e proprio passaggio in massa all’open source. Lo scorso marzo il governo centrale aveva messo a punto una policy che incoraggiava il ricorso al software aperto nella agenzie federali. Posizione ora rilanciata da Joseph Dal Molin, fondatore dell’agenzia di consulenze e-Cology Corp. e autore lo scorso anno di uno studio sulle opportunità del business open source in Canada. Puntando però al livello locale, suggerisce ora Dal Molin, ambito che può trarre i maggiori frutti positivi dei tagli alle spese conseguenti all’uso di Linux. È stato questo il caso della città di Calgary, il cui portavoce ha spiegato questo successo operativo nel corso del recente Real World Linux a Toronto. Secondo Dan Ryan, manager dell’infrastruttura cittadina, le “pressioni per una drastica riduzione del budget” hanno convinto i consiglieri a passare a Linux un anno prima del previsto, con ottimi risultati anche in ambito enterprise. “Ci siamo accorti che le notevoli cifre e risorse investite da HP e IBM hanno reso l’infrastruttura pronta anche in termini di supporto tecnico,” ha aggiunto Ryan, “ed è stata una piacevole sorpresa.”

Significativi i risparmi ottenuti anche dal dipartimento per i servizi ai bambini di Toronto. L’agenzia ha preso la decisione, tutt’altro che diffusa, di usare Linux per il desktop, ovvero in 450 postazioni, al costo di circa 250 dollari per PC, rispetto ai 1200-1500 di macchine basate su Windows. Come ha illustrato, Randell Clarke, specialista IT per l’agenzia comunale, il salto verso Linux nel desktop non si è rivelato un problema per lo staff, abituati “fin dall’inizio a piccoli schermi verdi e terminali ridotti al minimo.” Considerando cioè che gli attuali modelli desktop non hanno né floppy né hard drive, sono soltanto collegati in rete, riducendo così non di poco gli impasse tecnici e la presenza di virus o software non autorizzato. Per adesso, tuttavia, simili operazioni paiono limitati a progetti ridotti come in questo caso. Nel senso che le varie agenzie hanno una propria autonomia in queste decisioni, anche se, ha aggiunto Clarke, “gli altri dipartimenti sono venuti a dare un’occhiata al nostro lavoro.” Buon segno per il decollo della tendenza nel prossimo futuro, ha concluso Dal Molin: per la IT del settore pubblico l’open source si rivelerà sempre più fondamentale in quanto a risparmi e bontà di prestazioni.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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