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Da Windows a Linux: l’alternativa possibile

20 Dicembre 2000

Da Windows a Linux: l’alternativa possibile

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Paolo Attivissimo e Roberto Odoardi raccontano come sia ormai accessibile passare da Windows a Linux senza troppi problemi. E ci spiegano perché consigliano a tutti di affrontare questo viaggio.

Un anno fa intrapresi l’interessante quanto impervia avventura di installare e iniziare a usare Linux come strumento di lavoro, trasferendo da Windows al nuovo sistema le normali attività produttive. I risultati (e i fallimenti) sono documentati in una miniserie di articoli apparsi su queste pagine. A un anno di distanza le cose sono cambiate, Linux è migliorato molto come facilità di installazione, mentre Windows non ha portato grandi novità. Ma soprattutto, rispetto a un anno fa, oggi chi intraprende questo viaggio ha a disposizione uno strumento prezioso. Si tratta di in libro intitolato “Da Windows a Linux” scritto da un autore ben noto al pubblico di Apogeo, Paolo Attivissimo, con la collaborazione di un vero esperto del settore, Roberto “odo” Odoardi. Questo significa che ormai la strada è in discesa? È tempo forse di lasciare la strada vecchia per la nuova? Chiediamolo agli autori.

Paolo e Roberto, la prima domanda che vorrei farvi, ma credo sia anche la curiosità di molti, è questa: perché abbandonare la strada vecchia che, seppur scalcinata, sappiamo dove conduce, per una nuova che non conosciamo?

Paolo: Secondo me la maggior parte degli utenti non sa affatto dove conduce la “strada vecchia”. Usa Windows convinto che sia un buon prodotto, visto che lo usano tutti, e non sa nulla delle sue pecche. Ad esempio, crede che i virus siano una scocciatura inevitabile, come le tasse e le zanzare, e rimane a bocca aperta quando scopre che non esistono virus per Linux. Si stupisce quando scopre che sotto Windows è sufficiente ricevere un e-mail confezionato in un certo modo, oppure visualizzare una pagina Web contenente due righe di codice, per mandare in crisi il proprio computer. La strada nuova va presa per una serie di motivi. Primo, perché Linux è gratuito, e lo sono anche gli aggiornamenti. Secondo, perché Linux è stabile. Non soltanto nel senso che non va mai in crash, ma anche nel senso che funziona sempre nello stesso modo, con la stessa interfaccia, da anni. Windows invece cambia pelle ogni volta, e credo che tanta gente, come me, abbia cose migliori da fare che imparare una nuova interfaccia ogni sei mesi. Con Linux, perlomeno, faccio lo sforzo una volta e poi non ci devo più pensare. Terzo, perché Linux è Unix, e Unix è Internet. La maggior parte dei computer che fanno funzionare la Rete usa Unix (o direttamente Linux), ed è quindi chiaro che è questa la strada da percorrere in futuro. Conviene imparare Linux per non diventare obsoleti. Quarto, la sicurezza. Non esistono virus per Linux. Devo dire altro? Quinto, perché Linux è personalizzabile. Non mi va a genio una cosa? La modifico come fa comodo a me: tanto ho a disposizione il codice sorgente. Questo, con Windows, è semplicemente impensabile: anzi, è illegale. E poi c’è la manutenzione. Tutti i parametri di configurazione di Linux sono memorizzati in file di testo, per cui mi basta un qualsiasi editor di testi per modificarli; in più, dato che Linux offre anche un’interfaccia completamente testuale, posso accedere da remoto con un semplice emulatore di terminale e comandare a distanza le mie macchine con estrema facilità. Ciononostante, non penso che sia ora per l’utente medio di abbandonare Windows per passare a Linux. Alcune cose sono più facili da fare in Windows, altre lo sono in Linux. Adottare un sistema operativo o l’altro per tifoseria è stupido, e nulla vieta di sfruttare il meglio di
entrambi, installando Windows e Linux insieme sullo stesso computer. Inoltre Windows è un buon sistema operativo per principianti: va benissimo per impratichirsi all’uso del computer. Linux, per ora, va tenuto come passo di crescita successivo, per via della sua maggiore potenza e complessità.

