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Sito ottimizzato per… perdere clienti

30 Ottobre 2002

Sito ottimizzato per… perdere clienti

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Lagnarsi perché un sito funziona soltanto con la versione più recente del browser dominante è sempre stata considerata dai più una futile ossessione di quattro fondamentalisti. Adesso salta fuori che avevano ragione. La loro vendetta è un telefonino servito freddo

I teorici della Rete l’hanno sempre considerata una mostruosità, gli autori dei siti Web commerciali come una formula per risparmiare. Sto parlando dell’onnipresente dicitura “Sito ottimizzato per…”, seguita dal nome del browser dominante del momento o da quello personalmente preferito da chi ha creato il sito.

È facile dimenticarlo, ma Internet fu concepita per risolvere le incompatibilità tra sistemi informatici diversi; lo stesso principio vale per l’HTML, il linguaggio usato per comporre le pagine del Web, il cui scopo è quello di consentire a un documento di essere visualizzato correttamente a prescindere dalla marca e dal modello di software e di apparecchio e dalla risoluzione del suo schermo.

È per questo che dichiarare che un sito è ottimizzato per un browser o l’altro, o addirittura per una dimensione specifica dello schermo, è considerata una stupidaggine colossale dagli addetti ai lavori. Stupidaggine che tuttavia soltanto nel Web italiano si trova comunque ripetuta ben centoventiduemila volte, secondo Google. È un po’ come aprire un negozio che serve solo clienti taglia 42 e respinge sdegnata tutti gli altri.

Discriminazioni online

Principi sacrosanti, ribattono gli sviluppatori dei siti; peccato che si scontrino con la dura realtà. Realizzare un sito Web che funzioni con più browser costa, perché comporta perlomeno svilupparlo e collaudarlo in ogni suo aspetto tante volte quanti sono i browser che si vuole supportare, o addirittura realizzarlo in due o più versioni parallele per i vari browser. Idem dicasi per le risoluzioni dello schermo.

L’esempio del negozio non è calzante, sostengono gli insonni webmaster, perché in realtà praticamente tutti usano Internet Explorer e una risoluzione di almeno 800×600 pixel. In altre parole, quasi tutti i clienti hanno proprio la taglia 42, per cui aprire un negozio che serva solo quella taglia sarà magari contrario ai principi della Rete, ma ha perfettamente senso dal punto di vista economico: soddisfa il massimo numero di clienti con il minimo sforzo. Supportare anche quei quattro eccentrici di taglie diverse costerebbe troppo in termini di sviluppo e collaudo, quindi non si fa.

Informaticamente parlando, il luogo comune vuole che quei quattro eccentrici siano linuxiani; e dei linuxiani, sinceramente, i siti Web commerciali non sanno che farsene. Se vogliono comperare, che si installino Windows ed Internet Explorer, come tutti gli altri, e la piantino di lagnarsi, altrimenti vadano pure altrove.

È un ragionamento un po’ miope, considerato che il linuxiano fa certo parte di una minoranza di utenti, ma la sua è una minoranza giocoforza tecnicamente più preparata della media e per questo più pronta ad abbracciare le novità e maggiormente orientata alla tecnologia (e meglio disposta a spendere per averla): clienti ideali come apripista per le nuove opportunità offerte dai servizi commerciali online. Una risorsa che gli sviluppatori dei siti, però, preferiscono sprecare.

Minoranze invisibili

In realtà il luogo comune, come capita spesso, è vero a metà. Oltre agli utenti Linux, infatti, la sindrome del “sito ottimizzato per” affligge anche tutti coloro che adoperano Windows e Mac ma preferiscono browser alternativi a Internet Explorer (come Opera, Netscape, Mozilla e infiniti altri) per i ben noti motivi di sicurezza (la conta attuale è di trentadue vulnerabilità non ancora corrette).

