Un altro scandalo di dimensioni colossali sconvolge Wall Street e tutto il mondo finanziario e industriale americano. E ancora una volta è uno dei colossi cresciuti miracolosamente troppo in fretta negli anni ’90 a cadere fragorosamente, mostrando che il colosso aveva i piedi d’argilla del falso in bilancio.
Dopo lo scandalo Enron, adesso è la volta dello scandalo WorldCom, il secondo operatore americano per la lunga distanza, dopo AT&T.
È difficile entrare nei dettagli delle abili contraffazioni del bilancio, delle sottili diavolerie dei libri contabili, dei trucchi magistrali per far apparire quello che non esiste. Ma la sostanza dello scandalo è di una cristallina chiarezza: il colosso WorldCom truccava i bilanci, diceva che guadagnava e non era vero. Il buco avrebbe dimensioni colossali: 3.800 milioni di dollari. Tecnicamente è un falso in bilancio, ma questa volta sono in molti a cominciare a nutrire seri dubbi sui bilanci pubblicati dalle aziende.
Ma questi bilanci sono serie operazioni contabili o spregiudicate operazioni di marketing per ingannare gli investitori?
Le notizie su WorldCom si diffondono martedì sera con i mercati americano ormai chiusi. I dubbi sono molti e moltissime altre aziende potrebbero risultare esposte per cifre più o meno importanti se si arrivasse al fallimento di WorldCom. Nella notte di martedì si profila, per il giorno dopo, l’ombra del ‘panic selling’, la voglia irrazionale di disfarsi di tutto ciò che ha a che fare minimamente con WorldCom o addirittura con le telecomunicazioni.
Le cose peggiorano quando si viene a sapere che a certificare i bilanci di WorldCom è stata la Arthur Ardensen, la stessa società di revisione che aveva a suo tempo certificato i bilanci di Enron, l’altro colosso che aveva iniziato la stagione degli scandali causando una crescente sfiducia nei mercati.
La minaccia di un ‘mercoledì nero’ è concreta e il mercato di Tokyo, che apre per primo, segna una perdita del 4%. All’inizio della giornata le cose vanno male. Poi i mercati europei e americano si riprendono e riescono a contenere le perdite.
Il mercoledì nero non c’è stato e si tira un mezzo sospiro di sollievo, ma nessuno è veramente tranquillo.
Nel frattempo comincia la resa dei conti in casa WorldCom: Scott Sullivan, Chief Financial Officer, viene messo alla porta e David Myers, vicepresidente, si dimette.
Il CEO John Sidgmore, dalla sua traballante poltrona, dice che tutta la dirigenza “è impegnata a gestire WorldCom secondo i più alti standard etici”, il che sembra a molti una battuta assai poco spiritosa. Certamente non avranno voglia di ridere e non si renderanno conto di essere trattati ‘eticamente’ i 17.000 dipendenti che saranno sbattuti fuori.
Una curiosità: fra i dipendenti di WorldCom figura un personaggio molto illustre: Vinton Cerf, con la qualifica di ‘senior vice president of Internet Architecture and Technology’. Che ci fa il padre nobile di Internet dentro WorldCom? Farà parte anche lui dei 17.000 licenziati?