odo: ci stiamo man mano accorgendo che, come nella fiaba, “l’imperatore è nudo” e che gli abiti nuovi che ci impongono di aggiornare (oltre alla sostituzione periodica dell’hardware) sono solo fumo negli occhi. Quanto costa l’aggiornamento per fare le stesse cose che facevamo due, cinque, dieci anni fa? E quali sono le vere innovazioni nel metodo di lavoro che ci vengono proposte? L’attenzione verso il cliente/desktop, da spremere periodicamente con nuovi gadget, si contrappone al movimento Open Source che si è dedicato da sempre allo sviluppo di software “funzionante”. Unix, dal canto suo, ha avuto in trent’anni l’evoluzione ed i perfezionamenti che lo avevano limitato ad utilizzi molto esigenti (in ambito scientifico, accademico e commerciale) ed a costi elevati (su server e workstation con licenze proprietarie), mentre è ora maturo e costituisce per la piattaforma Intel un’alternativa a Windows, grazie soprattutto alla licenza GPL. Alle funzionalità che già apprezzavo sui server Internet (stabilità, prestazioni, semplicità di configurazione) si è aggiunta una enorme quantità di software disponibile e liberamente personalizzabile. Questo sta atterrando, con un effetto devastante, sulle scrivanie di tutti coloro che si sono stancati di dover accettare i capricci di sistemi operativi ed applicativi mediocri. Ed i primi ad accorgersene sono stati i cosiddetti “smanettoni”, coloro che sono abituati a capire e sfruttare al massimo i computer. Certamente questo tipo di utente è avvantaggiato, nel capire, usare ed apprezzare Linux.

È davvero tempo di buttare via Windows? Abbiamo visto comparire meraviglie come l’installazione grafica, l’autoriconoscimento dell’hardware, ma quanto manca ancora a questo sistema operativo per entrare in tutte le case?

odo: Non ritengo che questi siano elementi importanti: l’installazione si fa una volta sola, con una certa cautela, e talvolta il computer non viene spento per mesi o fino al successivo upgrade hardware. Per la famiglia, obbligata per varie ragioni ad avere lo status-symbol del terzo millennio, il Personal Computer ha spesso il ruolo di elettrodomestico difficile da usare. Linux invece sta già entrando di prepotenza, nella versione “embedded” sotto forma di ebook, webtv, radio, jukebox o videoregistratore digitale, quindi elettronica di consumo a basso costo, facile da usare e con funzionalità ridotte ma utili ed apprezzate.

Paolo: Parliamoci chiaro: Linux non entrerà mai in tutte le case. Non lo farà neppure Windows, semplicemente perché c’è tanta gente che non ha assolutamente bisogno di un computer. Avrebbe bisogno di un elettrodomestico facile da usare per accedere a Internet, cosa che il PC di certo non è, né con Linux, né con Windows. A parte questo, credo che ogni utente debba documentarsi sui difetti di Windows e sulle limitazioni di Linux, valutare le proprie esigenze personali e decidere di conseguenza. Ad esempio, Linux è un’ottima soluzione (a costo zero) per riesumare i vecchi PC, ma non è altrettanto pratico per chi ha periferiche insolite (fotocamere digitali, scanner o modem USB) o deve assolutamente usare software scritto per Windows, come i dizionari multimediali. L’importante, per ora, è far sapere che esiste un’alternativa a Windows.

Linux per molti, ma non per tutti mi sembra di capire. Chi può affrontare questa strada oggi e chi non può farlo?