A questi si aggiungono coloro che hanno sì Internet Explorer, ma una versione non recente (quindi incompatibile) e non sanno come si fa ad aggiornarla o addirittura non possono farlo perché le direttive aziendali, come spesso accade, vietano di modificare il software installato. Le medesime direttive possono obbligare gli utenti del browser Microsoft a disabilitare Java, Javascript, ActiveX, Flash e ogni altro orpello per le già citate ragioni di sicurezza. Se incontrano un sito incompatibile con la loro configurazione, andranno inevitabilmente a cercarne uno concorrente che sia meno schizzinoso.

L’acme del delirio dei creatori di siti Web è l’introduzione realizzata con Flash, Shockwave e simili: tecnologia snelle ed eleganti, che rendono facile e gradevole l’interazione con il sito quando sono usate bene, ma che in gran parte dei siti Web sono pretesti per interminabili pavoneggiamenti a base di loghi aziendali che roteano, in cui la sostanza è zero e la scocciatura inflitta al visitatore è infinita.

Una scocciatura che spesso rappresenta l’unica via di accesso al sito e alla quale si ha il dubbio privilegio di assistere soltanto dopo aver obbligatoriamente scaricato l’ultima versione del relativo plug-in (e magari riavviato il computer). Al danno si aggiunge poi l’involontaria ingiuria dell’opzione “Skip intro”, che permette di saltare la dannata introduzione ma è visibile soltanto a chi ha installato Flash.

In queste condizioni, ben pochi utenti saranno disposti a metter mano alla propria configurazione software o richiedere un intervento dell’amministratore di sistema soltanto per vedere un determinato sito. Proprio il vostro, magari.

C’è dunque un numero non indifferente di clienti che se ne vanno senza comperare e non torneranno più, perché andranno dai concorrenti che non li fanno passare da queste forche caudine; senza contare i disabili (daltonici, ipovedenti e non vedenti, per esempio). Se volete vendere online, discriminare i vostri potenziali clienti non è un buon approccio. Mettereste un percorso a ostacoli come unico ingresso al vostro negozio?

Il browser mascherato

Tutto questo non turba il sonno della ragione che domina la maggioranza dei creatori di siti Web. Convinti che comunque supportare più di un browser non sia economicamente possibile, insistono nel rendersi compatibili con quello dominante e considerano i clienti persi per incompatibilità come un male necessario e inevitabile. Un male che fra l’altro è poco tangibile, perché il cliente potenziale che non riesce ad accedere al sito non lascia traccia statistica, a meno che non invii un e-mail di protesta.

Oltretutto, nel tentativo di superare queste barriere d’ingresso artificiose, gli utenti dei browser alternativi ricorrono al cosiddetto agent spoofing, ossia istruiscono il proprio browser a spacciarsi per Internet Explorer. Questo paradossalmente consente loro spesso di accedere al sito lo stesso, a dimostrazione del fatto che la supposta incompatibilità non è così drammatica come si crede, ma ha lo svantaggio di non far sapere al sito che il visitatore usa un browser alternativo.

Nasce così un circolo vizioso: i siti non sentono il bisogno di supportare i browser alternativi perché dalle loro statistiche di accesso sembra che tutti usino Internet Explorer, e gli utenti dei browser alternativi si mascherano da Internet Explorer perché i siti non supportano altro. Il risultato finale è che le statistiche di utilizzo dei vari browser sono completamente inaffidabili.

In realtà supportare più di un browser si può, e senza ricorrere a versioni parallele dei siti: basta rispettare gli standard Internet, quelli veri, che non sono decisi da chi realizza i browser ma dal World Wide Web Consortium o W3C. Se il vostro sito si attiene alle specifiche pubbliche del W3C, automaticamente è compatibile con qualsiasi browser. In altre parole, con lo stesso negozio e con la stessa spesa potete servire tutte le taglie anziché limitarvi alla 42.

Per facilitare la realizzazione di pagine Web che rispettano gli standard, il W3C ha anche un servizio gratuito di validazione automatica delle pagine in tempo reale: gli inviate la pagina che volete validare, e in pochi secondi ottenete l’analisi degli eventuali errori di HTML che il vostro browser tollera ma che altri trovano indigesti. Se usate Opera come browser, verificare la validità di una pagina Web richiede semplicemente la digitazione di Ctrl-Alt-V.

