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Alti e bassi dell’odierno high-tech USA

08 Febbraio 2002

Alti e bassi dell’odierno high-tech USA

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Oltre la metà degli statunitensi è online, ma il digital divide rimane (pur nella disattenzione generale), mentre sono in ribasso gli investimenti delle grandi aziende informatiche.

Due milioni di nuovi utenti ogni mese per un totale che supera il 50 per cento dell’intera popolazione. Questa l’istantanea dei navigatori online appena diffusa dal Ministero del Commercio statunitense. Il rapporto (“A Nation Online”) specifica che nel corso del mese di settembre 2001 sono state 143 milioni le persone che hanno utilizzato regolarmente Internet, ovvero il 54 per cento dei cittadini. Un netto incremento rispetto al 33 per cento registrato tre anni prima. Mentre ormai 9 studenti su 10 hanno accesso al computer, in casa oppure nelle aule scolastiche. Tuttavia, segnala qualche esperto, ciò vuol dire che sono pur sempre 140 milioni coloro ancor oggi impossibilitati per una ragione o per l’altra a usufruire dell’informatica, puntando l’indice su un “digital divide” che tende ad ampliarsi anziché scemare. Mentre, altro dato di segno poco rassicurante, quasi la metà dei manager per l’info-tech delle maggiori società commerciali prevede investimenti fermi al budget dello scorso anno, se non in palese diminuzione, come sembra accadere per circa un quarto delle aziende. È quanto sostiene una ricerca condotta dal broker Goldman Sachs.

Segnali contrastanti, dunque, quelli relativi all’attuale penetrazione delle nuove tecnologie nei vari ambiti della società USA. E se è vero che nel settore business il riflusso è un’ulteriore conseguenza della recessione in corso, prima ancora che degli eventi dell’11 settembre, i quali invece avrebbero influsso più diretto sul disinteresse dell’amministrazione Bush nel colmare il gap digitale d’antica data. Lo conferma ad esempio la proposta di bilancio per l’anno 2003 appena avanzata: drastica riduzione dei fondi per assistenza nell’uso dei computer e di Internet per i meno abbienti e le minoranze etniche, a fronte del 14 per cento in più alle difese militari, che toccherebbero così la cifra-record di 379 miliardi di dollari.

Ovvio, l’attuale scenario pro-bellico lascia pochi spazi per altro, ma di fatto ciò significa il ribaltamento delle politiche di Clinton in materia. Pur con qualche battage mediatico chiaramente gonfiato, quest’ultimo e il vice Gore erano infatti riusciti a imporre la ristrutturazione informatica in gran parte delle scuole pubbliche, avviando precisi progetti di riduzione del digital divide in partnership con strutture private. Uno degli esempi più importanti riguardava proprio Silicon Valley e la vicina baraccopoli di neri ed emigrati di East Palo Alto, con iniziative di alfabetizzazione curate in loco da Plugged In e sponsorizzate da industrie high-tech. “Hanno ragione a sostenere che in qualche modo i dati sono migliorati, ma com’è possibile ignorare quei 140 milioni di individui tuttora non collegati a Internet?,” si chiede Larry Irving, uno dei responsabili del Dipartimento del Commercio che ha curato rapporti analoghi durante l’era Clinton.

Comunque sia, la nuova indagine governativa riporta che oltre la metà delle famiglie dispone di un acconto direttamente in casa, mentre nel dicembre 1998 si era fermi al 25 per cento. La e-mail viene usata comunemente dal 45 per cento della popolazione (nel 2000 era il 35 per cento). Il 36 per cento ricorre a Internet per ricerche di vario tipo, con un balzo in avanti del 10 per cento. La fetta più consistente, 35 per cento, naviga alla ricerca di informazioni sulla salute e affini. E lo shopping online? Lo studio riporta che ormai il 40 per cento effettua regolarmente acquisti sul Web. In rampante crescita anche l’online banking. Una serie di dati positivi che, nelle parole del Ministro del Commercio Don Evans “promettono di portare vitalità e crescita alla nostra economia.”

Un ottimismo che trova però scarso riscontro in un altro sondaggio curato da Goldman Sachs in ambito imprenditoriale. L’indagine ha interessato i dirigenti di 100 aziende con introiti al di sopra del miliardo di dollari (da IBM a Cisco a Dell Computer). Il 47 per cento di costoro dichiara che quest’anno le spese per l’information technology rimarranno stabili, mentre in generale le previsioni appaiono ugualmente divise tra possibili incrementi e riduzioni. Dopo l’abbuffata degli anni scorsi e il brusco risveglio dell’ultimo biennio, la cautela regna sovrana. In un certo senso, passata la burrasca, sembra prevalere tendenza a trovare qualche forma di stabilità, sottolineano gli esperti di Goldman Sachs. Per citare un dato, quasi la metà dei manager interpellati sostiene che i fondi aziendali per computer laptop e desktop non subirà variazioni nel 2002, con il 38 per cento che afferma di aver esteso i tempi per la sostituzione delle macchine interne. Per quanto concerne il software, il 50 continuerà rifornirsi di prodotti Microsoft, mentre oltre i due terzi dice di non prevedere il passaggio a Linux, che rimane il sistema primario appena per l’uno per cento.

Nel complesso, le corporation si dimostrano guardinghe, finanche pessimistiche sul budget del settore: l’89 per cento dei dirigenti intervistati prevede che da qui a cinque anni la crescita della spesa generale per l’info-tech sarà inferiore al 10 per cento. Ciò a fronte di una media annuale intorno al 13 per cento registrata a partire dal 1992. Un sensibile riflusso, provocato almeno in parte dalle ripercussioni dell’11 settembre. Le quali, nello specifico, hanno dettato le priorità degli investimenti: in testa agli acquisti troviamo infatti software per la sicurezza, seguito a ruota da quello per la gestione di database e dei network, nonché per l’immagazzinamento e il recupero dei dati nel caso di eventuali disastri.

L'autore

  • Bernardo Parrella
    Bernardo Parrella è un giornalista freelance, traduttore e attivista su temi legati a media e culture digitali. Collabora dagli Stati Uniti con varie testate, tra cui Wired e La Stampa online.

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