Paolo: Chiunque lo può fare, se vuole: tutto quello che si fa con Windows, si può fare con Linux (e con Linux si possono fare molte cose impossibili sotto Windows). Il problema è decidere quanto impegno si vuole dedicare all’impresa. Linux, allo stato attuale, richiede un certo impegno perché è progettato per chi vuole avere il controllo del proprio computer e preferisce non delegarlo agli automatismi non sempre affidabili di Windows. E francamente spero che rimanga così. La differenza fra Windows e Linux è quella che c’è fra un’auto di serie e un kit di montaggio di una Dune Buggy. Nel primo caso ti becchi quello che ha deciso il costruttore, che ti piaccia o no: nel secondo, devi metterci olio di gomito, ma decidi tu i pezzi che vuoi e quelli che non vuoi.

odo: Conoscere Linux vuol dire capire come funziona un computer. Non serve una certificazione né una laurea: sono invece cose banali che vengono insegnate ai bambini delle elementari, lo capisci una volta e lo sai per sempre. Usare un’applicazione (sia essa Windows o Linux, da ufficio o un browser) richiede invece soltanto un pòdi memoria visiva per ricordare dove si trovano e come richiamare le pochissime funzioni utilizzate, e il significato dei punti sensibili al click del puntatore. Limitarsi a questo, scansare la sfida all’ingegno ed alla voglia di imparare qualcosa è, secondo me, un modo di tornare indietro. A costoro non suggerisco Linux, ma neanche Windows: è comunque troppo difficile!

Linux sta cambiando, ed èun cambiamento dettato dal basso, dalla comunità di sviluppatori, più che da una decisione di un gruppo dirigente. Per chi lavora in questa comunità la contrapposizione è simile a quella che divide una democrazia da una oligarchia. Detto così sembra facile la scelta, ma il paragone ha senso? Possiamo aspettarci anche in campo software maggiori vantaggi da una base decisionale quanto più allargata possibile?

Paolo: Non credo che sia particolarmente importante la larghezza della base decisionale. Conta, semmai, il fatto di essere liberi da pressioni commerciali. Nella comunità di sviluppo di Linux non esiste un reparto marketing che preme per introdurre funzioni carine ma inutili. Windows, invece, deve uscire con aggiornamenti a pagamento e con nuove funzioni con cadenza periodica, altrimenti Microsoft non può guadagnare. Questo fra l’altro significa che le varie versioni di Windows devono avere dei difetti; se non li avessero, non ci sarebbe motivo di acquistare la versione successiva che li corregge. Non è una critica a Microsoft: è il modello commerciale che è fatto così, secondo il principio dell’obsolescenza programmata. Soprattutto, conta il fatto che grazie alla formula “open source” chiunque può contribuire a migliorare e ampliare Linux; in Windows, invece, le correzioni possono essere fatte soltanto da Microsoft, e soltanto se e quando Microsoft decide di introdurle. Spesso passano mesi tra la scoperta di un baco di Windows e la distribuzione della patch.
Col passare degli anni ho potuto notare anche in Linux la stessa evoluzione sempre più business-oriented che ha avuto Internet (e chi li ha conosciuti, ne rimpiange i “good old days”). La diffusione di RedHat ne è un chiaro esempio. È sempre molto importante ed attuale la licenza GPL (grazie a Richard Stallmann) che consente a chiunque di personalizzare e ridistribuire liberamente i programmi. In questo modo
circola software realmente utilizzato e non frutto di piani di marketing astratti. I programmi nascono per un’idea proposta ed accettata da più persone che la migliorano e la estendono restituendola a nuovi utilizzatori. In questa forma di mercato libero (attenzione: libero, non gratuito!) ha successo chi offre ad un prezzo adeguato un servizio sempre all’altezza, e deve mantenere uno standard elevato per difendersi dalla concorrenza.