Certo questo non risolve il problema di Javascript e affini, sui quali si basa gran parte dell’interattività dei siti odierni: ogni browser interpreta questi linguaggi in modo diverso. In realtà il problema va visto da un’altra angolazione: se affidate il funzionamento del vostro sito a uno script eseguito sul sistema del visitatore, vi esponete a ogni sorta di attacco, perché qualunque cosa che passa per il computer del cliente può essere alterata fraudolentemente.

Per esempio, calcolare il totale della spesa online tramite uno script può sembrare una gran comodità, perché alleggerisce il lavoro del server appioppandolo al client, ma consente al malintenzionato di intercettare lo script e restituire al server un totale truccato. Il client-side scripting in una transazione commerciale è, per farla breve, un disastro annunciato, e questo significa che va abolito o perlomeno relegato a funzioni non vitali.

Squilli di vendetta

Fondamentalismo digitale a parte, esistono dunque delle motivazioni schiettamente commerciali in favore dell’uso dei veri standard di Internet. Sono motivazioni già note da anni, che però non hanno smosso gran parte dei creatori di siti dalle loro posizioni: per loro, supportare soltanto Internet Explorer costa meno e funziona quanto basta, fine della storia.

Il guaio è che questo atteggiamento Explorer-centrico ha improvvisamente smesso di aver senso. Chiunque abbia visitato lo SMAU si sarà reso conto del boom dei telefonini con browser Web integrato. L’arrivo del GPRS e, più in là, dell’UMTS consente finalmente all’utente mobile di navigare nel Web quasi alla pari con chi è connesso alla rete fissa.

I cellulari e i PDA con funzioni wireless sono molto più numerosi dei computer, ed è prevedibile che il naturale avvicendamento tecnologico porti in breve tempo ad avere un browser disponibile nella maggior parte dei telefonini in circolazione. Non tutti questi browser sono basati su Internet Explorer: Nokia, Sony Ericsson, Motorola e Matsushita, che controllano la fetta più ampia del mercato cellulare, sono azionisti della joint venture Symbian, e Symbian ha scelto Opera. Questo rende irrilevante ogni supposta ottimizzazione per il browser Microsoft, salvo per chi usa lo Smartphone della casa di Redmond.

In altre parole, sempre più gente userà browser diversi da quello attualmente dominante nei PC per accedere al vostro sito. Browser che rispetteranno gli standard W3C, non le specifiche Microsoft; quindi è alle regole del W3C che conviene attenersi se si vuole accalappiare l’immenso parco clienti rappresentato dall’utenza cellulare.

È abbastanza ovvio, inoltre, che ora più che mai realizzare un sito ottimizzandolo per una certa risoluzione su schermo è altrettanto palesemente stupido: che aspetto mostruoso avranno le vostre pagine quando verranno compresse o stiracchiate per stare sullo schermo di un telefonino dalle dimensioni più disparate?

L’avvento dei browser cellulari è un vero shock per chi pensava di risparmiare denaro realizzando siti ottimizzati per il browser dominante: si troverà improvvisamente spiazzato quando non esisterà più un predominio così marcato come quello attuale, e ironicamente si troverà a dover spendere per riscrivere daccapo il proprio sito in modo da renderlo compatibile con i veri standard di Internet, mentre chi li ha rispettati sin da subito sarà libero di starsene sotto una palma a riposare (e gongolare) intanto che gli imprevidenti corrono ai ripari.

Rispettare i principi della Rete non è dunque una questione di etica astratta: è una necessità imprenditoriale, forse eludibile a breve termine, ma sicuramente non nel lungo periodo. Drin drin, il lungo periodo è scaduto.

L'autore

  • Paolo Attivissimo
    Paolo Attivissimo (non è uno pseudonimo) è nato nel 1963 a York, Inghilterra. Ha vissuto a lungo in Italia e ora oscilla per lavoro fra Italia, Lussemburgo e Inghilterra. E' autore di numerosi bestseller Apogeo e editor del sito www.attivissimo.net.

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