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È ufficiale: la powerpointosi esiste

17 Dicembre 2003

È ufficiale: la powerpointosi esiste

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Un professore emerito di Yale grida al mondo quello che da tempo tutti mormoriamo: le presentazioni realizzate con PowerPoint e simili creano l'illusione dell'informazione e sono un pericolo per chi deve prendere decisioni importanti. La tragedia del Columbia annidata in una slide incomprensibile?

La powerpointosi è una sindrome di cui gli addetti ai lavori sospettano da tempo l’esistenza. Il suo sintomo più immediato sarebbe l’uso di Powerpoint, o programmi analoghi, per generare presentazioni assolutamente incomprensibili, che producono narcosi profonda in chi le subisce. La powerpointosi avrebbe anche effetti ben più seri a lungo termine: abituerebbe le persone a pensare per microconcetti rendendole, in sostanza, più stupide. Ora il sospetto è stato finalmente confermato da una voce autorevole, quella di Edward Tufte, professore emerito di Yale e docente di progettazione delle interfacce e dell’informazione: uno che di teoria della comunicazione ci capisce, insomma.

Quando tutto viene tritato, compresso e semplificato fino a ridurlo alle dimensioni di una slide di PowerPoint, nella conversione si perdono elementi che sono vitali per i processi decisionali. A volte, sostiene Tufte, la powerpointosi diventa addirittura un fattore importante nella perdita di vite umane.

È il caso, dice il professore, del disastro della navetta spaziale Columbia: i dettagliatissimi rapporti degli ingegneri della Boeing sull’ipotesi di danni causati dall’impatto avvenuto al decollo, arrivarono all’attenzione dei dirigenti di missione sotto forma di presentazioni PowerPoint, redatte in modo talmente contorto da nascondere le informazioni che avrebbero dovuto invece evidenziare.

Tufte addita in particolare una slide del rapporto sul Columbia, che riesce a creare ben sei livelli gerarchici distinti pur contenendo soltanto undici frasi. Sulla base di queste disinformazioni, che erano esatte ma rivelavano il pericolo soltanto se decifrate attentamente, i dirigenti decisero che non era necessaria alcuna ulteriore indagine e che tutto andava bene, con i tragici risultati che tutti conosciamo. La commissione d’indagine sul Columbia ammette schiettamente che “è facile capire come un dirigente di alto livello potesse leggere questa slide di PowerPoint senza rendersi conto che descriveva una situazione di pericolo per la vita (degli astronauti)”.

L’esempio scelto da Tufte è volutamente drammatico, e il professore è il primo a chiarire che non è certo colpa di Microsoft se il Columbia si è disintegrato al rientro, ma è comunque un caso emblematico di una situazione molto diffusa. Vista l’onnipresenza delle presentazioni nella vita aziendale e nella ricerca scientifica, viene da chiedersi quante altre decisioni multimilionarie vengono prese nell’illusione di essere informati. La fretta e la superficialità ci stanno portando sempre più spesso a prendere decisioni critiche sulla base di laconici paragrafi puntati di una presentazione PowerPoint invece di andare a spulciare i dati sottostanti.

Attrezzi e artigiani

Sarebbe facile liquidare l’accusa di Tufte dicendo che ogni artigiano scadente incolpa i propri attrezzi. In effetti, chiunque frequenti le realtà aziendali e il mondo dei convegni ha ben presente che il software di presentazione è, per così dire, soltanto il vettore della powerpointosi: in realtà è chi crea la presentazione ad esserne affetto.

C’è chi prepara una presentazione con slide che contengono l’intero testo della relazione e poi non fa altro che leggere pari pari il testo di ciascuna slide ad alta voce: è la powerpointosi logorroica. Tante grazie: il pubblico è in grado di leggere, non ha bisogno di qualcuno che legga per lui. La presentazione, redatta così, non aggiunge alcun elemento utile; anzi, il brusio della voce del relatore che ripete esattamente quello che c’è sullo schermo è un narcotico potentissimo.

C’è chi soffre di powerpointosi grafica: spende un’ora a creare il testo della presentazione, ossia la sua sostanza, e tre ore a imbellettarla con dissolvenze, animazioni, sfondi grafici ed effetti speciali che non aggiungono nulla di concreto, per poi trovarsi con un imbarazzante coniglio di amministrazione sbattuto a caratteri cubitali sul megaschermo.

Ci sono poi gli affetti da powerpointosi interrotta, ossia coloro che non portano con sé una copia cartacea del testo e poi ammutoliscono di fronte alla platea quando il laptop con la presentazione va improvvisamente in standby o in crash. Questi sono i più desiderati nei meeting, perché la loro tragica figuraccia consente al pubblico di rovesciare le parti e trasformarsi da vittima in torturatore.

Tutti questi powerpointotici hanno in comune un problema: non hanno capito che la presentazione è uno degli strumenti del relatore ed è semplicemente un complemento della relazione più estesa, che deve sempre esserci. La presentazione è concepita per essere una sintesi di ciò che il relatore racconta a voce e scrive nella relazione: una sorta di falsariga o di bigino, con il vantaggio (rispetto alla carta) di poter includere immagini, suoni e filmati, non come orpelli, ma come arricchimento delle informazioni fornite. Un’immagine vale mille parole, ma va spiegata lo stesso.

Per questo, ogni slide deve contenere pochissimi concetti chiave, disposti in forma graficamente chiara e semplice, che il relatore amplia e chiarisce a voce uno per uno, rimandando sempre alla relazione completa per i dettagli. Soltanto in queste condizioni si esce dal tunnel della powerpointosi e la presentazione diventa un accessorio davvero utile invece di un’occasione per pavoneggiarsi.

Ma lo strumento è complice

Tutta colpa dell’impreparazione di chi usa il software di presentazione, dunque? Niente affatto, dice Tufte, che ce l’ha in particolare con PowerPoint e specificamente con i suoi modelli predefiniti (i template): “di solito indeboliscono il ragionamento verbale e spaziale e quasi sempre distorcono l’analisi statistica”.

La critica mossa da Tufte a PowerPoint è che i suoi modelli predefiniti sono stati concepiti per le presentazioni commerciali, con le loro piogge di elenchi puntati, e mal si adattano ad altri usi, come i rapporti scientifici, in cui non c’è nulla da vendere né ci sono slogan da cerebrolesi che vanno impressi nella mente del pubblico. L’utente non commerciale si troverebbe così costretto a “mutilare i dati fino a renderli incomprensibili”. La bassa risoluzione delle slide PowerPoint, inoltre, indurrebbe gli utenti a generare grafici con pochi elementi rispetto ai grafici cartacei tradizionali, perdendo quindi dettagli cruciali.

Sono obiezioni che si possono tranquillamente applicare anche ai prodotti concorrenti, come OpenOffice.org, per cui non mi sembra il caso di fustigare specificamente il monopolista di Redmond. Forse, come spesso accade in informatica e non solo, il vero problema è che le soluzioni facili raramente sono quelle migliori, per cui i template predefiniti finiscono per essere un falso ausilio: ingabbiano il pensiero. Meglio imparare i rudimenti del layout grafico per poi rifiutare le predefinizioni omogeneizzanti del software e crearsene delle nuove personalizzate.

Per dirla con il linguaggio conciso delle presentazioni, il primo passo verso la cura della powerpointosi è la consapevolezza che esiste e che se ne è affetti. Ora che abbiamo la certificazione di un esperto, il problema diventa più trattabile e comprensibile persino per il dirigente medio: il resto, speriamo, verrà da sé.

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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