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Donald Norman: la tecnologia dal volto umano

27 Giugno 2000

Donald Norman: la tecnologia dal volto umano

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Intervista al guru del technology design, instancabile sostenitore della progettazione human-centered. Il futuro di Internet? Osservate fenomeni come "Napster" e "I Love You" e riflettete

“Human-centered Design – L’usabilità dei prodotti del Web”, questo il titolo del convegno organizzato venerdì 23 giugno presso la Triennale di Milano da Apogeo, dalla Scuola Politecnica di Design e dalla Triennale stessa. Protagonista assoluto: Donald Norman.

In due ore intense, Norman ha cercato di riassumere il suo pensiero sulla tecnologia odierna e ha cominciato parlando, come ha voluto sottolineare, del “mondo”. Questa la chiave di tutto: il mondo, la realtà, le persone, i bisogni veri degli utenti. Nella maggior parte dei casi i progettisti di tecnologia e i designer in generale, hanno commesso, secondo Norman, l’errore di progettare avendo al centro dei loro pensieri le funzioni e non i bisogni. E lo stesso discorso vale per i siti Web.

Donald Norman, cognitivista esperto di Computer Science, è infatti noto per le sue teorie su “user-centered interface” ed è autore di molti libri che sottolineano senza mezzi termini l’incompetenza di molti designer (il suo primo testo famoso sull’argomento è “The Psychology of everyday things” del 1988, tradotto in italiano in “La caffettiera del masochista”).

Norman ha affermato che non siamo nell’era dei computer, ma nell’era del telefono in cui il networking ha acquisito un potere eccezionale perché permette la condivisione di conoscenza ed è in grado di entrare nella nostra vita quotidiana e scardinare vecchi modelli del mondo del lavoro, della scuola e della vita sociale. La tecnologia oggi ci permette di condividere la conoscenza in una misura che non ha paragoni con il passato, e per questo è in grado di definire il nostro presente.

Per questa ragione Norman, non molto amante dei PC e di Internet come sono strutturati oggi, intravede invece in due fenomeni attualissimi, la strada che ci porta al futuro: “Napster” e “I love You”. Entrambi fenomeni determinati da condivisione e interazione sociale. Per Norman, infatti, interazione sociale e condivisione della conoscenza sono la chiave della tecnologia del futuro. Questa visione è assolutamente in linea con il suo design-pensiero: le persone al centro.

Norman, accademico e consulente aziendale, ha l’obiettivo di umanizzare la tecnologia. In altri termini, egli afferma che essa debba diventare invisibile (“Il computer invisibile” è il suo ultimo libro, pubblicato in Italia da Apogeo), grazie a un design human-centered in cui è più importante l’utente della tecnologia. Invisibile significa che le persone devono essere messe nelle condizioni di usare gli strumenti in maniera estremamente intuitiva. Non dovremmo neanche renderci conto di avere a che fare con una tecnologia complessa. Se un computer fosse davvero progettato correttamente non avremmo neanche bisogno di manuali. (“Things that make us smart – defending human attributes in the age of the machine”).

“Alla Apple [dove Norman ricoprì la carica di vicepresidente] ho sempre sostenuto che avremmo dovuto riproporre il primo Mac, ma non mi hanno mai preso sul serio. Era il migliore perchè in pochi minuti eri in grado di comprendere il suo funzionamento”.

Tecnologia semplice da imparare, semplice da usare. Norman parla a questo proposito di infodomestici: non un computer complesso, ma diversi dispositivi semplici e interconnessi.

“Sono un technology enthusiast infastidito dalla inutile complessità dei prodotti esistenti”. Affermazione con cui esordisce nella sua homepage personale (http://www.jnd.org/), in cui troviamo anche il suo “motto centrato sugli esseri umani per il 21° secolo: people propose, science studies, technology conforms [le persone propongono, la scienza studia, la tecnologia si adegua]”.

Ma cominciamo proprio dal Web, dove Norman vede oggi trasferiti tutti gli errori della progettazione technology-centered e a cui il nostro da una bella stoccata con la prima domanda dell’intervista che gli abbiamo fatto in occasione del convegno alla Triennale di Milano.