In questo periodo in televisione è passata una campagna pubblicitaria contro la pirateria del software che, se aveva intenzioni terroristiche, ha raggiunto il suo scopo. Nel dubbio se tutto il nostro software è legale o piratato forse il passaggio a una piattaforma open source potrebbe toglierci un pensiero…

Paolo: Sarò cinico, ma dubito che in Italia adottare Linux sia un buon rimedio contro la paura di essere accusati di pirateria software. Secondo le mie esperienze personali, ben pochi degli ispettori della Guardia di Finanza sanno cos’è Linux e come funziona la licenza open source. Abituati come sono alla burocrazia fondata sui certificati, se gli si sventola davanti un certificato di licenza Microsoft vanno in brodo di giuggiole e non stanno a verificare se si tratta della versione giusta, se tutti i font installati e le DLL sono coperte dalla licenza, e così via. Linux, che si può distribuire legalmente senza scartoffie, è per loro
una cosa anomala, preoccupante, magari anche sovversiva. Insomma, anche se si è nel giusto a usare Linux, è meglio essere pronti a difendere le proprie ragioni in caso di ispezione. Da solo, questo non è un motivo
sufficiente per passare da Windows a Linux.

odo: Si, in molti casi le organizzazioni con un budget limitatissimo ed un know-how sufficiente possono investire in nuovo hardware quanto viene risparmiato nel costo del software. Checché ne dicano certi spot televisivi ed evidenti contraddizioni legislative, il software Open Source consente di raggiungere gli stessi risultati del software proprietario, senza timore di accuse infondate di pirateria. Mi stupisce che la Pubblica Amministrazione (soprattutto per le scuole) fatichi ad accettare una cosa così ovvia.

L’ultima curiosita’. Sinceramente, a casa vostra utilizzate Windows o Linux?

Paolo: Uso entrambi. Come dicevo, non sono un tifoso accanito di Linux: lo uso se e quando mi serve. Dei miei tre computer, uno ha soltanto Linux, uno ha soltanto Windows, e il terzo ha sia Windows, sia Linux. Fra l’altro, io sono rimasto a Windows 95 OSR2: non ho visto motivi per scucire altri soldi per Windows 98 o ME, e siccome non compro mai PC ultimo modello, le mie macchine sono sempre vecchiotte e quindi le nuove versioni di Windows sarebbero troppo pesanti. In questo senso, quindi, ho già abbandonato Windows e il suo circolo vizioso di aggiornamenti a pagamento. Microsoft non avrà altro denaro da me, insomma. Uso Linux per le situazioni che richiedono stabilità e controllo da
remoto via Internet o in rete locale, e Windows per gestire le periferiche speciali (tipo la mia fotocamera digitale) che non hanno un driver Linux. Gran parte del mio lavoro, però, è ancora sotto Windows, semplicemente perché devo compiere la migrazione senza poter smettere di lavorare e quindi ci vuole tempo per riuscirci senza compromettere il lavoro. È un pòcome allacciarsi le scarpe mentre si corre: inciampare è facile, ma se non me le allaccio so che prima o poi cadrò di sicuro. È comunque un percorso di migrazione ormai avviato che sta già dando buoni frutti: non ho più crash improvvisi e i virus non sono più un problema.

odo: Ho staccato le mie quattro certificazioni Microsoft dalla parete, ed ho smesso di usare Windows da tempo, se non per un PC in dual-boot Windows95/Linux dove gira l’email (dovrei migrare troppi messaggi), il masterizzatore (per distribuzioni Linux ed i backup, ovviamente), qualche videogioco. I servizi critici (file server, accesso e filtro verso Internet, backup, sviluppo di applicazioni per il web, il notebook) funzionano esclusivamente con Linux. In ufficio uso solo Linux, e le mie macchine hanno un uptime di più di quattro mesi.

Paolo Attivissimo
Roberto ODOardi,ik2rxv

L'autore

  • Alberto Mari
    Alberto Mari lavora col Web dal 1998. La passione per le tecnologie e una cultura umanistica l'hanno portato a occuparsi di editoria digitale e ebook.

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