Qual è la sua ricetta per la Web usability?

“Web usability? È molto semplice: avere l’utente in mente quando si progetta un sito. Oggi molti siti invece di fornire strumenti e servizi utili all’utente aprono le loro pagine con la visione dell’azienda, la foto del presidente e via così sulla strada del non-sense totale. Un sito non deve attirare l’attenzione, non è uno spot.

Molti sembrano ignorare questa ovvietà. Un banner o uno spot devono essere attrattivi perché devono portare visitatori sul sito: hanno bisogno di grafica accattivante e di tutti quegli elementi che fanno parte delle tecniche pubblicitarie. Ma nel momento in cui l’utente è arrivato non dobbiamo più convincerlo che sia sul sito migliore: deve essere il migliore per rispondere alle esigenze di quel determinato utente. L’utente si fermerà se troverà qualcosa di utile o rispondente ai suoi desideri. I designers tendono a pensare più all’estetica che al bisogno effettivo”.

L’introduzione di numerosi dispositivi mobili per collegarsi a Internet (wireless net devices) richiede la formulazione di nuove interfacce e modelli di interazione per veicolare i contenuti sui nuovi strumenti.

“La vera sfida del design oggi è proprio questa. Abbiamo dispositivi piccoli e vogliamo scrivere e leggere su di essi. Il settore del design deve trovare risposte adeguate per questa nuova strada che si affermerà certamente”.

Molti parlano di personalizzazione e lei ritiene negativo il fatto che il PC sia in realtà poco “personale”. Qual è l’importanza della personalizzazione?

“Personalizzazione può voler dire molte cose, oggi quando parliamo di personalizzazione delle applicazioni informatiche normalmente intendiamo che sono colorate! Le possibilità di scelta tra i comandi sono spesso poche e questo non è molto “personal”.

Credo che potremmo rendere più personalizzati gli strumenti informatici, proprio come gli odierni attrezzi da disegno. Se sei un’artista puoi costruirti il tuo proprio e personale set di matite, colori, pennelli, ecc., che sono sostanzialmente uguali a quelli che potrebbe avere chiunque altro, ma ciò che è personale e personalizzato è la tua scelta. Tu scegli questo tipo di penna, questo tipo di matita, questo tipo di colore, ecc. La personalizzazione dovrebbe davvero produrre qualcosa che sia veramente per te, che sia adeguato al tuo stile di vita e a ciò che vuoi fare. Questo non è ciò che abbiamo nella personalizzazione dei computer odierni”.

Cosa pensa degli agenti intelligenti e della antropomorfizzazione delle interfacce?

“Non amo i sistemi intelligenti. Spesso non so io stesso cosa voglio fare, come potrebbe saperlo un sistema? I sistemi intelligenti normalmente falliscono perché non indovinano mai. No, io voglio un buon strumento, uno strumento che sia in grado di aiutarmi a completare i miei pensieri.

Si è parlato molto di interfacce antropomorfe; molti studi, molti prototipi… ma io credo che uno strumento sia uno strumento e debba comportarsi come uno strumento, senza pretendere di sembrare una persona. Qualunque cosa cerchi di essere una persona sarà certamente una persona molto limitata”.

Nell’ultimo capitolo del suo libro, “Il computer invisibile”, parla di futuribili dispositivi elettronici inseriti nel nostro corpo. La tecnologia scompare davvero: da computer indossabili a computer innestati all’interno di noi stessi. È solo fantascienza, applicazione medica o si tratta della nostra prossima quotidianità?

“Credo che sia naturale. Dal momento che una tecnologia diventa sempre più utile e preziosa è ovvio che desideriamo portarla con noi tutto il tempo. Questo orologio è tecnologia, porto sempre con me gli occhiali da vista, tu hai dei buchi nelle orecchie e porti degli orecchini, il mio dentista mi ha inserito delle cose in bocca, ecc. Non trovo strano portare altri e inediti dispostivi elettronici addosso. Credo che mettere tutte queste cose dentro il nostro corpo in luogo di indossarle sia solo una questione di comodità: diventano più semplici da portare con noi”.

Vai alla scheda de “Il computer invisibile

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